Mio marito mi ha insegnato a lasciar andare i soldi

Nella Perugia opulenta degli anni Ottanta, Rossella Boriosi cresce in una famiglia benestante che vive nel culto del risparmio. Quando finalmente diventa indipendente, ha ormai introiettato la santificazione del denaro: godere di qualcosa che costa tanto le risulta impossibile. L’incontro con suo marito stravolge il suo sistema di valori.

Tempo di lettura: 8 minuti

Rossella Boriosi

Ascolta il podcast della puntata:

“Sono una ragazza degli anni ‘60-‘70, educata alla parsimonia, a evitare lo spreco. Come con il cibo, quando perdi la percezione della fame, io ho avuto un disturbo nell’utilizzo del denaro per cui l’ho sempre usato male, cercando di risparmiare e dunque spendendolo per cose di poco valore che ero costretta a ricomprare, per cose che non mi davano soddisfazione”.

«Ecco, io sono cresciuta con quella testa lì, che il denaro va tenuto perché non si sa mai, quindi: spese molto oculate e grandi sensi di colpa per ogni spesa. In questo mi hanno guarito mio marito e mia figlia».

Rossella Boriosi ha 56 anni e vive a Perugia. Oggi lavora nella segreteria didattica di un istituto comprensivo, ma ha un passato di scrittrice, ed è così che l’ho conosciuta. Quando è uscito il primo podcast di Rame, mi ha mandato alcuni brani di una chat con sua figlia a proposito di soldi. Ho capito subito che una storia come la sua, non l’avevo mai ascoltata. L’ho corteggiata per mesi affinché me la raccontasse. E adesso eccola qua.

Le decisioni che prendiamo sui soldi sono connesse alle esperienze che abbiamo vissuto nella prima parte della nostra vita. È lì che dobbiamo tornare. In questo caso, quindi, torniamo alla Perugia opulenta dove il papà di Rossella era rientrato dopo una breve esperienza milanese, per aprire una concessionaria automobilistica.

«E negli anni ’80 questo comportava vedere scorrere sotto di sé molto denaro e cambiare la propria percezione delle cose. Ma i miei hanno continuato a vivere in una maniera molto modesta rispetto a quello che avrebbero potuto fare».

Rossella non riceve una vera e propria educazione finanziaria, piuttosto un indottrinamento su quanto il denaro sia prezioso.

“Quando ero ragazzina, mi venivano acquistati abiti che però non potevo mettere, perché li avrei rovinati. Li potevo indossare quando loro erano fuori moda e io ero cresciuta”.

«C’è un episodio paradigmatico. Un giorno mio padre dà a mia madre 600mila lire: “Queste sono per comprare qualcosa di veramente significativo per ciascuna delle figlie”, le dice. “Qualcosa che, diventate grandi, saranno felici di aver posseduto”. Viene fuori che mia madre va al risparmio e mentre le mie sorelle si meritano dei golfini di acrilico, io un paio di mocassini da uomo di due taglie più grandi del mio piede, così ci sarei cresciuta dentro».

Il padre di Rossella proviene da una famiglia perugina benestante, sua madre invece da una famiglia che ha vissuto momenti di grande povertà, da cui si voleva riscattare. Tutto ciò, però, non basta a spiegare «questa educazione alla parsimonia, alla gestione del denaro, a cui viene dato un valore morale, per cui non spendere soldi, stare attenti era positivo».

A peggiorare le cose c’è il contesto in cui tutto ciò avviene. Una Perugia danarosa, dove si mescola la ricchezza della vecchia nobiltà provinciale con quella dell’industria nascente in quegli anni.

«Per me era un orizzonte molto ristretto in cui crescere. Non capivo certi riti, anche certe possibilità di spesa che venivano fatte pesare dai miei compagni. Parliamo degli anni ’80, quando si esibiva il logo sulla felpa più grande possibile. Desideravo queste cose come tutti gli adolescenti, volevo omologarmi a questi trend. E allo stesso tempo, siccome al denaro veniva dato un valore morale, mi accontentavo magari di firme false, abiti tristissimi comprati al mercato. Oltre che abbassare moltissimo l’autostima, un’educazione di questo tipo sul denaro è stata devastante, perché mi sono resa conto, poi, quando ho iniziato a guadagnarlo, di non saperlo usare».

Rossella inizia a guadagnare piuttosto presto. Già all’università lavora come standista alle fiere di settore, riuscendo a pagare le rette e a togliersi qualche sfizio.

«Lì era una gara a non chiedere niente ai miei genitori. E non chiedevo niente perché il 90% delle volte la risposta era negativa e io lo vivevo come un rifiuto personale. Il denaro ha tante implicazioni…».

Quando Rossella inizia a mantenersi da sola, si rende conto di aver assimilato la santificazione del denaro.

“Avevo introiettato quella cosa di non spendere se non per la sussistenza o poco più. Per me, godere di una cosa che era costata tanto era impossibile. E tutt’ora faccio una gran fatica”.

Ascoltando l’analisi che Rossella fa della sua educazione finanziaria ho capito meglio cosa intendesse dire Natalia Ginzburg nel breve saggio Le piccole virtù, che mi ha consigliato la mia amica Claudia De Lillo. In questo scritto la Ginzburg dice:

“Per quanto riguarda l’educazione dei figli, penso che si debbano insegnare loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l’indifferenza al denaro”.

Il senso del risparmio, secondo l’autrice, non fa che innalzare ingiustamente agli occhi dei bambini il significato del denaro. Esattamente ciò che è successo a Rossella da ragazzina.

Ne è uscita «solo in età adulta, togliendo questa sovrastruttura data al denaro e al suo uso, e avvicinandomi a persone che avevano un uso disinvolto non perché spendessero, ma perché non davano quel peso alla spesa».

La prima di queste persone è suo marito. Lo incontra appena tornata in Italia dopo 4 anni in Irlanda: «Ci siamo messi insieme quasi subito, mi faceva sentire a casa, ci potevo litigare bene, è una persona con cui si litiga senza lacerazioni».

Lui è polacco, nato e cresciuto in una famiglia agiata nella Polonia comunista, con una grande disponibilità economica, ma poco accesso alle cose belle. L’uomo della vita di Rossella è il suo opposto quanto al rapporto con i soldi. «Al denaro dà cosi poca importanza: c’è, non c’è, si guadagna, si perde, è fatalista. È una persona anche estremamente generosa. Se voleva una cosa, e sapeva che l’avrebbe utilizzata tanto, indipendentemente dal suo costo la comprava. Quindi il suo guardaroba è formato da pezzi per me pagati immensamente, che però usa da 10 o 20 anni».

“Il fatto che lui avesse un utilizzo del denaro misurato sull’oggetto non sul denaro. Il fatto che il punto focale per lui fosse la cosa che andava ad acquistare, quello che di buono che avrebbe portato nella sua vita, come l’avrebbe arricchita, il piacere che gli avrebbe dato. E il fatto che lui riceveva questa gratificazione in tutti gli anni in cui utilizzava quella data cosa, ecco tutto ciò mi ha consentito di superare l’aspetto punitivo della spesa, senza mai riuscire a farlo in maniera automatica. L’80% delle volte vince ancora la vecchia Rossella”.

I soldi, fin dall’inizio, sono il loro più grande motivo di scontro. «Soprattutto quando si trattava di spendere per l’abbigliamento dei figli, c’era sempre la resistenza: io che frenavo e lui che tendeva a gratificarli». Non parliamo del capitolo cibo: «Spendere tanto per il mangiare mi manda fuori di testa. È qualcosa che ti dura qualche ora dentro la pancia, non lo ammortizzi».

Un solo capitolo di spesa li vedeva su fronti invertiti: le vacanze studio all’estero per le figlie. «Su questa cosa ci scontravamo al contrario. Essendo stata molto nei Paesi di madrelingua inglese, volevo che i miei figli si scontrassero con mondi diversi. Lui invece non aveva mai fatto esperienze simili e di certe cose non ne capiva l’utilità».

Ci tengo a rassicurarvi: Rossella e suo marito stanno insieme ormai da 25 anni. E i soldi non sono più causa degli scontri feroci che hanno avuto all’inizio della loro storia, quando i bambini erano piccoli.

A questo punto, però, mi viene una curiosità. Che figli sono nati da questo incontro di due opposte educazioni al denaro?

«Sono tre figli di tre famiglie diverse, non c’è altra spiegazione. La grande di 23 anni è nata ricca. Ha iniziato a lavorare giovanissima, mentre studiava, prima come modella poi come hostess nelle fiere. Una volta diplomata si è trasferita a Londra e ha iniziato a guadagnare cifre che io non ho mai visto. Lei ha uno stile di vita che io non ho mai avuto. E dà al denaro un valore che è totalmente opposto a quello che davo io. Lei straspende però ne guadagna anche. La sorella, 4 anni di meno, è completamente un’altra persona. Veste solo nei mercatini dell’usato o su Vinted. È andata via come backpacker, spendendo 5 euro al giorno per nutrirsi».

La conversazione aperta con suo marito e sua figlia primogenita, che si è resa indipendente già a 18 anni, sta pian piano erodendo lo spropositato valore che Rossella attribuiva ai soldi.

«Per me il suo modo di vivere è iperbolico e sopra le righe. Mi terrorizza e mi rassicura allo stesso tempo. Mi capita talvolta di darle la mia carta di credito per mettere benzina alla macchina o fare altre spese. Piccole spese che a me creerebbero disagio. Fatte da lei, però, è come se assorbissi il suo modo di vedere il denaro e smettono di essere preoccupanti. In qualche modo cura il mio braccino corto».

Rossella oggi sta imparando a lasciar andare il denaro. A separarsene senza cruccio e senza rimpianto. Le chiedo dunque cosa ha cominciato a fare che prima non faceva.

“Ho ricominciato a viaggiare. Per circa 20 anni sono stata il porto in cui la gente di famiglia partiva e tornava. Ho iniziato a usare i soldi per riprendere a viaggiare. Anche da sola. Questa è la gratificazione che mi sono data”.

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