I soldi sono il filo che tiene unita la mia famiglia

Lorenzo cresce con la paura di confessare ai suoi di essere gay. I genitori lo scoprono per vie traverse e non riuscendo ad accettarlo in nessun modo, decidono di ignorare quella parte della sua identità. In compenso, gli pagano gli studi, gli puliscono la casa e gli fanno il bucato. E anche quando diviene indipendente economicamente, approfittano di ogni occasione per fargli la spesa, riempirgli il serbatoio dell’auto, oppure rimborsargli gli acquisti extra come il computer nuovo.

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“C’è un errore imperdonabile che ho fatto: nel momento in cui ho avuto il doppione delle chiavi di casa… le ho date ai miei. Diciamo che in quel momento, considerando la cifra che avevano tirato fuori per comprarla…”

La casa gliel’hanno praticamente regalata. Ma quella che per Lorenzo è una forma di riconoscenza diviene da parte loro un esercizio di possesso. Che lui fatica a contenere perché i soldi, e tutto ciò che gira intorno a essi, da anni, è l’unica relazione che riesce ad avere con i suoi genitori.

Un’infanzia a tasche vuote

Lorenzo Gerli cresce a Cuggiono, paese in provincia di Milano. È figlio unico. Mamma insegnante alle medie e papà che si occupa del controllo di qualità in aziende tessili.

“Io non ho mai avuto una paghetta. I miei partivano dal presupposto che tutto quello che mi serviva me lo avrebbero comprato. Gli unici soldi che mi passavano per le mani, erano quelle mille o duemila lire per andare all’oratorio, e comprarmi il gelato o le caramelle. Però, per il resto, mai avuto niente direttamente in tasca. Le buste con i soldi che arrivavano dalle nonne o dagli zii venivano requisite e finivano in libretti postali”.

All’università, benché appassionato di comunicazione, Lorenzo non tenta neppure l’esame di ammissione al Politecnico e si iscrive a Economia all’Università Cattolica seguendo le indicazioni dei genitori.

«In realtà, era tutto nato dalla visione che loro avevano per me. Mi ricordo di questa frase che mi avevano detto: “Anche se riuscirai a passare il test d’ingresso, e comunque non ce la farai, è un lavoro in cui non sei capace e non hai prospettive”. Un discorso del genere, a 18 o 19 anni, un po’ di paura te le getta addosso».

A Lorenzo, in realtà, i numeri piacciono. Tutto il mondo della contabilità, dei bilanci, della statistica è un puro godimento per lui. È il diritto che proprio non sopporta. E così alla metà del terzo anno di Economia decide di mollare l’università. Anche perché nel frattempo ha trovato un lavoretto come grafico autodidatta in una redazione giornalistica. In casa non succedono particolari drammi per questo abbandono. C’è un’altra questione a tenere banco.

Il coming out rubato

«Era un momento in cui c’era un po’ di turbinio. Non dico che stavo prendendo coscienza di me come omosessuale, ma stavo prendendo coscienza del fatto che non mi potessi tenere tutto dentro».

È il 2008. Lorenzo ha 23 anni, ha già fatto coming out con alcuni amici, ha anche un fidanzato stabile, ma ha ancora molta paura di dirlo ai suoi.

«Ancora adesso, nel 2023, abbiamo un enorme problema di rappresentazione di tutta la cultura queer, figurati negli anni ’90, quando la rappresentazione televisiva, se c’era, era comunque assolutamente esagerata e macchiettistica.

“Cresci quindi con una paura grandissima di come i tuoi genitori potranno prendere la tua omosessualità. Consapevole, poi, del fatto che i miei erano persone che su tutta la sfera affettiva non si erano mai esposti: non mi avevamo mai chiesto se mi interessasse una ragazzina, figurati la paura di instaurare un dialogo su ‘guarda che mi piacciono invece i ragazzini’.”

In fondo, Lorenzo nutre la speranza che quella conversazione non vada così male. Non è però lui ad avviarla né a stabilirne i tempi. Quell’estate, mentre è in Grecia con il suo fidanzato e tanti altri amici per il matrimonio di uno di loro, c’è un suo conoscente che fa outing, cioè che rivela l’omosessualità di Lorenzo ai suoi genitori.

«Io non ho avuto modo di gestire la conversazione con loro su questo fronte. Quando sono ritornato a casa è stato tutto abbastanza esplosivo».

L’abbandono di Economia si colloca più o meno in questo momento e Lorenzo fatica a ricordare cosa sia successo prima e cosa dopo.

«Mi avevano anche mandato da uno psicologo, credendo di curarmi, ma di fatto è un percorso che ho intrapreso perché ne avevo bisogno. E quando lui mi ha chiesto di poter parlare con i miei genitori, loro sono usciti da questo incontro sconvolti, chiedendomi scusa per la persona da cui mi avevano mandato. Essendo una cosa che pagavano loro, non ho più continuato. Fortunatamente in quei mesi mi aveva aiutato a sbloccare determinate cose. Mi ricordo comunque di questa conversazione con i miei in cui ho detto loro: “Guardate che l’Organizzazione mondiale della Sanità è dal 1984 che ha detto che non siamo malati. Quindi cosa vi aspettavate da un medico iscritto ad un albo?”».

A quel punto Lorenzo parla chiaro con i suoi genitori:

“‘State rifiutando una parte di me e quindi state rifiutando me nella mia interezza.’ Loro credo che ne abbiano preso atto, però non hanno mai fatto nulla per venirmi incontro. La crisi, in qualche modo, siamo riusciti a farla rientrare con una modalità ‘don’t ask, don’t tell’, per cui semplicemente non se ne parla”.

Affetto sotto forma di soldi

Mentre in famiglia il silenzio avvolge tutto ciò che riguarda la sua vita emotiva, Lorenzo tenta il test al Politecnico e riesce a entrare. Inizia così a studiare e a lavorare contemporaneamente. In una folle routine difficile da spiegare, dal momento che i suoi genitori continuano a pagargli le rette universitarie oltre a non negargli mai nulla.

«C’era la possibilità che si verificasse il caso peggiore: essere cacciato fuori di casa. Forse, inconsapevolmente, questo era il motore che mi ha sempre spinto ad avere un rapporto coscienzioso con i soldi, a iniziare a lavorare, a tentare di tenere da parte i soldi, a spendere il giusto senza esagerare».

Da parte sua, Lorenzo non ha fretta di uscire di casa. Frequenta un ragazzo e spera un giorno di andare a vivere con lui. Ma le cose vanno diversamente. La storia finisce e a lui viene proposto un lavoro in un’agenzia a Bergamo.

“Pensavo che la mia indipendenza economica avrebbe segnato il momento di distacco e di rottura dai miei. E invece loro mi hanno inseguito. Hanno iniziato a farsi vivi in ogni modo. Dalle chiamate quasi giornaliere, con i consigli su cosa cucinare, al controllo di cosa avessi preso al supermercato. Poi si facevano un’ora di auto per venire nel weekend a sistemarmi casa e a pulirla”.

Lorenzo all’inizio non si oppone a questa loro presenza nella sua vita. Da una parte per un motivo egoistico: «Comunque fa comodo avere mamma che ti sistema casa, perché puoi stare due giorni a pulire tutto e non sarà mai perfetto e splendente come un’ora sua di rassetto».

Dentro di lui, però, c’è un’altra fiammella di speranza accesa: «Non è che magari è il loro modo, forse l’unico modo che stanno trovando per dimostrarmi che a me ci tengono. E magari può essere il passettino per migliorare il rapporto».

Lorenzo può ormai mantenersi da solo, non ha bisogno di soldi eppure i suoi genitori non si arrendono a chiudere quella forma di connessione con lui.

«Quando venivano, c’era sempre il momento “andiamo a fare la spesa”, con le litigate in cassa perché mio padre voleva essere il primo a tirar fuori il bancomat. Oppure, mentre io e mia madre eravamo in casa a sistemare, lui prendeva le chiavi della macchina e andava a far benzina, anche se magari il serbatoio era a 3/4. Quando mi si è rotto il computer, e ne ho dovuto prendere uno nuovo, avevo i soldi per pagarlo, ma hanno voluto a tutti i costi farmi un bonifico».

Dopo due anni e mezzo a Bergamo, Lorenzo riceve un’importante offerta di lavoro a Milano, dove si trasferisce.

«E lì sono ripartite le loro meccaniche, come quelle di Bergamo, un attimo più pesanti, visto che ormai ci separavano solo 22 minuti di auto. E sono iniziati pure i discorsi su quanto fosse folle buttare via soldi in affitto e che dovevo iniziare a pensare al mio futuro e a cercare casa».

Ora, comprare casa, a Milano, è l’equivalente di un lavoro. Non si fa in tempo a vedere un annuncio che l’appartamento è già stato venduto. I genitori di Lorenzo se ne fanno carico in toto.

«Alla fine è stata mia madre che ha trovato questo progetto bellissimo. Sono andati loro a fare il primo incontro con il costruttore senza neanche dirmelo. E dopo che avevano capito che era bella, mi hanno detto: “Abbiamo visto questa casa che secondo noi ti piace. Dacci subito risposta perché chiamiamo per fissare un altro appuntamento”».

Con l’acquisto della casa da parte dei genitori, però, quelle che erano meccaniche relazionali sostitutive di una intimità che non riuscivano a reggere, divengono vere e proprie dinamiche di possesso, aggravate dal fatto di avere una seconda chiave dell’appartamento.

“L’ingerenza che sopporto di meno, è la sfiducia di mia madre nella mia lavatrice. C’è stato un periodo in cui ha iniziato a svuotare la cesta dei panni di nascosto. E poi puntualmente io impazzivo a cercare le cose, per poi scoprire che se l’era portate via da lavare. Ci sono stati un po’ di confronti accesi e poi la mia soluzione per cui, visto che vengono a trovarmi il sabato, io il venerdì faccio tutte le lavatrici possibili immaginabili. La cosa folle è che non si portava via la camicia di lino, che magari è delicata, ma le mutande. All’alba dei 40 anni, sarò anche in grado da solo di fare una lavatrice delle mutande, stenderle e piegarle?”.

L’eredità inaspettata

I piccoli battibecchi quotidiani divengono scontri sempre più duri. Finché Lorenzo arriva a una vera e propria resa dei conti: «“Forse è il caso di ricordarci di tutto ciò che è successo nel 2008 e che continuate a ignorare dopo 15 anni. Voi state ancora facendo finta che una parte di me non esista. E se questo è il rapporto che volete avere, a me non sta bene e non sentiamoci mai più. Ridatemi le chiavi. Non permettetevi più di fare ciò che volete a casa mia. Soprattutto, cosa farete se e quando avrò un compagno con cui deciderò di passare il resto della mia vita. Lo ignorerete? Vi presenterete comunque a casa in cui magari vivremo entrambi?”».

Neppure questo tentativo va a buon fine. I genitori smettono di sottrargli il bucato, di entrare a casa sua in sua assenza, ma ancora non aprono le porte alla sua vita affettiva. Il filo che li collega è sempre più sottile…

“Ormai ho capito che è così e credo che sia nella loro natura faticare a parlarne. Ho deciso che li rispetto e che non li voglio forzare. Se arriverà una persona importante della mia vita, vedremo come si comporteranno con lui. Ci penseremo al momento. Per tutto il resto, diciamo che l’aspetto economico ci lega. Anche se adesso meno dal punto di vista di fondi che passano…”.

A legarli, infatti, è un’altra attività economica. A un certo punto Lorenzo si è ritrovato con un gruzzoletto di risparmi e ha deciso di iniziare ad investire.

«E così da quel momento sono iniziati i giri con mia madre. I suoi messaggini periodici: “Hai messo da parte qualcosa? Guarda che stanno uscendo questi titoli; guarda che questo è sceso di prezzo, potrebbe essere conveniente”. I suoi appunti presi a mano e poi fotografati col telefono…».

Sua madre si informa direttamente sul sito di Borsa Italiana. Suo padre da anni gestisce il suo protafogli titoli con un programmino che si è creato. Oggi, che gli è ben chiara la distanza che lo separa dai valori e dalle convinzioni dei suoi, Lorenzo riscopre in sé una eredità molto netta su questo aspetto dell’esistenza.

“Mi rendo conto di come la mia necessità di autonomia da loro, sia emotiva sia personale sia finanziaria, mi abbia portato a una grande capacità di gestione dei soldi. Ma la modalità con cui li gestisco è esattamente come loro mi hanno insegnato a trattarli, o perlomeno come ho visto fare loro”.

Ascolta il podcast della puntata:

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