Quali costi posso scaricare se apro la Partita Iva?

Il concetto che sta alla base della deducibilità di un costo è il fatto che questo sia inerente con l’attività svolta. Ma quali sono i confini dell’inerenza di un costo?

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Questa è una delle domande che mi sento fare più spesso quando si decide di intraprendere un’attività.

Per rispondere è da subito necessario fare una premessa: dividiamo il mondo delle Partite Iva tra soggetti forfettari e non forfettari.

Il Regime forfettario ex legge 190/2014 – la famosa flat tax della quale oggi si sente così tanto parlare per il probabile aumento della soglia massima di ricavi, attualmente fissata in 65mila euro – prevede una determinazione del reddito in modalità forfettaria, ciò significa che in base alla tipologia di attività esercitata, la quota di reddito assoggettata a tassazione è determinata applicando una diversa percentuale ai ricavi. Di conseguenza, a parte i contributi pagati all’INPS o alla Cassa di previdenza ordinistica (tipo INARCASSA per architetti o Cassa Forense per gli avvocati), nessun’altra spesa è deducibile. Attenzione questo non è un male: il regime forfettario in alcuni casi (la maggior parte) è molto conveniente. Ne avevo parlato qui.

Vediamo ora il caso di un soggetto che per le più svariate motivazioni non può accedere a questo regime (ad esempio perché supera i limiti di fatturato). In questo caso il reddito è dato dalla differenza tra i ricavi e i costi deducibili. Il concetto che sta alla base della deducibilità di un costo è il fatto che questo sia inerente con l’attività svolta; esempio banale ma che chiarisce il concetto: se la mia attività è un negozio di moda sarà ovviamente inerente l’acquisto di scarpe e borse destinate alla rivendita, contrariamente se l’oggetto della mia attività è svolgere una professione, come avvocato o commercialista non potrò recuperare il costo di un acquisto di calzature. Sul concetto degli indumenti da lavoro, se ne è discusso parecchio, ma alla fine sono deducibili solo gli indumenti di lavoro che hanno una stretta funzionalità con l’attività esercitata tipo la tuta da lavoro per un meccanico piuttosto che la toga per un avvocato, ma non di certo un bel vestito per una cena di gala, benché riguardi il nostro lavoro.

Gli esempi circa l’inerenza del costo possono essere infiniti, tuttavia ci sono alcuni costi che possono essere facilmente individuati in tutte le attività: l’acquisto di beni strumentali, quali pc portatili ovvero arredi per zone destinate all’esercizio dell’attività sono deducibili integralmente, l’affitto di un locale come un negozio, un ufficio o un capannone, ma anche le spese della propria abitazione, qualora venga utilizzata come ufficio da un professionista, sono parzialmente recuperabili. Sono poi deducibili le spese relative al materiale destinato alla rivendita ovvero destinato ad essere consumato per la propria attività (cancelleria e varie). Ovviamente recuperabili i costi sostenuti per i più svariati servizi, dal costo per l’attivazione della PEC, alla gestione della telefonia (attenzione che la telefonia mobile ha dei limiti, in generale è recuperabile 80% del costo), alle spese relative alla pubblicità, anche quella sui social network come le adv su Facebook o Instagram, alle spese per compensi pagati a terzi per servizi di diversa natura purché inerenti e necessari all’attività svolta. Va da se che è integralmente deducibile il costo sostenuto per lavoratori dipendenti assunti in azienda, così come determinate tipologie di spese a questi collegate (quali ad esempio le spese pasto). Capitolo a parte è quello relativo ai costi dell’autovettura: in linea generale c’è una forte penalizzazione, tant’è che per queste spese è recuperabile solamente il 20% del costo sostenuto ed entro determinati paletti massimi.

Non è sempre facile tracciare i confini dell’inerenza di un costo per comprenderne la deducibilità, per questo ogni tanto vale la pena alzare il telefono e chiedere consiglio al proprio commercialista di fiducia.

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