Cosa fare quando arriva un avviso dall’Agenzia delle Entrate

La notizia è circolata un paio di settimane fa. L’Agenzia delle entrate sta trasmettendo ai contribuenti migliaia di lettere di compliance sulla dichiarazione dei redditi del 2020. Cosa sono? Comunicazioni in cui il Fisco “avverte” gli interessati che è stato trovato un errore o un’incongruenza nella loro dichiarazione, e li invita a mettersi in regola, in modo bonario.

Tempo di lettura: 8 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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Solo nel 2023 sono state inviate 2,3 milioni di lettere di questo tipo. Saranno anche  avvisi “bonari”, ma in chi li riceve generano il più delle volte panico e domande. Per esempio: quando ti contestano un errore, va sempre pagato? E se sono certa di non avere sbagliato nulla, a chi mi rivolgo? Cosa posso fare? E se invece non ho il denaro per “chiudere” la pendenza? Tra l’altro, le lettere di compliance non sono le uniche comunicazioni che possono arrivare dal Fisco. E in tutti i casi, prima di pagare cifre a tre zeri, è bene cercare di capire se e cosa possiamo fare per sanare la nostra situazione in modo meno doloroso. Ecco quindi le cose da sapere.

Cosa fare se arriva la lettera di compliance

Iniziamo dall’avviso di compliance. Si tratta come dicevamo di un avviso che l’Agenzia delle entrate ti invia nel momento in cui trova una o più anomalie nella dichiarazione dei redditi – per esempio un reddito non dichiarato o una cifra scorretta – ed è una sorta di invito a mettersi in regola, prima che quelle anomalie diventino oggetto di un accertamento vero e proprio. Se ricevi un avviso di questo tipo dovrai quindi ricontrollare la tua dichiarazione dei redditi e tutti i relativi documenti. Se ti rendi conto che effettivamente c’è un errore, potrai sanare l’anomalia con il ravvedimento operoso. In pratica presenti una dichiarazione integrativa, versi le imposte dovute e gli interessi, con le sanzioni previste, ma in misura ridotta a un sesto. In pratica pagherai il 15% della somma prevista. Altra cosa è se invece dal tuo controllo emerge che è tutto in regola. In quel caso devi inviare i documenti che lo provano, contattando un canale dedicato. Qui trovi tutte le informazioni.

L’avviso di accertamento

Diverso il discorso se ti arriva un avviso di accertamento vero e proprio, cioè un atto in cui l’Agenzia delle entrate o un altro ente, dopo un controllo, ti notifica che hai un debito e che devi pagarlo. Nell’atto viene sempre spiegata la motivazione, e sono indicati l’importo da pagare e le relative sanzioni, con gli interessi. Anche in questo caso, prima di pagare è fondamentale eseguire delle verifiche. «Bisogna capire se l’errore o l’anomalia contestata è frutto di un proprio errore, perché non è detto che sia sempre così» spiega Matteo Castronovo, dottore commercialista dello studio legale e tributario milanese Masotti Cassella. «A volte, banalmente, un pagamento può non essere stato correttamente collegato al relativo debito, o ci può essere stato un errore nella verifica da parte dell’ente. Nel caso di un avviso dell’Agenzia delle entrate, va quindi verificata la documentazione, possibilmente con il professionista che segue il cliente per le questioni fiscali, e se dalle carte risulta che tutto è stato fatto secondo le regole, contestare la richiesta».

«Va detto – continua l‘esperto – che oggi gestire queste pratiche è più semplice, perché lo Statuto dei diritti del contribuente ha introdotto una serie di norme che in un certo senso facilitano la vita dei cittadini. Nell’accertamento c’è tutto quello che serve per capire come opporsi alla richiesta e a chi rivolgersi, nonché i termini temporali. Purtroppo, non sempre è possibile fare tutto da soli, perché quando si entra nel merito non è così semplice discutere con il Fisco, e capire se ciò che contestano è giusto o sbagliato».

Se decidi di pagare

Se dopo i controlli realizzi che l’errore contestato esiste realmente, o decidi di sanare la situazione in ogni caso, c’è un dato positivo. Per chi salda entro i termini previsti c’è sempre una riduzione delle sanzioni, anche se più bassa rispetto a quella prevista per il ravvedimento operoso. La somma complessiva da versare è già indicata nella comunicazione di accertamento. «Puoi pagare tutto in una soluzione oppure rateizzare l’importo. In questo caso, al totale andranno aggiunti gli interessi, che sono calcolati sulla base del tasso di interesse corrente» chiarisce Castronovo.

Se non vuoi pagare

Come muoversi, invece, se dopo le verifiche ti risulta che l’errore contestato non c’è o la contestazione non è chiara? «La prima cosa che puoi fare è instaurare un contraddittorio con chi ha emesso l’accertamento. Dovrai cercare di dimostrare che ciò che ti viene addebitato non è magari del tutto corretto, ed eventualmente trovare un punto di incontro. L’ente di riferimento cambia a seconda del tipo di contestazione. Se riguarda l’Imu o la Tari, bisognerà rivolgersi al Comune, se è una questione che riguarda l’Irpef o l’Iva il riferimento è l’Agenzia delle entrate. La prassi prevede che si prendano contatti con il funzionario di riferimento – ogni accertamento ha un responsabile del procedimento» spiega l’esperto. Si può per esempio dimostrare che c’è un errore formale nell’accertamento, o che l’accertamento è illegittimo, oppure cercare un compromesso con l’ente, molto dipende da ciò che si ha in mano. A seconda del tipo di irregolarità contestate e di ciò che deve dimostrare, il contribuente può utilizzare lo strumento dell’autotutela (che tuttavia non sospende i termini del procedimento tributario, oppure cercare di utilizzare i numerosi strumenti per evitare il ricorso davanti al giudice tributario). Qui un approfondimento su tutte le strade percorribili. «Utilizzando questi strumenti, si sospendono i termini per il pagamento, e ci si può quindi prendere del tempo per dimostrare le proprie ragioni o per trovare un accordo, senza il rischio che la sanzione aumenti, come nel caso di ricorso a un giudice».

Se l’accordo non si trova

Se questi strumenti falliscono, non resta che il ricorso al giudice tributario. Va fatta però una valutazione, come suggerisce il nostro esperto: «Non è detto che valga sempre la pena intraprendere questa strada, anche se si è convinti di essere dalla parte della ragione. Il procedimento giudiziario ha dei costi e richiede tempi lunghi. Possono volerci anni per arrivare a una sentenza definitiva, e se questa fosse sfavorevole, al contribuente toccherebbe pagare il tributo contestato con i dovuti interessi. Inoltre la sanzione, che nei casi precedenti sarebbe ridotta, andrebbe versata per intero. Specie se la somma contestata non è altissima, prima di prendere una decisione occorre studiare con cura il caso e ragionare su pro e contro» consiglia Castronovo.

Quando arriva una cartella di pagamento

Il vero incubo dei contribuenti, però, restano le cartelle di pagamento, quelle che comunemente chiamiamo cartelle esattoriali. «Solitamente arrivano a seguito di un avviso di accertamento che non è stato saldato entro i termini, oppure per una multa non pagata» dice il commercialista. «In quest casi, l’ente che avrebbe dovuto ricevere la somma e non si vede erogare il pagamento entro i termini previsti, si rivolge all’agente della riscossione, che è incaricato di esigere quanto dovuto. Rispetto all’accertamento, la cartella ha ulteriori costi, che sono quelli dell’agente di riscossione, oltre agli interessi elevati. È anche più difficile avviare un’azione di contestazione, perché gli interlocutori potrebbero essere due». Può anche succedere che al contribuente arrivi direttamente la cartella di pagamento, senza che questi abbia ricevuto prima alcun avviso. «Accade per esempio se un atto viene notificato per errore a un vecchio indirizzo e non riceve riscontro, e poi l’ente di riscossione invia la cartella all’indirizzo esatto. In quel caso la cartella è nulla, ma va dimostrato».

Cosa succede se non paghi la cartella

È bene sapere che le cartelle di pagamento hanno tempi di prescrizione molto lunghi, in genere 5 anni, 10 se la cartella è la conseguenza di una sentenza o un atto tributario non impugnato. È quindi molto improbabile che il mancato pagamento passi “inosservato” fino ad allora. «La prassi prevede in questi casi che l’agente riscossione metta in atto degli strumenti per riscuotere, come il fermo auto, il pignoramento dello stipendio o persino il pignoramento presso terzi, trattiene cioè le somme nei confronti dei clienti. Ed è una possibilità più che concreta» avverte il commercialista.

Se non hai soldi per pagare

Puoi presentare come prima cosa una richiesta di rateizzazione all’ente creditore, e concordare un  piano. E se sei in difficoltà c’è la possibilità di chiedere la sospensione.

Se invece hai dimenticato di pagare l’avviso di accertamento o la multa

È sempre bene muoversi, anche se con ritardo, proprio per evitare l’emissione della cartella esattoriale. Prendiamo, per esempio, una multa non pagata. Il Comune che l’ha emessa, una volta resosi conto del ritardo, iscriverà a ruolo l’importo, avviando la pratica di riscossione. «Il consiglio è di cercare sempre di saldare, prima che arrivi la cartella» consiglia l’esperto. «Solitamente la cartella arriva diversi anni dopo, ma a quel punto un debito banale è già diventato una cifra importante e ci sono appunto i costi di riscossione, oltre che sanzioni e interessi. La cosa da fare subito, quando ci si rende conto della dimenticanza, è chiamare l’ente interessato, o meglio, il responsabile del procedimento indicato nella pratica, e concordare il pagamento ritardato, sarà sicuramente più alto dell’originario, ma meno esoso rispetto a ciò che si riceverebbe se si facesse finta di nulla». L’errore da non fare è di pagare il bollettino o l’F24 originario, perché i termini sono scaduti e quell’importo va aggiornato.

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