Quel guadagno perduto, per il fatto di essere madre e freelance

Fin da giovanissima, Arianna Chieli rifiuta l’idea del posto fisso. Ma quando si sposa e ha due figli, si accorge che il tempo del lavoro è continuamente interrotto o del tutto fagocitato dalla cura della casa e della famiglia. Esige così un nuovo patto familiare per cui suo marito contribuisca maggiormente alle spese correnti per compensare tutto il suo guadagno mancato.

Tempo di lettura: 10 minuti

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Arianna Chieli

Ascolta il podcast della puntata:

“Sono nata in Umbria, a Città di Castello. Quella che io chiamo la mia profonda Louisiana. Non percepivo di avere dei problemi economici. Eravamo in una fascia media, però mia madre veniva da una famiglia estremamente benestante.
Mia nonna si vestiva benissimo, era una donna molto elegante che si faceva fare i vestiti su misura nelle sartorie oppure andava a Roma, da Valentino. Quel tipo di vestiti, io e mia madre non ce li potevamo più comprare”.

Arianna Chieli è figlia di due genitori che hanno scelto, per vocazione, una professione poco remunerativa: l’insegnante. Hanno uno stile di vita essenziale, posseggono tutto ciò che è fondamentale, ma non di più. Quel di più, però, lo conoscono bene. Arianna, fin da piccola, si perde dentro le meraviglie dell’armadio di sua nonna. La moda è già la sua più grande passione.

«Nella noia della provincia italiana, a 15 anni, quando non c’è niente da fare, o leggi libri o guardi i giornali, e io vedevo quegli abiti lì e li desideravo tantissimo. Solo che il fast fashion non esisteva. Dovevi pensare bene a che cosa comperare».

È proprio attraverso la moda che Arianna elabora cosa significa avere o non avere soldi.

“Mia madre, una volta all’anno, mi portava in un bellissimo negozio ad Arezzo che si chiama Sugar, esiste ancora, dove io potevo scegliere con grande parsimonia un capo costoso all’anno, che mi sarebbe dovuto durare a lungo. Però era una cosa e io volevo molto di più”.

Fin da ragazzina, pur ammirandoli profondamente, Arianna sa che non seguirà le orme dei suoi genitori. Vuole guadagnare di più.

La passione per la moda

«Vedevo per esempio quanto era brava mia madre, e pensavo a quanto poco guadagnasse con tutto quello che sapeva fare. “Il mio valore è determinato anche dai soldi che guadagno”, pensavo già allora».

Arianna capisce che il posto fisso non fa per lei.  «Non avrei mai performato abbastanza prendendo uno stipendio uguale tutti i mesi. Fare la libera professionista per me è stata una scelta precisa in anni in cui era molto più sicuro andare a lavorare per un’azienda».

Dopo il  diploma al liceo classico, Arianna si laurea in Lettere moderne all’Università Cattolica e poi si specializza in giornalismo multimediale. Quando arriva a Milano le sembra di essere atterrata in Paradiso.

«Mentre tutti si lamentavano del fatto che i milanesi erano sempre super eleganti, anche per andare al cinema, io pensavo finalmente di essere arrivata in un posto dove potevo vestirmi esattamente come volevo».

Anche nell’ambiente tradizionalista della Cattolica Arianna può sfoggiare il suo stile estroso e ricercato. Non è divenuta ricca, ma per necessità ha sviluppato la straordinaria dote di trovare nei mercatini e nelle mercerie le cose che vedeva realizzate dai grandi stilisti.

“Ricordo quando Jean Paul Gaultier lanciò i corpetti con i seni a punta che costavano uno sproposito e mi piacevano da morire. Mia madre mi disse che era una cosa degli anni ‘50 e mi consigliò di cercare in qualche vecchia merceria. E lì in effetti, trovai tutta questa serie di corpetti che erano esattamente l’ispirazione di Gaultier. Io dico sempre che per vestirsi bene servono o tanto tempo o tanti soldi”.

Milano è una città molto cara. Arianna viene aiutata dai suoi, ma per vivere appieno ha bisogno di più disponibilità economica così decide quasi subito di cercarsi un lavoretto. Mentre fa volantinaggio per una discoteca, vede ragazze vestite in modo strano ballare sopra dei cubi. Le chiedono se vuole provare.

«Ok, tieniti forte: io per volantinare prendevo 30mila lire per due sere, per fare la cubista mi davano 180mila lire a sera. Ho accettato. E l’ho fatto per tre anni. Mi sono divertita da morire perché mi facevo i vestiti da sola, quindi c’era grande creatività e grande disciplina. La prendevo come un lavoro, ballavo e poi, appena finito, tornavo a casa e il giorno dopo ero sui libri. Rispetto al tempo che avrei impiegato facendo la cameriera o qualsiasi altro lavoro diurno, questo per me era un buon compromesso».

Dal primo momento in cui inizia a lavorare, Arianna spende tutto ciò che guadagna. Ma non in vestiti. Non le è mai interessato comprare il capo di Chanel o la borsa firmata. «Li spendevo tutti per viaggiare, che è la cosa che mi ha anche regalato la testa che ho».

Arianna si laurea in 4 anni esatti, senza perdere neanche una sessione d’esami. La moda continua ad essere una passione profonda. Quando alla sera non riesce a dormire, la sua coccola di benessere è sfogliare cataloghi. Tutto ciò che desidera è stare più a contatto possibile con quel mondo. Ed è ciò che alla fine di un lungo giro è riuscita a fare.

«Ho deciso di trasformare qualcosa che mi faceva spendere dei soldi in qualcosa che me ne potesse far guadagnare».

L’avversione per il posto fisso e la fatica di darsi un valore

Ma la strada per arrivarci è lunga e avventurosa. Passa per la Francia, dove Arianna vive due anni. Per un’azienda multinazionale, dove viene assunta e piange ogni mattina perché capisce che il lavoro non fa per lei. Per uno studio televisivo, dove ricomincia dal gradino più basso, assistente dell’assistente di produzione. Per la start up di una delle prime web agency italiane. Poi per un’altra startup ancora. Infine Arianna approda a quello che, in forme diverse, sarà il lavoro della sua vita. La creatrice freelance di contenuti legati alla moda.

Nel 2010, apre un blog e questo le cambia completamente la vita.

«E lì ho iniziato a fare l’influencer marketing, che all’epoca non si chiamava così: i brand chiedevano progetti in cui fossero protagoniste le spokesperson della rete, quindi i blogger che poi sono diventati gli influencer e i creator oggi». Arianna fonda il Fashion Camp, dove mette in contatto i blogger con gli investitori e lei stessa comincia ad avere collaborazioni importanti.

Ha ottenuto ciò che voleva da bambina: un lavoro da reinventare ogni giorno, senza alcuna certezza, in cui non può mai sedersi e rilassarsi. Ma questo le richiede una profonda consapevolezza del suo valore.

“All’inizio è stato molto difficile per me chiedere soldi, fare dei preventivi che fossero in linea con il mio valore. Adesso sono abbastanza ferma e risoluta anche nel dire no rispetto a proposte che per me sono indecenti. Però ci ho messo tantissimo tempo”.

Il primo consiglio che Arianna ci dà per riuscirci è confrontarci con altri professionisti, intavolare conversazioni sui soldi. «Se hai dei professionisti che fanno un lavoro simile al tuo, prova a chiedere qual è la loro tariffa».

Il secondo consiglio è lavorare sulla percezione di sé e del proprio valore: «Se pensi di valere poco chiedi poco e alla fine ottieni anche poco. Io vado a fare le pulizie piuttosto che fare una roba che non è pagata giustamente per qualcuno che tenta di sfruttarmi».

Eppure, nonostante tutta questa esperienza e autoconsapevolezza, ancora oggi se chiedi ad Arianna se si sente svalutata rispetto a ciò che fa e al suo valore, la risposta è: «Tutti i giorni, tutti i santi giorni, perché so quanto tempo ci vuole per pensare, creare ed erogare un contenuto e quanto spesso dai brand sia dato per scontato».

Le cose non vanno meglio quando si trova a lavorare come consulente, quindi con tariffe orarie o giornaliere. «Puntualmente qualcuno decide che la giornata debba durare 48 ore, o magari che tu debba lavorare durante il weekend o che c’è solo una cosina ancora da fare, e tentano sempre di fartela fare gratuitamente ancora di più perché sei donna. Io di questo sono profondamente convinta».

Il patto familiare con il partner

Arianna ha scelto consapevolmente l’instabilità. Ma le persone che ha attorno faticano a capire questa scelta. Anche suo marito. «Per lui è stato molto difficile accettare che io volessi continuare a fare la libera professione nonostante tutte le insicurezze. Non capiva come io non potessi fare un’altra cosa. Io potevo farlo, ma non volevo. L’unica alternativa che vedo è quella di essere un’imprenditrice».

D’altra parte, è proprio la flessibilità del lavoro da freelance a permetterle di crescere due figli, con i genitori lontani, i suoceri poco inclini a questa forma di aiuto, e un marito che sì, guadagna di più, ma è anche tenuto alla dedizione totale che le aziende chiedono in cambio di uno stipendio fisso e di una carriera importante.

“Ero veramente da sola. Lavorare e crescere due ragazzi in una città come Milano, ti assicuro, non è facile. Il tempo che avrei destinato al lavoro lo dovevo destinare alla cura della casa e della famiglia. Per me questo tempo aveva un valore. Qualsiasi cosa facessi, scrivere un libro, avere una riunione, era un tempo continuamente interrotto. E ti dirò che questo è stato uno dei temi più critici del mio matrimonio”.

Arianna affronta questa criticità a più riprese. Ottenendo pian piano che il tempo da lei dedicato alla famiglia venisse valorizzato.

«Non ci siamo seduti al tavolo e non abbiamo quantificato questa cosa. Ma è stato un dato di fatto, perché io altrimenti me ne andavo. La cosa era chiara, perché non ne potevo proprio più. Non sono una piovra che ha otto braccia, riesce a fare otto cose contemporaneamente, ma ne posso fare solo una per volta. Neanche bene».

Oggi suo marito versa di più di lei nel loro conto comune, per compensare tutto il guadagno mancato di Arianna, e paga interamente di tasca sua la signora che viene a fare le pulizie.

«Siamo arrivati a questo compromesso. Mettiamola così!».

Il pensiero del futuro

Arianna ha 50 anni.

La moda nella sua vita continua a essere un gioco a somma zero.

«Compro tutto di seconda mano e vendo anche tanto. Però questo è il mio lavoro: io creo contenuti legati alla moda sostenibile. Quindi faccio vedere come ci si veste acquistando abiti second hand e preloved. Molto spesso questi abiti li compro, li metto un po’ e poi li rivendo. Cerco sempre di avere il saldo in pari in modo tale che vendo qualcosa e compro qualcos’altro senza spendere dei soldi».

A un futuro in cui smetterà di lavorare non ha ancora pensato compiutamente. «Non pensavo neanche che ci sarei arrivata a 50 anni. Ho sempre avuto una sorta di instabilità e irrequietezza. Avrò la pensione che mi darà la gestione separata dell’Inps ma non ho un fondo integrativo, ho la mia casa che a un certo punto venderò per andare a vivere in un posto dove la vita costa meno e dove stare con i piedi davanti al mare».

Lo sguardo di Arianna è ancora puntato al presente e all’immediato futuro. Se da una parte ha mantenuto la promessa di non arrendersi allo stipendio fisso, dall’altra parte non ha ancora centrato l’obiettivo di vedersi riconosciuto il suo valore sotto forma di un guadagno adeguato ad esso.

«A un certo momento tu devi scalare, cioè non puoi pensare di continuare a fare la stessa cosa solamente con la forza del tuo lavoro. È poco lungimirante. Tu sei una e il tuo tempo a disposizione è poco. C’è bisogno di qualcosa che ti permetta di ottimizzarlo».

Sì, Arianna sta meditando il salto da freelance a imprenditrice.

«Ho un’idea imprenditoriale che vorrei provare a realizzare. Ha a che fare con la moda sostenibile. Non so come andrà, però so che sicuramente nel mio futuro ci sono queste tre voci: imprenditoria, digitale e sostenibilità, che sono il fil rouge di tutta la mia vita».

“Io ho già startappato tre volte. Gli startupper dicono che non ti fermi mai. Che ci provi, ci riprovi, ci riprovi perché hai una cosa che ti muove dalla pancia, non puoi smettere. E poi magari una volta andrà bene anche economicamente. Chissà. La speranza è che finalmente si possa monetizzare”.

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