Ho visto le banche bruciare i nostri risparmi di una vita

Quando Sanja ha 7 anni, lo scoppio della guerra nel Paese in cui è nata, la Bosnia Erzegovina, cambia per sempre la sua vita. Nel giro di 24 ore, tutti gli asset della sua famiglia, soldi e case, vengono bloccati. Né le banche né il Governo aiutano i cittadini a recuperare i risparmi di una vita. Nonostante ciò, Sanja viene cresciuta da suo padre secondo i valori tradizionali: l’importanza dello studio e del posto fisso. Ed è quello il copione che Sanja scrive con la sua vita, fino al giorno in cui si accorge che, per quanto abbia un ottimo stipendio, non è veramente libera.

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Sanja Kon

Ascolta il podcast della puntata:

“Avevo una grossa paura dei soldi. Per me il denaro era: lo guadagno, lo spendo, basta. La mia paura era: ‘Se lo investo lo perdo’. Oppure: ‘Se ce li ho da qualche parte, me li portano via’. E tutto a causa di quello che mi era successo”.

Quello che è successo a Sanja Kon è la guerra. Il conflitto nella Bosnia Erzegovina, dove lei è nata. Quando scoppia, nel 1992, lei si trova in Italia assieme a sua madre, interior designer, e suo padre, che ha avuto un’opportunità di lavoro. Dalla sera alla mattina, tutti i loro beni vengono bloccati, soldi e case.

Le 24 ore che hanno cambiato la mia vita

«Anche se ero molto piccola, perché avevo sei o sette anni, mi ricordo pienamente tutto quello che è successo. I miei genitori avevano tutti i loro asset non accessibili, le banche erano fallite. Mi ricordo il senso di impotenza, sia nostro come famiglia, sia dei nostri amici. Persone che magari avevano lavorato tutta la loro vita per costruire qualcosa, vedevano vanificare tutti i loro sforzi, le loro riserve. Letteralmente è successo tutto in 24 ore».

Fin da piccola, Sanja si pone delle domande che pochi di noi probabilmente si sono mai posti nella vita.

“Cosa sono i soldi? Com’è possibile che puoi perderli da un giorno all’altro se scoppia una guerra? Perché le banche non fanno in modo che ci sia più protezione per riaverli?”.

Tutte domande che neppure i suoi genitori si erano mai fatti.

«Anche se il grado d’istruzione dei miei genitori era medio alto, non avevano una grande consapevolezza finanziaria. Loro sono cresciuti nella Ex-Jugoslavia, un Paese socialista: credevano molto nel governo come strumento per proteggere i cittadini. Qualunque cosa succeda, c’è il governo che si prende cura di te».

Neppure lo shock della guerra e della perdita di tutto ciò che avevano messo da parte, cambia l’educazione finanziaria che i genitori trasmettono a Sanja.

«Quello che hanno saputo trasmettermi, nelle loro migliori intenzioni, è: “Studia e trova un lavoro fisso in modo che, poi, tu abbia una garanzia”. Mi hanno insegnato che dovevo avere un’educazione adeguata e accademica e che dovevo trovare un buon lavoro. Ma io ho sempre fatto challenge a questo pensiero, nel senso che non mi tornava qualcosa».

Grazie al buon lavoro che suo padre aveva in Italia, la famiglia di Sanja si riprende velocemente e riesce a condurre una vita dignitosa. Dovevano rimanere in Italia per due anni, finiscono per restarci 10. 

«La guerra è durata quasi cinque anni, ma anche dopo non era fattibile rientrare, non c’erano più le condizioni economiche. Il Paese era distrutto».

E in effetti, non è a Sarajevo che tornano 10 anni dopo, ma in Croazia dove Sanja frequenta il liceo. Per poi rientrare in Italia quando vince una borsa di studio alla Bocconi, una delle più importanti università di economia al mondo. Eppure, neanche lì impara a gestire il suo patrimonio.

“Ti insegnano tanti concetti di macroeconomia, di microeconomia. Però nessuno ti insegna come puoi, già a 18 anni, iniziare a investire, come puoi mettere qualcosina da parte per crearti un portafoglio che col tempo accresce il tuo patrimonio”.

Anche se ho avuto la fortuna di fare un’università pazzesca, un master a Copenaghen e poi di lavorare per importanti realtà come Vodafone, eBay, PayPal, per tanti anni mi sono accontentata della paga a fine mese, perché è questo che la mia famiglia mi aveva trasmesso.

La ricerca di un “padre ricco”

Qualcosa cambia a un certo punto. Sanja guadagna bene e può comprarsi tutto, ma sente di non essere ancora veramente libera.

“Perché un conto è avere un buono stipendio, un conto è essere libero finanziariamente. Nella mia carriera, soprattutto nei primi anni, ho fatto scelte dettate più dalle conseguenze economiche che avevano o da quanto mi facevano crescere nel mondo del lavoro, più che da cosa veramente mi piace fare e cosa mi diverte, cioè cosa sono brava a fare”.

«Non rimpiango niente di quello che ho fatto. Però, secondo me, essere libera finanziariamente vuol dire scegliere dei progetti o magari fare la mia azienda su ciò che veramente mi appassiona perché non ho il fiato alla gola, e comunque il mio patrimonio lavora per me e quindi posso dedicarmi ad attività a valore aggiunto per me e per gli altri».

Per riuscirci, però, Sanja deve andare oltre l’educazione che ha ricevuto. Deve trovare il suo “padre ricco”.

«Non so se hai mai letto il libro Padre ricco, padre povero. Parla di un imprenditore molto famoso che è cresciuto con due papà. Il suo papà naturale gli diceva, come i miei genitori: “Devi avere una buona educazione, devi trovare un buon lavoro, devi prendere la tua paga a fine mese”. E poi c’era l’altro padre, il padre ricco, che invece gli diceva: “Il denaro deve lavorare per te”. Questa parte, a me, non l’aveva insegnata nessuno. Però sapevo, da sempre, che c’era qualcosa che non andava. Fino ai miei 27-28 anni non ho trovato la mia strada. Poi, non avendo tanti role model intorno, ho cercato di prendere un po’ dappertutto e ho trovato Tony Robbins, uno dei coach più grandi al mondo. Sono andata a uno dei suoi primi eventi, ho iniziato ad ascoltare i suoi podcast e ho letto il suo libro, che si chiama Money. Master the Game, dove ha intervistato più di 50 persone, investitori e asset manager molto famosi, sulle loro strategie. E da lì mi si è accesa una lampadina. Ho capito che non sarebbe stato un lavoro a rendermi ricca o benestante, ma sarebbe stata la mia capacità di impiegare le risorse che stavo guadagnando per investirle in qualcosa che mi poteva fruttare di più. Ed è così che ho iniziato a investire nei mercati tradizionali».

Quella paura che continuava a tormentarmi

Sanja muove i primi passi in questo mondo in maniera molto cauta.

«Investivo da sola, perché ho sempre diffidato degli intermediari finanziari. Anche perché, a un certo punto, un gestore finanziario mi aveva consigliato di fare delle operazioni di profilo rischio molto basso e mi aveva fatto perdere qualcosa. E da lì ho detto: “No, piuttosto voglio studiare da sola e poi magari posso anche perderli i soldi. Però capisco i meccanismi che ci sono dietro. La cosa peggiore è investire in qualcosa di cui non capisco neanche perché sta perdendo soldi”. Ho iniziato un po’ così, a piccole piccole dosi».

Sanja si mette a studiare. Ma ben presto capisce che non si tratta tanto di imparare la materia o di scegliere la strategia giusta. Quanto di cambiare la sua relazione con il denaro.

“Io avevo una paura folle. Quindi ho dovuto fare un grosso lavoro su me stessa per combatterla e comunque non va mai via, l’importante è saperla gestire. Io per esempio diversifico il mio portafoglio su più cose in modo da non essere esposta a un ‘single point of failure’. Capisco quanto al mese voglio mettere da parte per investimenti, quanto invece voglio spendere. Fare questi ragionamenti mi ha aiutato a cambiare il modo in cui percepivo il denaro e a togliermi la paura di investirlo e perderlo.”

A questo punto della storia, Sanja scopre il mondo delle criptovalute, affascinata dal libro bianco di Satoshi Nakamoto, il leggendario inventore di Bitcoin, il quale spinge ancora oltre l’idea di libertà finanziaria. Che per lui significa essere indipendente anche da intermediari come banche e governi che potrebbero impossessarsi dei tuoi asset da un momento all’altro.

Bitcoin, infatti, per la prima volta dà la possibilità di scambiarsi del valore in modo diretto, da soggetto a soggetto, senza coinvolgere gli intermediari finanziari come le banche. E tutto questo grazie a una tecnologia rivoluzionaria che si chiama blockchain.

«Nell’Unione europea non ci è mai successo che la banca o il governo ci confiscassero il denaro. Però può succedere. È successo in Canada due anni fa durante le proteste no-vax da parte camionisti, quando il governo ha deciso di fare un freezing dei loro asset finanziari in banca. Può succedere, dunque, ma non ci pensiamo perché a noi non è successo. Quindi ci sentiamo sicuri di mettere il nostro denaro in banca, ecco magari non negli ultimi mesi, con tutto quello che sta succedendo, però la maggior parte delle persone non si interroga. Quando ho letto il primo White Paper di Bitcoin ho detto: “Wow, questo sì che è un concetto che può portare a una rivoluzione”. Ma ovviamente nei primi anni non ho fatto niente, non ho investito. Sono stata un po’ di lato, a guardare».

La fiducia nelle criptovalute, come investimento “sicuro”

Sanja, a quel tempo, lavora nel market place di una grossa azienda finanziaria. E lì si accorge che nei pagamenti internazionali il valore delle commissioni è esageratamente grande.

«Le fee che un venditore paga se vende a livello internazionale sono altissime, fino a un 10% su ogni singola transazione. E questo mi è sembrato assurdo, cozzava con i miei valori, tantissimo. Così, avendo già un’infarinatura di cos’era la blockchain, ho iniziato a vedere se poteva essere utilizzata per aiutarci a gestire i pagamenti internazionali, per aiutare i nostri clienti a pagare meno».

Era l’inizio del 2018. Troppo presto per portare una innovazione di questo tipo all’interno di una grossa azienda strutturata. Così Sanja intercetta un altro Libro bianco. È quello di un giovane startupper che aveva un’idea di come decentralizzare i pagamenti utilizzando la blockchain. Era solo un’idea. Non c’era niente, né un’azienda né un prodotto. Lei decide di lanciarsi. Lascia il posto fisso e si mette in società con l’autore di quel White Paper.

La libertà finanziarai non l’ha ancora raggiunta.

“Quello che mi sono detta è ‘adesso o mai più’. C’era molta paura. Mi avevano insegnato che il posto fisso è importante. Che l’azienda con un grosso brand ti aiuta nella carriera. C’è stato abbastanza giudizio nel mio circolo di persone rispetto a questa scelta. Anche perché essere founder vuol dire tante cose, sei responsabile per altre persone, se non riesci a trovare finanziamenti per l’azienda devi metterli tu. È stata una grossa responsabilità da prendere, ma sicuramente mi ha portato la libertà finanziaria”.

Utrust, così si chiama l’azienda che fonda, ha sede in Portogallo, che è l’hub europeo del web3, ovvero di una nuova idea di web totalmente decentralizzato, basato su protocolli inediti e, soprattutto, sulla blockchain.

Utrust è una piattaforma di pagamento che offre agli acquirenti di  pagare prodotti e servizi con le criptovalute, e offre ai venditori  la comodità di ricevere quel pagamento in valuta fiat, ovvero quella emessa da uno Stato e legalmente in corso (euro, dollari, sterline). Utrust, insomma, è il ponte tra il mondo tradizionale e chi vuole pagare in criptovaluta. Un intermediario. Il che è piuttosto strano visto che le ciriptovalute nascono per cancellare gli intermediari. Ma è un processo che avverrà per gradi.

«I Paesi emergenti, dove c’è un’alta inflazione come la Turchia, l’Argentina, hanno già un tasso di adozione crypto molto alto perché le usano per proteggersi dalla fluttuazione della loro valuta. E quindi hanno meno bisogno di intermediari come noi. In mercati come l’Europa, invece, vince chi riesce a colmare questo gap, perché i consumatori vogliono pagare in crypto, però chi riceve il denaro lo vuole ancora in fiat. Primo perché, a livello di regolamentazione, in Europa non c’è chiarezza univoca e quindi chi riceve denaro non vuole essere esposto a questo asset, ma vuole comunque avere il beneficio di nuovi consumatori che pagano in crypto. Secondo perché, ancora non ne vedono l’utilità, quindi ancora vogliono avere i loro soldi in banca. Però, secondo me, le cose cambieranno».

Stanno già cambiando. Con l’inflazione, per esempio, molti clienti iniziano a volere i loro pagamenti in stable coin,  che è una moneta digitale come Bitcoin, ma meno volatile perché ancorata a una valuta tradizionale, come per esempio il dollaro. Gli stablecoin hanno ereditato dalle crypto alcune caratteristiche interessanti, come il fatto che possono essere utilizzate in qualsiasi momento, indipendentemente dagli orari della banca. E sono sicuramente un mezzo per avvicinarsi ad esse.

Lo sguardo al futuro

Il compagno di Sanja oggi lavora nella cyber security ma ha alle spalle anche lui l’esperienza di una startup in crypto. In casa si parla spesso di lavoro, ma ognuno investe a modo suo.

«Ognuno le finanze se le gestisce come vuole. Abbiamo due profili di rischio diversi. E poi abbiamo anche interessi diversi per quello su cui ci piace investire e quindi fin da subito ci siamo detti che ognuno avrebbe avuto la libertà di fare quello che voleva. Poi, ovviamente, a livello familiare siamo consapevoli di quello che abbiamo. Però appunto, io non voglio intralciare quello che fa lui e viceversa».

Sanja è incinta, il suo bambino nascerà a giugno. Utrust è stata venduta l’anno scorso a un altro player, lei ne è ancora amministratrice delegata ma nei prossimi mesi piano piano ne uscirà. L’arrivo di un figlio ha riposizionato ulteriormente i suoi obiettivi.

“Voglio creare ancora più valore e voglio creare ancora più sicurezza per la mia famiglia. Però, come strategia di investimenti, non è cambiato molto perché penso di aver raggiunto un equilibrio tra la parte su cui mi sento di rischiare e quella su cui voglio avere un passivo. Quindi, anche se rischio e anche se perdo, ho poi sempre degli interessi passivi che mi derivano da altri investimenti più più sicuri che faccio”.

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