Diventare padre, con quello che guadagno, mi sembra impensabile
Nello Di Coste cresce nella Puglia degli anni Novanta. I suoi genitori, papà ambulante e mamma impiegata, gli permettono prima di laurearsi fuorisede, poi di fare un master all’estero. Ma il sistema Italia, con i suoi stage gratuiti, posticipa il momento dell’indipendenza economica. Quando finalmente arrivano i primi lavori retribuiti, Nello passa dall’ebbrezza dell’autonomia alla consapevolezza che non riesce a mettere da parte nulla.
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“Ricordo una passeggiata con un mio caro amico, quando ero ancora al mio paese. Quelle chiacchierate che si fanno raramente, cuore a cuore. Era l’ultimo anno di superiori, parlavamo di futuro e lui mi disse: l’importante per me è poter dare alla mia famiglia, se ne avrò una, quello che mio padre ha dato a me. E io, quando lui disse quelle parole, pensai: anch’io! E in effetti la mia vera ambizione è poter dare, un domani, a una famiglia, quello che i miei genitori hanno dato a me. Il vero scopo, il vero obiettivo non è arricchirsi in maniera spropositata. Ma avere la tranquillità”.
L’investitura paterna
Nello Di Coste ha 32 anni. La sua è una generazione cresciuta con la cieca fiducia nello studio come possibilità di emancipazione sociale ed economica: «Quando da ragazzino ho iniziato a leggere, mia madre mi disse: chiedimi tutto quello che vuoi, sui libri non sarò mai titubante, quindi vai e compra».
Figlio di un papà ambulante e una mamma impiegata all’Inps, Nello cresce a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi. A 18 anni, quando si tratta di scegliere l’università, la famiglia non ha dubbi. Avrebbe potuto studiare a Bari o a Lecce, ma lo sguardo si spinge a Nord: Nello va a Roma, sua sorella a Milano.
Quello è il momento in cui suo padre, per la prima volta, gli parla di soldi.
«In intimità mi disse: ricordati che quello che stiamo facendo è un investimento sulla tua persona, non è un gioco o un passatempo. Perché quello che vai a fare, tra la stanza in affitto e l’iscrizione all’università, costa dai 20 ai 25mila euro».
E lui, a Roma, per la prima volta si rende conto di quanto costi vivere. Ogni giorno che passa, capisce quale piccolo miracolo abbiano fatto i suoi genitori: riuscire a pagare gli studi a lui e a sua sorella in città così costose. «E quindi ho iniziato a pensare: ma io un giorno riuscirò mai a guadagnare quello che mi serve per sostenere questo stile di vita?».
Nello sente sulle spalle la responsabilità dell’investimento fatto da suo padre.
“Vedevo tante persone attorno a me, magari fuorisede come me, che non avevano la mia stessa urgenza di portare a termine gli studi. Li ho visti perdere tempo e mi chiedevo come facessero a sprecare così i soldi della loro famiglia. Torna a casa se devi perdere tempo!”.
Neppure per un momento, però, passa per la mente di Nello l’idea di scegliere un percorso di studi solo in funzione della tipologia di stipendio che avrebbe garantito in futuro: «Fare per anni una cosa che fosse motivata solo dai soldi era veramente difficile. Io ho studiato Lettere e ricordo un discorso fatto dai miei genitori: “Scegli ciò che ti appassioni per tutta la durata della laurea, non inventarti Giurisprudenza solo perché pensi di ottenere un lavoro meglio retribuito, perché comunque le cose cambiano”».
Il tic toc dell’orologio sociale
Durante l’università, Nello va a fare l’Erasmus in Spagna. È un anno bellissimo. Vivere in una città come Valencia, con i costi dimezzati rispetto a Roma, gli fa provare l’ebbrezza della libertà, gli fa capire cosa significa godersi la vita senza sensi di colpa. Una volta tornato a Roma, decide di cercarsi un lavoro.
«A quel punto è nato in me il bisogno di essere autosufficiente, il bisogno di non dover chiedere soldi per fare qualunque cosa».
Nello trova lavoro come commesso e inizia ad avere le sue prime entrate. In quel periodo, mentre prepara la tesi, potrebbe tornare a vivere in Puglia, ma sua madre glielo vieta: «Mia madre mi disse: “No, tu te ne vai. Perché se rimani qui, non te ne vai più”. Ed è il motivo per cui ancora oggi mi trovo a Roma, perché col senno di poi mi sono reso conto di quanto la Puglia torni a essere un vestito facilmente indossabile appena passano le prime settimane di vacanza».
Una volta laureato, Nello fa un master che lo porta a trascorrere un anno a Philadelphia, negli Stati Uniti. E lì, per la prima volta, sente di essere in ritardo su un fantomatico metronomo che scandisce le tappe dell’esistenza.
“Gli studenti americani che ho conosciuto, della mia stessa età, erano autonomi da molto tempo perché uscivano dall’università e lavoravano. Anzi, già durante l’università avevano fatto esperienze lavorative retribuite. Il confronto con loro ha dato ancora più corpo alla mia presa di coscienza: quando torno in Italia deve cambiare qualcosa”.
E invece, tornato in Italia, Nello si ritrova a dover chiedere nuovamente aiuto ai suoi genitori. Il master prevede infatti uno stage di sei mesi. Praticamente gratuito.
Un passo avanti, due indietro
«Ho odiato quella cosa. Fare quel master senza un’entrata mi è sembrato veramente un tornare indietro. Sono stati sei mesi molto belli per scoprire il mondo del lavoro. Però sono stati i sei mesi più poveri della mia vita, perché avevo la routine da lavoratore ma senza vedere a fine mese una soddisfazione economica. Per cosa lo stavo facendo? Avrei voluto dimostrare ai miei genitori che avevano investito bene. E invece…».
Nello capisce che il sistema Italia gli richiede di tornare indietro per poi andare avanti. Giusto o sbagliato che sia, si adegua. E in effetti, dopo lo stage, arriva il primo contratto di apprendistato in un’azienda.
«E lì finalmente mi sono rilassato. Finalmente ero in grado di pagarmi l’affitto, di godermi qualche serata, di fare qualche uscita, di andare in un locale che magari costava un po’ di più…»
Con il primo stipendio Nello si compra gli Air pods. Una cosa utile, sia mai che debba rimproverarsela, ma comunque una gratificazione che in altri tempi si sarebbe negata.
«Avere la sicurezza che il tuo lavoro viene ripagato di mese in mese ti fa fare scelte diverse. Non dico che diventi sprecone, però inizi a goderti un po’ di cose in più. Magari vai in libreria e ti compri libri che leggerai chissà quando, ma lo fai con leggerezza».
Il primo stipendio è di 1200 euro. A Nello, che ha imparato a vivere con poco, sembrano tantissimi.
Un anno e mezzo dopo, Nello riceve una nuova offerta di lavoro. Accetta ciò che gli viene proposto. E ancora una volta, ricomincia da capo.
“Nella mia testa è scattato l’input di non trattare, di non insistere. L’importante è che mi prendano. E quindi ho ricominciato un apprendistato da zero. Credevo che trattare mettesse a rischio la mia possibilità di accedere a quell’azienda. Ma è stata tutta una mia idea. Col senno di poi mi è dispiaciuto aver perso quell’anno e mezzo, perché mi sarei rilassato di più in altri momenti della mia vita. Per esempio un anno fa, quando ho comprato casa”.
E infatti, quando decide di fare il mutuo, Nello si accorge che il contratto da apprendistato lo mette in una condizione di debolezza.
Il mutuo e la scoperta della “povertà generazionale”
«Il mio contratto non mi dava la certezza di un mutuo e ho dovuto mettere mia madre come garante, mentre la mia ragazza, che ha un contratto a tempo indeterminato da più tempo, aveva la certezza di accedere a quel mutuo. Quindi mi sono sentito la parte traballante e lì ho pensato che avrei potuto trattare».
I mesi tra ottobre e dicembre 2021, quelli in cui stipula il mutuo, sono difficili e al tempo stesso rivelatori.
«Sì, il mutuo penso mi abbia tolto il sonno: volevo uscire da quell’esperienza consapevole di aver fatto la scelta giusta. Perché nessuno ti insegna queste cose. Mi ritengo una persona che si è formata: ho fatto tutti gli studi, e anche oltre, ho fatto un master, e poi un altro master part time. Non so in quale fase della vita, io avrei dovuto imparare delle cose che vedo mia madre conoscere a menadito».
L’acquisto della casa è anche il momento in cui Nello realizza che sì, ha un buono stipendio, ma non ancora sufficiente a mettere da parte i soldi necessari a realizzare gli obiettivi di vita che si è posto. Per pagare l’anticipo, infatti, deve chiedere nuovamente aiuto ai suoi.
«Non abbiamo modo, come generazione, di mettere soldi da parte, come invece accaduto ai nostri genitori o ai nostri nonni, che avevano la cultura del risparmio ma anche la possibilità di farlo».
La promessa, mai pronunciata a parole, che lo studio avrebbe garantito una vita, se non agiata, perlomeno tranquilla, sembra frantumarsi alla prova della realtà.
“Studiare significa anni di sacrifici. Anni in cui devi saperti organizzare, anni in cui devi anche sopportare il confronto con chi invece ha scelto un altro percorso e già sta guadagnando e te lo fa pesare. Perché ho vissuto anche questo”.
Oggi Nello guadagna 1500 euro, più o meno come la sua compagna, e gli sembra poco: «Soprattutto in vista di un futuro, a volte mi chiedo come potrei mai dare a un eventuale figlio quello che i miei hanno dato a me, con la stessa tranquillità, in una città come Roma, con degli stipendi come quelli che abbiamo noi e con delle dinamiche di vita completamente diverse, ribaltate rispetto a quelle che avevano i miei genitori».
La madre di Nello era stata casalinga finché lui e sua sorella erano stati piccoli. Poi aveva cercato lavoro, facendo salti mortali organizzativi, ma potendo contare su una rete sociale di nonni e zii che l’aiutavano a gestire i bambini.
Il progetto “figlio”
«Oggi io mi chiedo se ce la farei mai. Sento i colleghi quando parlano di pannolini e in generale di tutto ciò che serve a livello economico per portare avanti una gravidanza. La nascita di un figlio, da qui, mi sembra impensabile».
Fare un figlio non è ancora un progetto concreto, attorno a cui tessere una conversazione quotidiana, ma è un obiettivo che abita la mente di Nello e della sua compagna senza bisogno neppure di essere discusso.
«È sicuramente un pensiero tenuto da parte, che però è venuto fuori nel momento in cui abbiamo dovuto scegliere la casa e ragionare sul numero di stanze. Era inevitabile fare un piano, non dico decennale, ma almeno di cinque anni. Abbiamo fatto i calcoli, per esempio, di quanto tempo servirebbe perché un bambino abbia la necessità di una stanza sua».
Il metronomo che scandisce le tappe dell’esistenza batte continuamente nella testa di Nello. Ma il suo dilemma appartiene a gran parte dei suoi coetanei.
“E la mia generazione è divisa tra chi ha fatto tutto e chi ancora ci sta pensando. E magari ci pensa anche troppo perché ha paura della situazione. I soldi non decidono tutto. Però ti danno una mano a fare scelte a cuor leggero”.
A bruciare non è tanto il confronto con gli altri. Bensì con l’idea di famiglia che si è involontariamente radicata nella sua testa fin da bambino.
«Io ho dei genitori molto giovani: mio padre ha 56 anni e mia madre ne ha 54. Ho praticamente degli amici come genitori. E mi ritrovo spesso a pensare che sarò molto adulto quando avrò a che fare con un essere umano giovanissimo, con il quale avrò una distanza generazionale totale».
Prima comunque di dare alla luce un figlio, Nello vuole centrare l’obiettivo di guadagnare di più. E in questo senso ha smesso di colpevolizzarsi per non essere capace di negoziare un trattamento economico migliore.
«Io lo so che bisogna chiederle le cose. Però potrebbe anche essere giusto che a volte arrivino da sole. Un’azienda deve coltivare i suoi talenti, le persone che vuole tenere, altrimenti le offerte fuori ci sono».
Durante questi mesi in cui ha iniziato a guardare con occhi nuovi la sua vita finanziaria, Nello ha esplorato una possibilità che non aveva mai sfiorato la sua mente.
“La partita Iva io, per esempio, l’ho sempre esclusa. Perché ne ho sempre sentito parlare come il demonio. E se invece fosse l’occasione per andare oltre? Se fosse il modo per veramente fare il salto e guadagnare molto di più?”.