La Partita Iva mi ha fatto capire che il mio era un lavoro, non un passatempo

Riccardo ha 33 ed è originario di Latina, dove ha vissuto fino all’età di 24 anni. È un insegnante di canto e il suo sogno è quello di riuscire a comprarsi una casa. Cresciuto in un ambiente che non riconosce il suo lavoro artistico come un impiego reale, si scontra presto con la necessità di autodeterminarsi. ll momento di svolta arriva nel momento in cui apre la partita Iva, che per molti è metafora di precarietà e instabilità, ma per lui è l’occasione di relazionarsi alla sua professione in modo totalmente nuovo.

Tempo di lettura: 10 minuti

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“Io sono uno di quelli che sogna di comprare una casa in un posto totalmente dimenticato per poter avere la certezza di avere un tetto da qualche parte e magari poterci anche guadagnare, creando un piccolo B&B o Airbnb. Insomma, per poter avere qualcosa che è solo mio, che mi può dare una calma mentale”.

Una famiglia che non sa gestire il denaro

Riccardo ha 33 anni e vive Sermoneta, in provincia di Latina, a casa del suo compagno. I suoi genitori facevano gli operai e lavoravano in una fabbrica che si occupava di produrre pesce in scatola. Guadagnavano bene, ma non hanno mai risparmiato in vista di un investimento per il futuro.

«Vivevano molto alla giornata. Quando c’erano tanti soldi, si spendevano tutti senza mai pensare al futuro. Per esempio, loro non hanno mai preso in considerazione l’idea di comprare una casa pur avendone le possibilità, perché avevano degli stipendi decisamente buoni in periodi in cui si poteva fare tanto».

Una scelta spensierata ma rischiosa, che nel momento in cui l’azienda ha fallito, li ha portati per la prima volta a non avere neanche un soldo da parte per far fronte all’emergenza.

«Ricordo che durante la mia infanzia molte volte gli scaffali della cucina erano pieni soltanto di pasta. Quindi, grandi problemi economici e una sensazione di non essere uguale agli altri. E ricordo che era molto palese quando io volevo andare al mare con i miei amici, magari tra i dieci e i quindici anni, e non avevamo i soldi per il biglietto dell’autobus. Questo mi ha dato la certezza del fatto che ero molto diverso dagli altri e che in famiglia non c’era qualcosa di molto importante. Ed erano proprio i soldi».

“Ci sono certe persone che qualsiasi cosa accada, non cadono realmente o cadono comunque su un cuscino; e altri come me che, qualora fosse successo qualcosa di destabilizzante, sarebbero caduti e si sarebbero fatti molto male”.

«Ero pieno di compagni di classe che avevano tante case in affitto e ricordo che questa cosa mi sconvolgeva. A volte mi viene da definirla invidia nei confronti di chi comunque non si farà mai troppo male, perché viene da una famiglia che ha saputo pensare al futuro proprio ma anche a quello delle generazioni a seguire».

Riccardo è figlio unico. Quando era più giovane, era una condizione che lo rendevo molto felice. Ad oggi invece, si rende conto che gli sarebbe piaciuto avere qualcuno con cui condividere le proprie ansie e capire anche come qualcun altro avrebbe vissuto i momenti di incertezza che stava attraversando.

«Mentre mia madre era un po più consapevole di quello che stava accadendo, mio padre provava solo rabbia e quindi c’erano anche episodi di violenza, di esplosioni incontrollate generate dall’ennesima bolletta che arrivava o dalla cosa che dentro casa si rompeva e andava ricomprata. E questo li rendeva assolutamente intrattabili e rendeva me consapevole di quello che non sarei mai voluto diventare».

La mancanza di denaro ha condizionato non solo il benessere della famiglia, bensì anche il modo di Riccardo di approcciarsi alla sua vita finanziaria facendo scaturire in lui una nuova consapevolezza.

«Quando arrivava lo stipendio del mese per loro era impossibile non andare a fare la super spesa con caviale, spumanti, champagne o cose super costose che chiaramente non si potevano permettere. E io pensavo “Perché lo fate? Metteteli da parte quei soldi, createvi un gruzzolo”. E allora lì si è creato dentro di me proprio un giudizio nei loro confronti».

“Non gli ho mai chiesto di aderire al classico concetto dei sacrifici per la famiglia, perché è una cosa che detesto e che rifiuto io stesso. Ma se non altro sarebbe stato buono per loro, per viversi una vecchiaia più serena. Investire in passato per avere una certezza in futuro”.

Una nuova consapevolezza

Questa situazione lo porta presto a cercare la sua indipendenza economica. Inizia ad accompagnare sua madre al lavoro, che in quel periodo faceva le pulizie, e ogni tanto si occupa anche di traslochi. Soprattutto, però, porta avanti la sua passione per il canto e prova a guadagnare insegnando.

«Io ho cercato di iniziare a guadagnarci il prima possibile con il canto, perché avevo ben chiaro che non volevo disperdere le mie energie solo per cercare di vivere la giornata e arrivare alla fine della settimana. Volevo costruirmi un futuro che era anche una professione e quindi a vent’anni ho iniziato a insegnare canto e a vedere la mia indipendenza economica».

Con i primi soldi però, commette lo stesso errore dei genitori…

«Quel primo anno di lavoro per me fu basato sul riprendermi tutto quello che non avevo mai avuto durante l’infanzia. Quindi, spendevo tantissimo per vestiti, dischi, vinili e strumenti musicali che nemmeno suonavo. Eppure compravo tutto quello che mi piaceva».

Riccardo resta a vivere con i suoi genitori fino ai 24 anni, covando il desiderio di una casa tutta per se, che però non può permettersi. Dopo un’esperienza di un anno in Francia torna in Italia e si trasferisce a casa del suo compagno, dove sente più che mai l’esigenza di possedere un luogo suo.

«Non è facile vivere dentro una casa che non è tua. C’è perennemente da parte di entrambi una sensazione di avere pesi diversi in un luogo: non essendo casa mia, mi sento a tratti un po’ ospite, essendo casa sua, si sente di dover prendere decisioni che io non posso prendere. Quindi non è sempre facilissimo».

Lontano dalla sua famiglia di origine, Riccardo inizia ad avere una gestione delle finanze da manuale.

«Ho un conto principale su cui mi arrivano i pagamenti di clienti, a cui è legato un conto deposito sul quale di tanto in tanto vado a spostare esattamente un terzo di quello che guadagno. Quel terzo sono soldi di gestione della partita Iva, quindi tasse, commercialista e tutto il resto. I 2/3 che rimangono in realtà poi li smembro su altri 2 o 3 per avere sempre dei cuscinetti a disposizione. Oppure, ho una carta che uso unicamente per pagare il casello autostradale. Lì ogni tanto mi arrivano dei piccoli pagamenti di cose fatte on line, magari per la pubblicazione di un ebook o altro e la uso solo per quello».

Tutta questa parsimonia è finalizzata a due obiettivi ben precisi:

“Il mio primo obiettivo è quello di non trovarmi impreparato nel momento in cui devo pagare le tasse. Il secondo, ovviamente, è quello del mio sogno: avere una casa mia”.

L’ansia finanziaria, però, non lo abbandona mai.

«Ogni volta che si avvicina l’estate e iniziamo a pensare a dove fare una vacanza, se farla, quanto lunga e che budget abbiamo, io ho bisogno di tre giorni di preparazione mentale per controllare il conto, perché mi viene l’ansia nello scoprire che ci sono meno soldi di quelli che pensavo. Ed è sempre così, ho sempre meno soldi rispetto a quanto credo».

Le scelte accademiche e professionali di Riccardo, però, vanno in direzione opposta ai valori e alle convinzioni della sua famiglia.

«Io ricordo chiaramente che c’erano dei miei parenti, dei fratelli di mia madre o di mio padre, che mi dicevano continuamente “Io alla tua età già lavoravo in fabbrica e mi stavo per sposare”, ok, io però sono un altro».

“Era tutto basato sul sacrificio, sul lavorare duro e sul concetto che un lavoro può essere definito tale solo se è accompagnato da fatica fisica o da del disagio di qualche tipo. Mi ha sempre un po’ disgustato quest’idea, perché un lavoro può essere intellettuale ma non meno faticoso. Il lavoro che io faccio è molto faticoso da un punto di vista mentale ti svuota e nessuno riesce a capirlo fino in fondo”.

Intrappolato in una cultura che non riconosce il suo lavoro

Non è solo la famiglia a martellarlo con l’idea che il suo non sia un vero lavoro, ma è l’intero contesto sociale italiano a incasellare l’attività “maestro di canto” nella categoria passatempo.

«Il lavoro artistico è visto come un qualcosa di in cui ognuno sa fare tante cose, perché comunque è un artista. Questa professione è stata sempre organizzata all’interno di un contenitore molto scomodo ma decisamente molto ampio, che è quello delle associazioni culturali. È sempre stato impossibile in Italia vedere la scuola di musica come un un ente con uno scopo di lucro, come un ente che lavora, che fa lavorare e guadagnare, ma solo come associazione».

Questo fa sì che in campo artistico siano davvero pochi i fortunati che riescono ad avere il posto fisso.

«Presto mi sono ritrovato a combattere con l’instabilità e con il fatto che sono gli allievi a decidere per te. Si può essere bravissimi, ma se non arrivano gli allievi poi lavori poco. Quindi sì, c’è stato lo scotto. Sono arrivato a pensare “mannaggia a me, che ho scelto di amare un lavoro che non mi darà mai la possibilità di avere un posto fisso se non per una botta enorme di fortuna”».

“Per tanti anni mi sono ritrovato a convincermi che quello non fosse realmente un lavoro, ma un qualcosa che io avrei voluto far diventare lavoro, e che in realtà era un passatempo. Quindi per tanti anni ho fatto anche altro: un impiego molto importante è stato quello di guida all’interno dei giardini botanici”.

Il momento della svolta

A un certo punto, però, nasce in lui la necessità di scegliere definitivamente quale strade intraprendere.

«E a un certo punto, quando ho deciso di aprire la partita Iva e quindi rendere il mio lavoro più fiscalmente riconoscibile mi sono dovuto porre la domanda del “Cosa voglio fare?”. E lì ho scelto esattamente qual era la professione nella quale avrei voluto investire, anche economicamente, in formazione, per pagare le tasse e tutto il resto. Ed era quello di insegnante di canto».

“Ho smesso di definirmi cantante, ho smesso di definirmi guida o progettista del verde. Ho ingabbiato tutte le altre cose bellissime che facevo, che amavo fare, nel passatempo”.

Ma la scelta di aprire la partita Iva è stata dettata anche da un evento che ha profondamente segnato la sua vita, cioè la morte di suo padre, che per Riccardo rappresentava l’incarnato del suo destino, perché lui credeva che alla sua età sarebbe stato esattamente come lui.

«Aveva perso il lavoro un paio d’anni prima, non era ancora in pensione e stava finendo la disoccupazione, quindi aveva dei seri problemi economici e quando è morto ci siamo resi conto che non c’era nulla neanche per pagare il funerale. Ed è stato molto difficile per tutta la famiglia gestire questa faccenda da un punto di vista economico. Con la sua morte è sparita questa mia sensazione che sarei diventato come lui e ho costruito un “me” che si pensa ricco, capace di gestire si soldi. Quindi io ho preso la palla al balzo e ho detto “È arrivato il momento.. avrò la partita Iva”. Non smetterò mai di ringraziare quella decisione che ho preso perché mi ha totalmente annullato tutti quei pregiudizi che si hanno su questo lavoro e tutti quegli stereotipi della società sul lavoro artistico».

La partita Iva, che per molti è metafora di precarietà e instabilità, per Riccardo è un’occasione di relazionarsi alla sua professione in modo nuovo.

«Aprire la partita Iva mi ha dato una sorta di maggiore sicurezza nel momento in cui mi presentavo alla gente. Tutte le persone che incontravo e che magari mi chiedevano “Riccardo, ma te che lavoro fai?”, e io rispondevo con una tale sicurezza da apparire credibile, esattamente come mi ci sentivo io. Tanto che nessuno lo ha più chiesto».

Adesso Riccardo vive una situazione finanziaria tranquilla e sta pensando a come guadagnare, oltre che denaro, anche tempo.

“Il mio obiettivo è quello di staccarmi dall’idea del lavoro come quello di ora occupata con ogni singolo allievo, ma di iniziare a creare delle cose in grado di crearmi delle rendite passive, come dei corsi online o altri tipi di formazione, per non legare più la concezione di guadagno con l’idea di tempo occupato svolgendo un’attività bensì come tempo investito”.

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