Per permettermi la vita che sognavo, ho cambiato città
Gaia Giordani ha 40 anni, un compagno, un figlio, un lavoro da consulente digitale, due case e un bagno turco. Per far fronte ai suoi bisogni, ma anche per soddisfare le sue passioni, Gaia ha periodicamente rivoluzionato la sua vita.
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Gaia ha 19 anni. Ha appena lasciato la campagna veneta per andare a studiare a Milano, quando la sua vita cambia repentinamente su tutti i fronti. «C’è stata una coincidenza», racconta. «Io sono andata a vivere fuori casa e i miei si sono separati. Per loro è stato un salasso finanziario, perché avevano una casa di famiglia e si sono litigati i soldi. Per me è stato uno choc: mi sono ritrovata di colpo in mezzo a un guado».
Per pagare l’affitto, Gaia potrebbe attingere a un gruzzoletto che suo nonno, come tanti nonni degli anni ’80, aveva accumulato per lei, compleanno dopo compleanno, 100mila lire per volta, in un libretto postale.
«Però mio nonno mi ha detto: “No, usa quei soldi per fare qualcosa che veramente non ti puoi permettere, tipo un viaggio incredibile”».
E così Gaia se ne va a Los Angeles per tre settimane, ospite di un’amica. Il biglietto costa 1400 euro, due volte il compenso che percepisce da stagista. Si rivela un’esperienza grandiosa fatta in tempi di ristrettezze. E una lezione da tenere a mente per la vita:
“Ho avuto subito l’impressione che tenersi da parte un gruzzoletto per le cose speciali fosse un po’ il segreto. Perché altrimenti le bollette e le spese fisse rischiano proprio di mangiarti la vita”.
Quel gruzzoletto per “viaggi incredibili” non sarà un vero e proprio salvadanaio fisico o digitale, ma un risparmio, anche virtuale, che autorizzerà Gaia a un godimento. La giustificazione per farsi un regalo insomma. Come quando, per esempio, ha smesso di fumare.
«Dopo un paio d’anni ho fatto il conto di quanti soldi ho risparmiato, non fumando più quasi un pacchetto al giorno. Ed è uscito un bel gruzzoletto che ci ha permesso di andare in vacanza. Una settimana, in offertissima, fuori stagione, scontata al 70%, in Madagascar. Ci è costata 2.300 euro o qualcosa del genere. E nella mia testa erano i soldi che avevo accantonato smettendo di fumare. Ma non è che li ho messi in un porcellino e poi l’ho rotto…».
Gaia Giordani oggi ha 40 anni, un compagno, un figlio e un lavoro da libera professionista. Per raggiungere gli obiettivi che di volta in volta si pone, che siano viaggi incredibili o una casa più grande, ha periodicamente rivoluzionato il suo stile di vita. Arrivando persino a cambiare città. Ma torniamo al principio.
La scelta della Partita Iva
Gaia cresce nella campagna veneta. Mamma e papà sono insegnanti di educazione fisica, due statali con lo stipendio fisso. Suo padre, però, ha anche altre entrate da libera professione, fa massaggi e trattamenti di medicina olistica. È talmente appassionato di queste materie che attorno ai 32 anni si iscrive a medicina. Si laurea a 45 anni e inizia una nuova stagione della vita professionale: da medico sportivo.
“Mio padre mi ha lasciato l’eredità di poter decidere che professione fare nella vita. Mi ha insegnato che il proprio destino, a livello di carriera, e quindi anche finanziario, non è segnato. Puoi avere uno stipendio da statale, però integrare facendo dell’altro. E puoi avere una seconda carriera a metà della tua vita professionale. Questa cosa mi ha sempre rassicurata. Ho pensato che avrei fatto così anch’io: avrei scelto un lavoro che amavo e poi casomai avrei cambiato strada facendo”.
A 21 anni, Gaia inizia a lavorare come copywriter nel mondo della pubblicità e a guadagnare bene. Il suo primo stipendio supera le duemila euro. C’è un però. Lavora dalle 9 del mattino alle tre di notte, con contratti co.co.co., senza la possibilità di una vera carriera.
In quegli anni inizia a scrivere sul web e lentamente costruisce il secondo tempo della sua vita lavorativa. Nel 2009 è pronta per il salto. Nel pieno della digital economy, passa dalla pubblicità all’editoria digitale. Dal contratto co.co.co alla partita Iva.
«La prima dichiarazione dei redditi è stata uno choc. Non ero abituata a ragionare sulle tasse. E non ero neanche in grado di contrattare il mio stipendio. Se fatturavo 40mila euro, me ne restavano 20 effettivi e ne avevo 18 di spese fisse».
Non solo, con il passaggio alla partita Iva, la commercialista le suggerisce di guadagnare meno. Di provare, cioè, a stare dentro il cosiddetto forfettino che all’epoca era di 30mila euro, anche a costo di rinunciare a dei lavori.
«Con la tassazione dell’epoca, se ne se ne guadagnavi 30mila dentro il forfettino, te ne restavano 26. Ma se ne guadagnavi 40 fuori dal forfettino te ne restavano 20. A me questa cosa fiscale mi ha sempre scioccata, non solo perché è un disincentivo all’imprenditoria, ma perché è assurdo che a parità di sforzo ti resti di più o di meno.
Gaia, però, ha scelto con convinzione la libera professione. «Non volevo essere ingabbiata all’interno di un contratto a tempo indeterminato». D’altra parte ha pochissime spesa extra. «Il mio stile di vita da single era molto più modesto: viaggiavo leggerissima, con quattro strasse (quattro vestiti ndr), diciamo noi in veneto».
Poi, quando ha voglia di uno dei suoi viaggi incredibili, o tira fuori un gruzzoletto di risparmi virtuali oppure si trova un lavoro freelance ben pagato: «Io dico sempre che vado a prendermi il cinghiale. In fondo il lavoro da freelance è come andare a caccia».
La riprogrammazione dello stile di vita
Passano gli anni e Gaia guadagna sempre di più. Nella sua vita entra l’attuale compagno, che va ad abitare con lei a Milano. Le spese iniziano ad aumentare: «Mangiavamo fuori tutte le pause pranzo e quasi tutte le cene, e poi facevamo due viaggi abbastanza grossi all’anno. Ci piaceva tantissimo andare alle Maldive, che comunque è molto costoso. E ci siamo resi conto che i soldi finivano. In due anni in cui siamo stati a Milano, non abbiamo messo da parte niente, anzi in realtà abbiamo eroso qualcosina che avevamo da parte».
Iniziano a pensare di fare un cambiamento di vita.
«Secondo me la spinta è stata il terrore della povertà. Ci rendevamo conto che quello stile di vita era insostenibile, perché ci mangiava tutti i soldi».
Decidono allora di trasferirsi a Torino, nella casa che il compagno di Gaia ha comprato tempo prima e per la quale paga già un mutuo.
“Abbiamo fatto il conto col bilancino: come migliora il nostro stile di vita se cambiamo città? Una città che è molto meno cara di Milano, dove non dobbiamo pagare l’affitto, bensì un mutuo che pagheremmo comunque, possiamo mangiare più spesso a casa perché non siamo dal cliente e in generale ci permette uno stile di vita più accessibile e molto più economico”.
Quando arrivano a Torino, però, si crea un’altra voce di spesa: il pendolarismo su Milano, perché i clienti sono tutti là. 800 euro al mese di abbonamenti sul Frecciarossa. Praticamente l’equivalente dell’affitto.
«Nel giro di un paio d’anni abbiamo cercato di trasformare le nostre collaborazioni in qualcos’altro che ci permettesse di restare di più a Torino».
Non è stato facile ma dopo due anni di transizione, Gaia e il suo compagno hanno quasi interamente clienti torinesi o gestibili da remoto, riuscendo a dimezzare le spese. Il lavoro, le abitudini, le relazioni sociali si accomodano naturalmente attorno a questa scelta di vita che per loro è finanziariamente più sostenibile.
In 10 anni risparmiano 90mila euro di affitto, a cui si aggiungono le pause pranzo. «Quando stavamo a Milano spendevamo più o meno 7.000 euro all’anno di pausa pranzo. Adesso a Torino, pranzando prevalentemente a casa, spendiamo più o meno 1.500 euro l’anno di pause pranzo, quindi abbiamo ridotto tantissimo quella voce».
Una cifra enorme si accumula anno dopo anno nel loro salvadanaio virtuale, ma questa volta non viene spesa in viaggi incredibili. Gaia a 35 anni rimane incinta e quei soldi serviranno per acquistare l’appartamento attiguo al fine di avere più spazio.
C’è un segreto dietro questa capacità di pianificare e destinare le risorse in modo strategico:
“Noi siamo stati molto fortunati perché la nostra commercialista è una persona che dà molto valore alle scelte di vita che impattano sulle scelte finanziarie. Quando ci incontra due volte l’anno ci chiede: per caso volete fare un figlio? State pensando di comprare un’altra casa?”.
Il carico psicologico delle spese fisse
Gaia e il suo compagno, nel frattempo, ricevono in dono anche un’altra casa, in campagna, che si rivela un pozzo succhia soldi per le spese enormi di gestione e manutenzione che richiede. Pian piano, i famosi costi fissi, quelli di cui parlava suo nonno, che rischiano di fagocitarti la vita, diventano altissimi.
“Facendo la ricerca per questo podcast, mi sono accorta che abbiamo 3.800 euro di spese fisse al mese. Non me ne ero mai accorta, ma ci sono perché c’è un mutuo, una rata della macchina, il costo della commercialista, la scuola di mio figlio, le terapie mediche che dobbiamo fare, le utenze, il giardiniere per la manutenzione ordinaria di un minuscolo spazio verde e tutta una serie di altre cose che non posso limare”.
Questa cifra astronomica di debito pregresso con cui si apre ogni mese è divenuto un carico psicologico molto pesante da concepire, soprattutto per due liberi professionisti, che lavorano su clienti che vanno e vengono, con progetti a scadenza.
Il cinghiale da prendere, ormai, non è più per farsi un viaggio, ma per far quadrare il bilancio familiare.
«Nel 2022, per esempio, siamo arrivati a fine anno senza soldi, volevamo andare a Dubai, invece stiamo a casa. A Caresta, come si dice in Piemonte».
Per fortuna Gaia e il suo compagno fanno lo stesso lavoro e sono intercambiabili: se uno si ferma (per malattia, gravidanza o altro) il partner può andare al doppio dei giri per stare a galla. «Quando ho avuto mio figlio, per esempio, mio marito che viene pagato molto bene, ha lavorato per tutti e due. Io ho continuato a fare qualcosina, ma con meno pressione rispetto a prima. Se uno dei due si ammala e magari ha dei mancati guadagni, l’altro cerca di compensare come può».
L’altra faccia della medaglia è la stretta interdipendenza dell’uno con l’altra.
“Siamo arrivati al punto di essere talmente tanto indebitati, io e mio marito, che non ci possiamo separare perché non ce lo possiamo permettere. E succede a tantissime altre persone”.
Urge a questo punto un nuovo cambio di direzione, un’ulteriore revisione dello stile di vita.
«Il mio piano diabolico per il futuro? Lavorare un po’ di meno e guadagnare un po’ di più. Quindi sia migliorare il nostro costo orario, anche perché noi donne siamo sottopagate: 1 ora di mio marito vale sempre 2 o 3 ore mie. Sia tirar dentro dei soldi con una rendita passiva di qualche genere. E poi, a tendere, andarcene in pensione il prima possibile. Non credevo che avrei sentito la stanchezza del lavoro così presto: mi sono resa conto che per me è frustrante vedere mio figlio che gioca con la baby sitter in salotto mentre io sono in ostaggio nell’altra stanza di un cliente che mi paga poco su un progetto che mi interessa poco».
Nel frattempo Gaia non ha dimenticato il segreto del nonno. E continua ad accumulare gruzzoletti virtuali per togliersi sfizi altrimenti ingiustificabili. Il progetto futuro è una sauna.
«Prima di diventare genitori, noi eravamo saunisti: andavamo sempre a fare saune Aufguss (un rituale di benessere/purificazione/svago, ndr). Questo voleva dire spostarsi in un’altra città, dormire fuori e fare delle cene meravigliose con gli amici dell’Aufguss. Un weekend di sauna magari ci costava anche 800 o 1000 euro. Una cifra impensabile da spendere oggi».
“Il progetto, quindi, è risparmiare tutti i soldi che non abbiamo speso nei weekend per le terme e comprarci una sauna. Abbiamo già iniziato a realizzarlo, perché quando abbiamo comprato l’appartamento di fianco abbiamo messo la colonnina vapore e ci siamo fatti il bagno turco…”.