Io, milionaria, dopo una vita con i soldi contati

Da bambina vive il fallimento dell’impresa di suo padre e il pignoramento della casa. A 48 anni è l’imprenditrice della bellezza che ha battuto tutti i record, arrivando a fatturare 63 milioni di euro. Cristina Fogazzi, celebre come Estetista Cinica, ancora oggi, di tanto in tanto, va dal suo socio e gli chiede se stanno fallendo.

Tempo di lettura: 13 minuti

Cristina Fogazzi

Ascolta il podcast della puntata:

“C’è un mio amico che mi prende in giro e mi dice: ‘Cristina sei milionaria, basta con questa sindrome della cassa integrata!’ Il punto è che è successo tutto talmente in fretta. Se nella tua vita sono stati sempre tanti 20.000 euro, non è che di colpo diventano pochi, eh? Forse per chi è nato molto ricco, i soldi non hanno valore. Però se tutta la vita li hai avuti contati, i soldi hanno ancora valore. A me una borsetta che costa 8mila euro mette ancora in difficoltà.”

Volevo parlare di soldi con una milionaria, ed eccola qui. Lei è Cristina Fogazzi, nota anche come Estetista cinica, un’imprenditrice della bellezza che ha creato uno dei brand più venduti in Italia, Veralab, scrivendo una pagina che resterà nella storia dell’imprenditoria.

Lo stigma del fallimento

Cristina nasce 48 anni fa a Brescia, dove tutt’ora vive. Il valore dei soldi lo capisce prestissimo, quando suo padre, imprenditore, fallisce.

«Ero alle medie. Le nostre case sono andate all’asta: il tema dei debiti e dei soldi era una cosa di scottante attualità nella mia vita».

Sua madre Rosy, all’età di 42 anni, inizia a lavorare. Va a fare l’operaia in un’azienda che trancia ottone. Intanto litiga di continuo con l’ex marito sfogandosi con la figlia. «Ho sempre avuto questo ruolo un po’ scomodo della bambina a cui veniva detto tutto, senza quel grande atteggiamento di protezione che per fortuna adesso vedo usare molto rispetto ai bambini».

Nel giro di pochi anni, le cose si stabilizzano: Cristina può permettersi di frequentare il liceo classico. Ma la serenità non dura a lungo. «La vita dei miei genitori è stata fatta di alti e bassi, perché mio padre ha cambiato lavori più volte. Quando sono andata all’università stavamo nuovamente in un periodo di bassi. A quel punto era stremata».

Così a 21 anni Cristina molla l’università e si mette a lavorare. Il suo unico obiettivo è essere indipendente, affrancarsi dalle incertezze con cui è cresciuta. Questo significa che ha bisogno di guadagnare. Subito e bene.

“Tante volte, per fare un certo tipo di carriera, ti tocca passare da un lavoro che è meno pagato. All’epoca non esisteva la parola stage, ma il concetto è quello. Ecco io non ho mai potuto scegliere un lavoro che fosse pagato poco.”

Comincia come receptionist in un salone di parrucchieri in un centro commerciale, Lavora come una pazza, sette giorni su sette, saltando tutti i riposi. Lo stipendio base, di un milione e 400mila lire, lievita fino a un milione e 800mila con tutti gli straordinari che fa.

Dopo qualche anno passa a gestire un negozio in centro. Il contratto prevede una parte di variabile sulla rivendita degli shampoo. Lei è brava, sa vendere. Inizia a guadagnare più di due milioni al mese. Ma come li spende?

«Pagavo 750mila lire di affitto. Più le spese condominiali. Se ci metti la benzina, perché a lavorare ci andavo in auto, e le altre spese fisse capisci che stiamo sempre parlando di una vita con la cinghia tirata».

Cristina, in quella fase, è scientifica: ha tutto diviso per budget.

“Avevo il budget cultura, 150mila lire al mese, perché leggevo un sacco di riviste, tra cui le riviste d’arte che costano parecchio. Però avevo un amico con una libreria che me le faceva pagare a rate.”

Cristina ha anche un budget per la voce “ragazza single che cerca di fidanzarsi”. «Dovevo pur andare a fare gli aperitivi, no? Quando hai il fidanzato un po’ smezzi, ma io sono stata single per grandissima parte della mia vita. Se esci una sera a settimana, e stai cercando un’anima buona che ti si pigli, ci vuole un certo budget».

A 30 anni, Cristina trova lavoro in un centro estetico, prima come venditrice poi come formatrice di altre estetiste. È qui che studia tantissimo: libri, paper, ricerche. Fino al giorno in cui chiudono quel ramo di azienda e le propongono di restare, ma a un terzo della paga. Non accetta. Dalla sera alla mattina si ritrova senza stipendio, senza Tfr, dal momento che era una partita Iva, e senza fondo di emergenza. Ha 35 anni.

«Non ero una cicala che spendeva i soldi per fare le vacanze a Ibiza, semplicemente pagavo l’affitto di mia mamma oltre a quello mio. E pagavo la donna delle pulizie per mia mamma e per me…».

Cristina è brava nella sua professione, conosce tanta gente, è stimata ovunque. Se volesse un nuovo lavoro ci metterebbe pochi giorni a trovarlo. Ma a questo punto vuole di più.

“È stato lì che ho detto: cosa faccio? Vado di nuovo a lavorare per qualcuno, con questa devozione, per poi trovarmi con un pugno di mosche in mano? Perché sappiamo qual è la situazione del lavoro in Italia. Il mondo dell’estetica, poi, non è uno dei settori dove il lavoro è pagato meglio. Né tantomeno normato meglio: sarebbe stata di nuovo una partita Iva. Se dovevo lavorare così tanto, valeva la pena farlo per me.”

La decisione è presa, ma non così a cuor leggero. «Avevo sempre avuto paura di diventare imprenditrice. Forse per lo stigma di ciò che era successo a mio padre».

D’altra parte, Cristina sa che il fallimento di suo padre era dovuto solo in parte a errori di natura manageriale o finanziaria. «La vita dei miei genitori è sempre stata caratterizzata da alti e bassi emotivi. Entrambi soffrivano di disturbo bipolare. In quelle condizioni è difficile che il lavoro funzioni. Mio padre aveva dei periodi di grandissima attività in cui faceva un sacco di cose, e di periodi che no. È chiaro che nei periodi no diventava complicato mandare avanti un’attività».


La necessità di divenire imprenditrice

Cristina avvia la sua impresa grazie a 20mila euro di fido in banca ottenuti con la firma di quello che è tuttora il suo socio. Prende un centro estetico già fatto e finito, come affitto di ramo d’azienda, assume un’apprendista e parte.

«Il mio primo compleanno, quando sono diventato imprenditrice, l’ho trascorso a fare volantinaggio in piazza Wagner. Regalavo una gerbera arancione, il colore del centro estetico, con il volantino per il trattamento omaggio».

I centri estetici sono un business complesso, marginano molto poco, tanto più in una situazione di affitto di ramo d’azienda. Così, dopo qualche anno, decide di aprirne uno interamente suo. La banca le dà fiducia: le presta 100mila euro. Lei affitta uno spazio vuoto, quello dove tutt’oggi è il suo centro, e lo riempie di lettini usati. «Li abbiamo ancora quei lettini. L’altro giorno ho chiesto alle ragazze di cambiarli perché mi viene l’angoscia a vederli».

Cristina, in quella fase, si fa aiutare da quante più persone possibile. Una cliente le procura gli arredi come cambio merci. Il fornitore di attrezzature gliele dà sulla fiducia. Sergio, che ancora oggi è il suo tipografo, le stampa volantini senza reclamare i pagamenti. Persino le ragazze che lavorano con lei accettano che gli stipendi vengano pagati in ritardo, perché si fidano. «Le persone ti aiutano. Se capiscono che sei una brava persona, se vedono l’impegno. Io sono stata circondata di affetto e di aiuto».

L’aiuto, però, nulla toglie al peso della responsabilità di quei 100mila euro di fido bancario ricevuto senza avere neppure un immobile di proprietà. «Ancora adesso, quando passo davanti alla Fiera di Milano, verso piazza Buonarroti, ho i crampi allo stomaco come allora».

Con un centro estetico tutto suo, le cose vanno meglio ma la marginalità è ancora troppo bassa, appena il 7%. Cristina sa che per crescere deve vendere prodotti. Lo ha imparato dai parrucchieri dove lavorava quando aveva vent’anni. Però non ci crede fino in fondo. Produce un primo lotto di 30 confezioni per ciascun prodotto. Attacca le etichette a casa sua. «Poi abbiamo pensato di venderli anche online, visto che avevo questo blog dell’Estetista Cinica. E diciamo che è stata una buona idea».

La vertigine del successo

Cristina vive qualcosa di molto raro. Se il centro estetico fatturava 250 mila euro, il primo anno in cui vende prodotti online il fatturato si quadruplica: 950 mila euro. E nel giro di 7 anni compie una progressione esponenziale.

«Il primo scalino è stato da 950mila euro a 7 milioni di fatturato. Poi abbiamo fatto 9 milioni. Poi sono arrivati i 21, poi i 45 e infine, l’anno scorso, i 63».

63 milioni di fatturato nel 2021. La Cristina imprenditrice, man mano che ha successo, capisce che per tenere a bada i suoi demoni, deve mettere distanza tra sé e la gestione economica dell’azienda.

“È una cosa che mi genera ancora molta ansia la gestione economica dell’azienda. È una delle parti che delego di più. Ogni tanto vado dal mio socio e gli chiedo se stiamo fallendo. Lui mi dice: ‘No, va tutto bene’.”

Qualche mese fa, per un errore di calcolo nella valorizzazione dei punti fedeltà erogati alle sue clienti (50 centesimi invece che 5 ), l’azienda ha rischiato il crollo finanziario. Mentre i giornalisti le dedicavano titoloni e commenti, non sempre lusinghieri, Cristina raccontava il suo errore alle clienti ottenendo in cambio fedeltà e comprensione.

«Può succedere che un’azienda si ritrovi in difficoltà per una flessione di mercato: hai previsto di vendere tot creme e ne vendi il 50% di meno. Si chiama rischio d’impresa e te ne fai carico. Ma se metto in difficoltà un’azienda sanissima per un errore di calcolo mi sembra uno smacco inaccettabile. Mi viene ancora mal di stomaco se ci penso».

Il lieto fine di questa storia non fa che dimostrare a Cristina, una volta di più, che il capitale sociale, di fiducia e lealtà,  è più importante di qualunque fatturato milionario.

Questo è anche il motivo per cui, dal giorno in cui ha imbustato il primo prodotto a oggi, non ha mai cambiato fornitori. Le creme le fanno in Valcamonica, i gadget a Pompiano. Sono loro a essersi adeguati a lei. La logistica, per dire, è passata da un magazzino di 400 metri a sei capannoni.

«Io non voglio neanche saperlo se c’è un fornitore più conveniente. So di pagare il prezzo di mercato. Può essere che esista un fornitore che mi fa due centesimi in meno, che per carità nei grandi volumi impattano, ma io preferisco tenere il fornitore storico. Perché noi oggi non saremmo qua se non ci fosse stato lui ad aiutarci. In qualche modo devi restituire».

La narrazione del lusso

Com’è cambiata invece la vita personale di Cristina da quando è milionaria?

«Nel privato è chiaramente cambiato tantissimo, perché mai nella vita avrei pensato di avere tutti questi soldi».

Oggi, se da una parte il tabù dei soldi è ancora forte e noi non sappiamo quanto guadagna nostra sorella, o che mutuo paga il nostro migliore amico, dall’altra parte viviamo immersi in una narrazione spudorata del lusso, che genera in noi invidia e ammirazione a seconda delle corde volta per volta azionate. Ma Cristina, pur vivendo immersa nel mondo dei social network, sceglie un altro tipo di narrazione.

“Il percepito mio non è di una persona ricca. Forse a causa della mia storia: sono povera dentro. Però dai miei social tu non hai la percezione della mia vita come della vita di Chiara Ferragni o di Giulia De Lellis.”

«Io non cambio borsette tutti i giorni. Se la domanda è: “Hai un armadio per cui potresti cambiare borsette tutti i giorni?”, la risposta è: “Sì, ma mi fa sbatti!”. Non riesco neanche ad avere il tempo di comunicare tutti i giorni che sto facendo una vita di lusso e privilegio. Poi, sto facendo una vita di lusso e privilegio? Sì. Vivo in una bella casa. Ho una bella macchina. Se viaggio, vado in un albergo bello. A volte lo faccio vedere su Instagram, a volte no: lo pago l’albergo, non ho l’obbligo di farlo vedere. Ho qualcuno che mi fa le valigie, che mi disfa le valigie, ho qualcuno che mi stira, non ho qualcuno che mi cucina, preferisco farlo io. Ho addirittura l’autista. Però ho una notizia: si possono fare tutte queste cose anche senza metterle sui social network».

“La narrazione del lusso è per chi lavora con Instagram e deve posizionarsi. Io non ne ho bisogno e quindi faccio vedere una vita normalissima. Ma secondo me, anche le persone che comunicano lusso hanno una vita normalissima. Solo che, se la facessero vedere, i brand del lusso non si sentirebbero a loro agio nel posizionare i loro prodotti nella vita di queste persone.”

Quando guadagnava due milioni di lire al mese, Cristina si era data dei budget (piuttosto originali) per le sue spese. Anche oggi ha un budget di massima per ciascuna voce.

«La divisione del budget dipende da come sei fatta. Io per esempio ho comprato due case al mare e non ho comprato nessuna casa per abitarci. Però compro opere d’arte. Ogni anno mi permetto un’opera d’arte costosa. Costoso vuol dire che ci potresti comprare un bilocale. E quindi tu dici: perché anziché un bilocale ti compri una nuvola di Leandro Erlich? Perché io sono fatta così. Un altro ti direbbe: investi nel mattone e affittalo».

Ed è proprio la sua scelta di come spendere i soldi a condizionare il percepito della sua ricchezza.

«Ogni tanto nei video riprendo la mia casa e le mie follower mi dicono: “Che bella, dove la compro quell’opera?” Perché la gente non sa quanto costa un’opera d’arte ma sa quando costa la Kelly di Hermès. Mi rendo conto che sembro più povera io di tanta altra gente, ma è solo perché a me non me ne frega niente di farmi vedere col Daytona al polso. Tra 20mila euro di orologio e 20mila euro di opera d’arte, io non ho nessun dubbio. Poi è chiaro che l’orologio nelle storie di Instagram lo vedi mentre l’opera d’arte no. Però sono scelte».

Il dilemma sul futuro

L’azienda di Cristina oggi è valutata 200 milioni euro. Una sua amica, quando lo ha scoperto, ha avuto una reazione piuttosto comune.

“Mi ha guardato e mi ha detto: ‘Ma tu veramente dormi la notte sapendo che sei seduta su 200 milioni di euro?’ E io le ho detto: cosa me ne faccio? A un certo punto, che tu abbia 50 milioni o 200 che cosa fai? Ti compri una casa tutti i giorni?”

Quando in economia si studia il rapporto tra reddito e felicità delle persone, i risultati mostrano come all’aumentare del reddito aumenti anche la felicità. Ma arrivati a un certo punto, la felicità non cresce di pari passo, perché subentrano ulteriori elementi ad alterare la relazione tra queste fattori. Cristina ne sembra perfettamente consapevole.

«Con quello che ho messo via in questi due anni, domani mattina potrei smettere di lavorare. Per citare mio marito: i soldi per la dentiera li abbiamo. Ma tu smetteresti? Guarda che me l’han detto in tanti di vendere. Ma poi? Cosa faccio? Me ne vado in giro per il mondo in barca? Faccio robe filantropiche? Per me è ancora divertente questa cosa, capisci?».

Cristina conosce il valore dei soldi certo. Ma sa anche che la felicità e il divertimento hanno un valore inestimabile.

“Questo è il mio bambino, è talmente grande la soddisfazione. Io dico solo un cosa: voglio vedere come va a finire.”

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