Le scelte di Trump possono stravolgere l’economia italiana?

Dal crollo dell’export ai capitali in fuga verso gli Usa: ecco perché il ritorno del tycoon alla Casa Bianca preoccupa imprese e investitori del nostro Paese.

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Foto di Bruno Ngarukiye

Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, lo spettro dei dazi torna ad aleggiare sull’export italiano. Durante la campagna elettorale, infatti, il presidente americano ha promesso di alzare una barriera tariffaria fino al 20% sulle importazioni europee. Secondo le stime di Goldman Sachs, anche solo un dazio del 10% sull’import Usa dall’Europa farebbe calare il Pil dell’Eurozona dell’1%. Una mossa che, se attuata, metterebbe alla prova molti settori del Made in Italy, dal cibo alla moda, dai mobili ai gioielli. Insomma, alcune delle nostre eccellenze più apprezzate nel mondo. Ma andiamo con ordine. 

Cosa sono i dazi e perché Trump li vuole aumentare?

In sostanza, si tratta di tasse che un Paese applica sui prodotti stranieri che varcano i propri confini. L’effetto è quello di rendere le merci importate più costose e meno competitive sul mercato interno. È esattamente l’obiettivo del presidente americano: con dazi più alti, i prodotti europei diventerebbero meno convenienti per i consumatori a stelle e strisce, che sarebbero così spinti a preferire il made in Usa. Ma quanto costerebbe all’Italia questo scenario? Parecchio, stando alle stime. Secondo Confartigianato, l’Italia è particolarmente esposta essendo primo esportatore europeo negli Usa in settori strategici: 5,1 miliardi nella moda, 4 miliardi nell’alimentare e 1,6 miliardi nei mobili. A questi si aggiungono la leadership nella gioielleria (1,6 miliardi) e nelle calzature (1,4 miliardi). Un bel grattacapo, per un Paese in cui l’export vale il 30% del Pil nazionale. Secondo le analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio, questa situazione, combinata con la debolezza dell’economia tedesca, metterebbe a rischio l’obiettivo di crescita dell’1,2% previsto per il 2025, che potrebbe ridursi allo 0,9%. Cosa fare allora? Gli analisti avvertono: le aziende italiane si troverebbero davanti a un bivio. Potrebbero scegliere di assorbire i dazi, tagliando i margini pur di non perdere quote di mercato in Usa. Oppure potrebbero alzare i listini, col rischio però di perdere competitività e vendere meno. In ogni caso, la prospettiva è di uscirne con qualche ammaccatura.

Cosa ci guadagna l’America?

La strategia di Trump affonda le radici nella sua visione economica “America First”. Il tycoon sostiene che gli alti livelli di import danneggino l’industria nazionale e l’occupazione, e vede i dazi come strumento per riequilibrare la bilancia commerciale e fare pressione geopolitica sull’Europa. Una strategia già sperimentata nel suo primo mandato, quando nel 2019 gli Usa imposero tariffe del 25% su prodotti Ue per 7,5 miliardi di dollari, colpendo duramente il Made in Italy: dal Parmigiano ai vini, dalle moto alle scarpe di lusso. L’export italiano negli Usa crollò del 20%, con punte del -40% per alcuni formaggi. Secondo Coldiretti, nel biennio 2019-2020 i dazi costarono all’Italia 1,5 miliardi di mancate esportazioni.

Le altre conseguenze economiche

Oltre alla minaccia dei dazi, l’elezione di Donald Trump rischia di avere una serie di altre ripercussioni economiche per l’Italia e l’Europa. Innanzitutto, c’è il tema delle politiche fiscali e di bilancio. Trump in campagna elettorale ha promesso tagli alle tasse e aumento della spesa pubblica per sostenere la crescita americana. Se davvero il neo-presidente dovesse allentare i cordoni della borsa, questo potrebbe spingere al rialzo l’inflazione e i tassi di interesse negli Stati Uniti. Con una conseguenza diretta per il Vecchio Continente: capitali e investimenti potrebbero essere attratti dal maggiore rendimento dei titoli americani, a scapito di quelli europei. In sostanza, l’Europa rischia di vedere un deflusso di risorse finanziarie oltreoceano, proprio mentre sta cercando di rilanciare la propria economia. C’è poi la questione del dollaro. Se la valuta americana si rafforzasse sulla scia delle politiche espansive di Trump, per l’Eurozona sarebbe una bella grana. Un euro più debole, infatti, renderebbe le merci europee più competitive sui mercati internazionali, ma allo stesso tempo farebbe aumentare il costo delle importazioni, a partire da quelle energetiche. Con il rischio di frenare i consumi interni e appesantire i bilanci delle imprese. Infine, c’è l’incognita dei rapporti con la Cina. Trump ha promesso linea dura con Pechino su commercio e tecnologia. Se dovesse scoppiare una nuova guerra fredda tra le due superpotenze, l’Europa rischierebbe di trovarsi schiacciata nel mezzo, con pesanti ripercussioni sugli scambi globali. Basti pensare che la Ue è il primo partner commerciale sia di Usa che di Cina: un’eventuale contrazione del commercio mondiale metterebbe a dura prova il modello di sviluppo export-oriented di molti Paesi europei, Germania e Italia in testa.

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