Non sarò mai ricca, ma sono libera
Simona Coppola ha 52 anni e non c’è stato un giorno nella sua vita in cui non abbia parlato di soldi. Figlia di due operai, è cresciuta sapendo quanto entra in casa e quanto esce, quanto si paga di luce e quanto per il cibo. Questa consapevolezza finanziaria non le ha regalato una vita più semplice di quella degli altri. Ma di sicuro le ha permesso di compiere scelte di libertà.
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“Sono figlia di due operai e sappiamo tutti che i soldi degli operai sono contati: si controlla quello che esce e quello che entra. E così ho sempre fatto pure io. In casa si parlava di soldi. Ma non è stata una cosa pesante a livello psicologico, tanto è vero che per me oggi è la normalità”.
Raccontiamo spesso, su Rame, cosa succede quando evitiamo di relazionarci con la parte della nostra vita legata ai soldi. Ma cosa succede nel caso contrario? Quando fin da piccoli i soldi hanno occupato un posto di tutto rispetto nei nostri pensieri? Simona Coppola oggi ha 52 anni e qui ci racconta cosa significa vivere sapendone il costo.
Il controllo delle entrate e delle uscite
Simona esce di casa a 28 anni, quando è il momento di sposarsi, esattamente come suo marito: «Non ho mai neanche pensato di andare a vivere da sola. Sono cresciuta in un ambiente culturalmente antico, vecchio».
Ci mettono sei anni ad avere la loro desideratissima figlia. Ma è proprio la nascita di Matilde a segnare il primo momento di fragilità:
«Dopo il parto, ho avuto un crollo vertiginoso. Non ero più in grado di capire chi ero. E lì ho iniziato un percorso molto travagliato. Ce l’ho fatta a venirne fuori, anche se ogni tanto cado e mi rialzo, perché evidentemente non avevo un equilibrio mio. E la nascita di un figlio è dirompente, non c’è niente da fare».
Simona soffre di depressione e quando intraprende cure psichiche, che durano due o tre anni, si accorge che il sistema sanitario nazionale non copre gli ansiolitici e neppure la psicoterapia.
«Io ho fatto tutto privatamente. Ma a quel tempo non avevamo grandi problemi: quando c’è bisogno, i soldi si tiran fuori. Certo, a livello economico è stato impattante, però ce l’ho fatta».
A parte la breve parentesi della fase più acuta della depressione, Simona si è sempre occupata della gestione finanziaria della casa.
“Chi controllava, chi teneva le fila: sono sempre stata io. Come i miei genitori, sapevo esattamente cosa entrava in casa e cosa usciva”.
Il suo metodo di gestione è piuttosto semplice:
«Io faccio tutti i miei schemini, cioè so durante l’anno quello che mi deve uscire, le spese fisse, il cibo, la corrente, il gas, l’assicurazione. Poi, ogni volta che faccio una spesa, la segno subito. Ormai sono diventata un po’ più digitale: lo faccio dal telefono o dal computer, inserisco subito la spesa e butto via lo scontrino».
La prima scelta di libertà: separarsi
Simona non ha avuto una vita finanziariamente più semplice di quella degli altri grazie a questo controllo dei conti. Ma di sicuro si è potuta permettere scelte di libertà.
La prima, la più dolorosa, è stata quella di separarsi
«Fosse stato per lui, avremmo continuato così. Ma ormai eravamo fratello e sorella. Io non vivevo più, soprattutto mia figlia viveva una situazione che era troppo imbarazzante, tesa… Non potevamo andare avanti così. Ancora oggi, dopo sette anni che non viviamo più insieme, sono angosciata da questa cosa: mi sento anche in colpa, perché è partito tutto da me e so che lui, a livello finanziario, non sempre sa gestirsi.
Simona prima di arrivare alla separazione vera e propria ha visualizzato ogni scenario.
“Sapevo, col divorzio, di andare incontro a una situazione finanziaria che avrebbe causato dei problemi. Però non ce la facevo più. Sapevo che sarebbe stata dura. È dura. Però ho imparato un sacco di cose da quando vivo da sola, perché è un’esperienza che io non ho mai fatto prima”.
Nella nuova organizzazione familiare, i conti delle spese ordinarie e straordinarie continua a tenerli lei. Lo shock finanziario rappresentato dal divorzio, dunque, è tutti i giorni sotto i suoi occhi. Se i loro stipendi sono rimasti gli stessi, 1500 euro ciascuno, il loro potere d’acquisto è diminuito drasticamente.
«Prendere insieme 3.000 euro al mese, devo dire la verità, era un buono stipendio. Non si dovevano certo fare i conti alla lettera: se una sera si decideva di andare a mangiare una pizza si faceva e basta. Mentre adesso è tutto diverso: abbiamo due case, due utenze, è tutto doppio».
Il costo della salute mentale
Alle spese improvvisamente raddoppiate, si aggiungono le terapie psicologiche che Simona riprende a fare, per riuscire a gestire il difficile momento.
“Ho ripreso la terapia poco prima di separarmi perché ero intrisa di sensi di colpa ed ero convinta di non poter fare questa operazione. Poi, nel frattempo, sempre durante la terapia, ce l’ho fatta a separarmi o quantomeno lui è uscito di casa e io ho continuato la terapia per quasi quattro anni. Tutto privatamente”.
Il mancato riconoscimento delle cure psichiche da parte del sistema sanitario è la conseguenza di una cultura molto diffusa nella società.
«Ancora oggi io sono scioccata da questa cosa, però la cultura è quella. Io non sto dicendo che l’ansiolitico debba essere acquistato come farmaco da banco. Però se hai mal di pancia vai dal medico e ti sistema la pancia, perché se hai un problema alla testa non puoi essere sistemato e devi essere considerato un pazzo? Conosco persone che non ci credono alle cure psichiche e che dicono: “Devi reagire!”. Ho avuto questo problema con mio fratello a proposito di mia mamma. La quale vive praticamente con il sacchetto delle medicine di fianco. Lui non ha mai guardato gli effetti collaterali di nessuno di quei farmaci ed è andato a guardare gli effetti collaterali dello Xanax. “No, perché deve reagire”. Ma ha 80 anni! Perché se uno ha bisogno di un attimo di aiuto non può riceverlo?»
La seconda scelta di libertà: dimettersi
Simona, oltre a uscire da un matrimonio infelice, ha compiuto anche un ulteriore gesto di libertà, legato al lavoro. Dopo 27 anni da segretaria in uno studio notarile, dove aveva sempre lavorato benissimo, per una serie di ragioni, si era ritrovata in un nuovo studio, con un nuovo titolare.
«Brutta esperienza. Anzi, tremenda. Piangevo tutti i giorni. Mi dicevo: “Devi durare, devi durare, devi durare. Non possono essere tutti bravi come la ‘capa’ che avevi prima”. Ma, un momento: ho quasi 50 anni, perché devo stare male così? C’è qualcosa che non mi quadra. Va bene, me ne vado».
E così Simona fa un salto di carriera rivoluzionario. Prova a svolgere la sua attività da freelance, lavorando con più “capi”, senza replicare la dinamica del posto fisso.
«Non ho fatto un vero e proprio business plan, ma ho progettato tutto dal punto di vista economico. Cioè, mi sono detta: “Di cosa ho bisogno per fare questa attività? Di cosa ho bisogno per vivere ogni mese?” Non ci sono ancora arrivata a coprire tutti i costi ma ci sto lavorando».
Prima dimettersi, Simona si crea un cuscinetto di emergenza.
“Avevo una un’assicurazione vita che ho riscattato e mi sono detta: ‘Anziché essere la mia assicurazione sulla vita, è la mia assicurazione sul lavoro, il gruzzoletto al quale attingo. Voglio vedere se riesco a farcela da sola’. Quando vedo che il gruzzoletto termina, è perché evidentemente non ce l’ho fatta e devo prendere altre strade. Però no, c’è ancora ancora tempo”.
Il riscatto dell’assicurazione le vale 15.000 euro, a cui si aggiungono il Tfr e qualcosina che aveva prima da parte. Ma oggi le uscite sono ancora superiori alle entrate per cui quel gruzzolo viene eroso mese dopo mese. Ne restano circa 10mila.
«Se prendo il totale di quello che spendo in un anno e lo divido per dodici, mi accorgo che la media è sempre 1.600, 1.700, mentre prima era un pochino meno, quando ho iniziato era 1.300 e 1.400. Costa tutto di più, guarda solo la corrente: io pagavo 70€ ogni due mesi, adesso pago il doppio. Sarebbe bello avere una serenità economica, ma anche una serenità psicologica nel lavorare».
In effetti, queste scelte al tempo stesso coraggiose e consapevoli hanno un prezzo molto alto a livello di serenità.
«Inizialmente c’era proprio il panico, facevo fatica a dormire la notte, ogni tanto mi svegliavo tormentata dal pensiero di non farcela. Adesso dal panico passo alla malinconia del fallimento, perché vedo che le cose non vanno come vorrei io e quindi devo sempre cercare di capire chi posso contattare, cosa posso fare per per vendermi. Comunque, mi sono data tempo fino alla fine di quest’anno. Mi gioco ancora qualche cartuccia e se non cambia granché nella mia vita economica, mi viene male solo il pensiero, ma a gennaio cerco di capire se è il caso di continuare o di fare un’ulteriore svolta.
Simona ancora non riesce a vedere le sue scelte dentro la prospettiva lunga dell’esistenza. Ma di sicuro un giorno potrà dire di non essere stata ricca, ma decisamente libera.
“Però il soldo è il primo pensiero con cui ti alzi al mattino e l’ultimo pensiero con cui vai a dormire”.