Quanto costa la menopausa?

La menopausa comporta costi significativi per le donne, sia economici che sociali. Tra farmaci, integratori e terapie, le spese possono superare centinaia di euro l’anno, spesso non coperte dal sistema sanitario. Questa “economia della menopausa” pesa non solo sulle donne ma anche sulle aziende e sulla società, che rischiano di perdere talenti e competitività.

Tempo di lettura: 8 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

di

Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

costo menopausa
Foto di Amin Hasani

Ci sono i disturbi da curare, il corpo che cambia, gli sbalzi d’umore, i disagi…. E poi c’è il costo economico. Se di menopausa, per fortuna, si parla sempre di più, sono ancora pochi quelli che calcolano il prezzo da pagare quando si attraversa questa fase della vita. Il primo di questi costi, Anna, lo ha visto qualche settimana fa, quando è uscita dalla farmacia con uno scontrino da 97 euro e due scatole di prodotti contro l’osteoporosi. Anche Silvana lo conosce: ogni giorno assume un integratore con la speranza di tenere a bada le vampate e i risvegli notturni, 38 euro per 60 pasticche, posologia 2 al dì, spesa annua 456 euro, una piccola parte in ciò che va via tra visite mediche, esami e controlli. Angela, invece, ha perso il conto di quanto tira fuori ogni mese dal suo portafoglio. «Gli up and down dell’umore mi fanno impazzire, per placarli ho provato non so più quanti integratori. Il più economico costava sui 30 euro, il più caro 45, aggiungici le tisane, la melatonina per dormire, la palestra per sfogare il nervosismo e far andare giù la pancia, gli estrogeni naturali… meglio non mettersi a contare, in certi casi. E continuo a passare dalla tristezza all’euforia, immagina come deve essere stare con me».

In farmacia: più di 107 milioni di euro per curare i sintomi

Secondo i dati pubblicati da Pharma Data Factory, il mercato dei farmaci contro i sintomi della menopausa ha raggiunto tra marzo 2023 e marzo 2024 i 107,62 milioni di euro, per un totale di 12,6 milioni di confezioni vendute nel nostro Paese. Di questi, i medicinali per l’osteoporosi – quelli a base perlopiù di vitamine del gruppo D – rappresentano oltre l’83% in valore. Spesso consigliati in questa fase della vita, non sono rimborsati dal Servizio sanitario nazionale, a meno di non essere affette da osteoporosi o avere i determinati valori clinici. Anche molti farmaci per la terapia ormonale sostitutiva, altra terapia prescritta durante il climaterio, dallo scorso marzo non rientrano più in fascia A, quella dei medicinali a carico della sanità pubblica. A queste voci si aggiungono quelle degli integratori per dormire, ai rimedi naturali contro le vampate, a volte i farmaci per tenere a bada la depressione, sintomo ingombrante per molte donne.

Un business da 600 miliardi di dollari

«Secondo un recente report della società di venture capital Female Founders Fund, il business della menopausa vale circa 600 miliardi di dollari. Dentro c’è tutto: dagli integratori con efficacia spesso non dimostrata ai prodotti beauty, dalle App ai programmi benessere. Le aziende hanno intuito che c’era un mercato potenziale enorme e si sono “buttate”. Di menopausa, ormai, si parla su tutti i media. Un fenomeno che fa sorridere e riflettere, se si pensa come il mercato, intravista un’opportunità di business sia riuscito a smantellare almeno in apparenza un tabù antichissimo e radicato, in tempi record», dice Federica Gentile, docente di italiano e gender studies alla Missouri State University e fondatrice del blog Ladynomics con Giovanna Badalassi, ricercatrice in economia e politica di genere. Ladynomics è un blog che parla di economia dal punto di vista femmile, e partendo da qui, Gentile e Badalassi hanno da poco pubblicato il saggio “Signora Economia. Guida femminista al capitale delle donne” (Le plurali editrice), che indaga le cause della disuguaglianza di genere e come la nostra cultura abbia condizionato il rapporto che le donne hanno con i soldi e il lavoro. Nel libro si parla tra le altre cose anche di pink tax, e cioè di “tasse”, intese come costi, che le donne pagano per il solo fatto di appartenere al genere femminile, e di cui certo la menopausa fa parte. E al tema le economiste hanno dedicato anche un lungo post sul loro blog.

I costi nascosti della menopausa

«C’è una vera e propria “economia della menopausa”», continua Gentile .«Ma purtroppo, come hanno anche dimostrato studi più recenti, se da un lato siamo bombardati da pubblicità di prodotti e rimedi per alleviarne i sintomi, poco si è fatto per le donne, che affrontano questa fase in solitudine. Uno studio del Mayo Clinic riporta che l’economia statunitense sta perdendo circa 26 miliardi di dollari all’anno a causa della mancata gestione degli effetti della menopausa. Di questa somma, 24 miliardi sono le spese mediche dirette a carico delle donne. Al di là delle differenze tra sistemi sanitari, è un indicatore importante. Anche al lavoro, per esempio, ancora nulla si è fatto di concreto per aiutare le lavoratrici che entrano in questa fase delicata della vita, spesso accusando disturbi molto invasivi», continua Gentile. «Il mondo produttivo è rimasto disegnato sulla figura del lavoratore maschio, in un certo senso è come se non accettasse la diversa corporeità delle donne, che durante tutta la vita lavorativa vanno incontro a dolori mestruali, maternità e menopausa», aggiunge Badalassi. «È proprio questa “indifferenza” da parte della società a causare altri costi pesantissimi, anche se non quantificabili. La menopausa cade in un periodo della vita molto particolare, in cui ai disturbi fisici si sommano i tradizionali obblighi di cura, e se ne aggiungono di nuovi. Non per caso quella delle donne che hanno tra i 45 e 55 anni viene chiamata la generazione sandwich, stretta tra lavoro, cura dei figli e cura dei grandi anziani, ma chi ci pensa?»

Chi paga, oltre alle donne

A pagare, alla fine, non sono sole le protagoniste, spesso in termini di giorni di lavoro persi, mancati scatti di carriera o uscite anticipate dal mondo del lavoro. «Una recentissima ricerca australiana mostra che una lavoratrice su tre vive una situazione finanziaria peggiore a causa della menopausa, e che questo ha impatto negativo sulla pensione, ma non solo. La stessa ricerca stima in 10 miliardi di dollari l’anno la perdita delle aziende del Paese, in termini di produttività», dice ancora Badalassi. A questo potremmo sommare una serie di voci nascoste, prima tra tutti la perdita di talenti, sottolinea Federica Gentile: «Se in azienda hai donne che sono già mature, hanno avuto esperienza lavorativa, e lasciano il lavoro, vanno in pensione prima perché l’ambiente non è accogliente, o non si propongono per posizioni di leadership, pur potendovi aspirare, tu datore di lavoro perdi candidati potenzialmente validi, riduci la scelta e le tue opportunità».

Cosa si è fatto e cosa si dovrebbe fare

Il problema, al momento, sembra non essere preso in considerazione. In Italia, spiegano le esperte, l’Inail si è limitata a chiarire in un documento l’importanza di “rendere l’ambiente di lavoro consono alle esigenze delle lavoratrici in questo particolare periodo della vita”, e anche nella valutazione dei rischi connessi all’attività lavorativa, tenere conto dell’età e delle differenze di genere. Di recente è poi nato un Intergruppo parlamentare sulla menopausa, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica, e promuovere politiche per dare supporto alle donne. Mancano però ancora iniziative concrete. Tra gli esempi di Paesi esteri c’è quello del Comune di Londra, che ha lanciato nel 2022 una policy specifica per le dipendenti in menopausa, dove si prevedono tra l’altro giorni di congedo. «Qualcosa sta cambiando nelle multinazionali che adottano politiche di diversity inclusion e prestano attenzione anche a questo aspetto, ma non succede ovunque, e in Italia, in particolare, dove il tessuto economico è composto in gran parte da piccole e medie imprese spesso a conduzione familiare, il tema non è all’ordine del giorno», aggiunge Badalassi. «C’è poi un’altra barriera che ostacola le lavoratrici, forse ancora più alta, e riguarda l’atteggiamento generale che ancora resiste nella società, in merito all’argomento menopausa. Oggi le donne hanno ancora molte remore a entrare in un ufficio delle risorse umane e manifestare il proprio disagio, o a chiedere qualcosa. Il contesto non è pronto, il timore è di passare ancora una volta per una lavoratrice che si lamenta, o che è poco produttiva. Al di là della pubblicità, il tema del corpo della donna è ancora un tabù, anche sul lavoro».

Un problema di tutti

Ma se alla base di questo timore c’è la consapevolezza di un pregiudizio diffuso, che considera le donne in menopausa meno appetibili anche dal punto di vista lavorativo – figlio del pregiudizio che nasce dalla perdita della fertilità – le aziende dovrebbero capire che le lavoratrici sono un capitale da non lasciare andare, come spiega bene Giovanna Badalassi. «Come spieghiamo nel libro, i dati dimostrano che da qui ai prossimi 3-4 anni mancheranno in Italia, a causa delle emigrazioni e della bassa natalità, circa 3,4 milioni di lavoratori e lavoratrici. Non è più il momento di lasciare andare chi è già dentro. Far lavorare le donne, metterle in condizione di farlo bene, tenerle in salute, e tarare i luoghi di lavoro anche sulle esigenze legate alla loro fisiologia, è un’esigenza». L’inattività femminile è una tassa, questa sì, che a breve non potremo più permetterci.

Condividi