Come parlare di soldi in casa?

Il modo in cui i genitori gestiscono e parlano di soldi, sono i fattori che più di altri condizionano la relazione tra persone e denaro.

Tempo di lettura: 8 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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Lo abbiamo visto seguendo le storie delle tante persone che si raccontano a Rame, e ciascuno di noi, guardando alla propria, può confermarlo: il modo in cui i nonni o genitori hanno gestito il denaro, ne hanno parlato, hanno vissuto il benessere o le restrizioni, sono i fattori che forse più di ogni altro condizionano la relazione tra uomo e denaro. È una storia che si ripete ciclicamente. La direttrice del Museo del Risparmio di Torino, Giovanna Paladino, ci ha spiegato come farlo al meglio.

Primo passo: trovare l’approccio giusto

Prima di cominciare facciamo un passo indietro. «Per “insegnare” la gestione del denaro ai propri figli è necessario che i genitori abbiano loro stessi  un rapporto “sano” con i soldi. Se provo ansia ogni volta che devo prendere una decisione finanziaria o se uso le risorse senza criterio, è difficile che io riesca a trasmettere un insegnamento. Potrò dire le cose più sensate del mondo, ma non sarò credibile ai loro occhi. Se questo argomento ci sta a cuore come educatori, facciamo un esame di coscienza, cerchiamo di risolvere i nodi non sciolti, e, se necessario, noi per primi iniziamo un percorso di consapevolezza finanziaria» premette Giovanna Paladino, direttrice del Museo del Risparmio di Torino. Parte dell’attività e delle iniziative del Museo sono rivolte proprio alle giovani generazioni, e sono numerosi gli studi condotti per indagare il rapporto tra bambini e ragazzi e denaro.

Secondo passo: condividere

Parlare di soldi in famiglia è sempre difficile. «Ma è bene farlo», dice Paladino. «Le scelte economiche della famiglia vanno condivise con i figli, che vanno messi al corrente delle questioni più importanti, sia che si tratti di dover stringere la cinghia, sia che si tratti di fare una spesa importante o di accantonare dei risparmi per il futuro. Certe decisioni non andrebbero tenute nascoste. Certo, bisogna cercare di comunicare tali concetti senza responsabilizzare eccessivamente i giovani, ma la condivisione è un modo per farli familiarizzare con l’argomento e per far loro cominciare a capire a cosa serve il denaro e quanto sia importante usarlo bene. Parlarne, insomma, deve avere una funzione educativa». Un esempio? Si può spiegare ai ragazzi che quest’anno la settimana bianca sarà rimandata perché il nostro budget non lo consente, ma che le risorse risparmiate serviranno a comprare l’auto nuova, che ci serviva da tempo.

Come dire ai figli che abbiamo problemi economici

Ma come comunicare a un bambino o a un adolescente che si hanno problemi economici? «Usando una certa misura. Poniamo un caso limite: se non si hanno i soldi per pagare il mutuo, non ha senso caricare i figli di questa preoccupazione. Si può, anzi, si deve fare presente, sempre in un’ottica costruttiva, che la famiglia attraversa delle difficoltà e che per un periodo bisognerà essere più attenti nelle spese, distinguendo ciò che è necessario da ciò che non lo è, a cominciare dagli adulti. Il senso è: lavoriamo tutti per pagare questo mutuo e facciamo tutti più sacrifici per raggiungere il nostro obiettivo» spiega Paladino. Spesso tendiamo a proteggere eccessivamente i nostri figli, tenendoli al riparo da certi argomenti, ma da alcuni studi viene fuori che sono molto meno ansiosi nei riguardi dei soldi, rispetto ai loro genitori. «Dall’indagine “Genitori e figli: quanto conta la famiglia nell’approccio all’uso del denaro da parte delle nuove generazioni”, condotta da Museo del Risparmio su un campione di 311 nuclei familiari, emerge che i figli sono generalmente più sereni dei padri quando affrontano temi legati al denaro». Se il 53% dei ragazzi dichiara di non provare ansia quando pensa al denaro, solo il 22,5% degli adulti ammette di non provare alcun sentimento negativo in questa situazione.

L’esempio conta più delle parole

Anche le notizie positive vanno comunicate, naturalmente. Se c’è maggiore disponibilità economica in famiglia, per esempio, non c’è ragione per tenerlo nascosto. «Va naturalmente valutato il “come”. Una cosa è trasmettere l’idea che non abbiamo preoccupazioni economiche e che possiamo usare il denaro per permetterci più comodità, altro è far passare il messaggio che i soldi piovono dal cielo» spiega l’esperta. «In questa situazione è ancora più evidente quanto ciò che facciamo conti più delle parole. I figli tendono a replicare il comportamento dei genitori, più che a seguire le cose dette, riproponendo il modello visto in famiglia. Se il genitore pianifica, il ragazzo e la ragazza tenderanno a pianificare, viceversa se sperpera, anche i figli seguiranno la sua scia. Sembra banale, ma la difficoltà è proprio questa, essere coerenti in quello che dice e quello che si fa. Non ha senso dire: “i soldi non crescono sugli alberi”, se poi per primi li spendiamo senza pensarci. L’insegnamento è efficace se va nella stessa direzione del comportamento». Qui un approfondimento.

Gli strumenti: perché è importante la paghetta

Tra gli strumenti da adottare per educare i figli a un uso responsabile del denaro, il primo è proprio la paghetta. «Andrebbe data da subito, già dalle scuole elementari» dice Paladino. «Diversi studi accademici mostrano che chi ha avuto da bambino una paghetta da amministrare, è un adulto più consapevole nella gestione del denaro. La paghetta non è una somma qualsiasi, ma un importo che viene attribuito in maniera periodica, perché chi la riceve possa utilizzarla in autonomia, decidendo come spendere quel denaro. Che, è bene sottolinearlo, deve servire per cose non necessarie alla sopravvivenza. Il compito di pensare ai bisogni e alle necessità primarie, come l’abbigliamento, è infatti dei genitori, mentre i bambini, sin da piccoli, dovrebbero potere usare quei pochi euro settimanali per piccoli sfizi come le figurine, oppure conservarli per acquistare qualcosa di più costoso. «Purtroppo circa la metà dei genitori italiani non dà la paghetta, preferisce elargire il denaro al bisogno, ma è un errore: questo non aiuterà i propri figli a essere più autonomi in futuro».

Che paghetta a 5, 10, 15 anni

Il consiglio generale, spiega la nostra esperta, è di dare qualche euro a settimana ai più piccoli, e di aumentare gradualmente di pochi euro all’anno. Nel libro libro “Paghetta & co”, edito dal Museo del risparmio, si suggerisce per esempio di cominciare col dare 2 euro al mese per ogni anno di età. «Ma l’importo giusto non esiste. Oscilla in base a tanti fattori: l’età, certo, ma anche il contesto, il costo della vita. Va considerato che le esigenze di un adolescente, che passa molto più tempo fuori casa, sono assai diverse da quelle di un bambino. Dunque, verso il 15-16 anni si potrebbe ipotizzare una cifra che permette al ragazzo o alla ragazza di andare per esempio a mangiare un panino o la pizza con gli amici al sabato. È un valore di riferimento da cui si può partire per calibrare la spesa. Dico calibrare perché 30 euro non hanno lo stesso valore per tutte le famiglie».

Insegnare a scegliere

La somma “giusta” va modulata anche considerando che la paghetta deve essere un vincolo per porre i ragazzi davanti a delle scelte, serve insomma ad acquisire consapevolezza. «Anche se la famiglia ha redditi medio alti, se si vuole attribuire una funzione educativa allo strumento, il totale settimanale o mensile deve prevedere un po’ meno di quelli che servirebbero per fare tutto quello che il giovane o la giovane vorrebbero, così da costringerli a dare delle priorità, e se necessario posticipare alcune spese. L’ideale sarebbe trovarsi ogni tanto a dover scegliere tra la pizza settimanale e quell’oggetto che desiderano tanto» spiega Paladino.

Perché posticipare è importante

Assieme al dover scegliere, il posticipare è un altro ingrediente fondamentale per imparare e gestire il denaro. «Insegnare al proprio figlio a dover accantonare parte della sua paghetta per realizzare il desiderio di qualcosa, e quindi aspettare per poter comprare qualcosa, è il modo migliore per formare un buon risparmiatore e un buon investitore. La pazienza è la qualità principale in questo settore, e andrebbe allenata sin dalla giovane età, inducendo i propri figli a fare piccole scelte e a dover aspettare  prima di un acquisto a cui tengono. Tra l’altro, tutto questo attiva meccanismo del desiderio, che aiuta ad apprezzare di più ciò che si ottiene» conclude l’esperta.

Tre consigli ai genitori sulla paghetta

  1. Non controllare: «La paghetta serve per diventare autonomi. Il suo valore educativo sta nell’insegnare a scegliere come spendere in autonomia. Se oggi o domani, se per un oggetto o un’esperienza. Purtroppo, dai nostri studi abbiamo visto che, le ragazze in particolar modo spesso devono chiedere come usarla. Certo è giusto e naturale che il genitore si preoccupi di come il proprio figlio spenda i soldi, ma è più corretto semmai vigilare da lontano, per poi intervenire in caso di necessità».
  2. Vincolare la paghetta allo studio: «Non va bene dire: “ti do la paghetta se vai bene a scuola”, si fa passare un messaggio sbagliato. Non si studia per i soldi, si studia per se stessi, per aprirsi la strada a opportunità future, coltivare la curiosità e capire cosa ci appassiona e quali sono le nostre attitudini. Meglio associare il denaro a qualcosa di concreto. Ciascuno può decidere se chiedere ai figli di farsi il letto, buttare la spazzatura, o collaborare in altri modi, l’importante  è che il giovane non consideri la somma settimanale un atto dovuto, una somma piovuta dal cielo. Dovrebbe percepire che questi soldi sono frutto del lavoro dei genitori, e vanno in qualche modo guadagnati».
  3. Occhio ai salvataggi: «Se il figlio resta “a secco” perché non è stato capace di amministrare i propri soldi, deve poter imparare a proprie spese. Se i genitori li aiutano a pagarsi una spesa che non possono permettersi, non impareranno il valore di sapersi amministrare. Meglio allora un anticipo sulla prossima paghetta».
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