La povertà toglie l’ambizione: così si tramanda ai giovani

Secondo il rapporto della Caritas 2024 sono 5,7 milioni le persone in Italia che vivono in condizioni di povertà assoluta. I dati più rilevanti riguardano la povertà minorile: una condizione di indigenza prolungata ha effetti sulle abilità cognitive dei ragazzi che perdono la capacità di guardare al futuro rinunciando all’ambizione di uscire da una condizione di scarsità.

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povertà e dispersione scolastica sono due fenomeni collegati.
Foto di moren hsu

Nel 2023 le persone che in Italia si trovano in condizione di povertà assoluta, ovvero senza il necessario per vivere, sono 5,7 milioni, un decimo dell’intera popolazione. A fotografare lo stato della povertà in Italia è il rapporto della Caritas su povertà ed esclusione sociale

Il fenomeno della povertà ha sempre più facce, cresce la sua complessità al trasformarsi della società e del lavoro precario. Anche misurarla è diventato più complesso: in Italia l’indagine annuale Istat/Eurostat su Reddito e Condizioni di vita fotografa la situazione nel nostro paese relativa al rischio povertà o all’esclusione sociale e alle difficoltà materiali delle famiglie, mentre la rilevazione Istat sulla Spesa per consumi delle famiglie fornisce altri due dati che vengono prodotti solo in Italia, ovvero, la povertà assoluta e la povertà relativa (quando si ha meno della media nazionale).

I dati forniti da Caritas, ad esempio, ci dicono anche che 13 milioni e 391 mila persone, pari al 22% della popolazione, è a rischio povertà ed esclusione sociale. Questo significa che questa fetta di popolazione ha un reddito inferiore al 60% del reddito mediano nazionale, vive in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale, non riesce a far fronte a spese impreviste, ma spesso anche al solo riscaldamento dell’abitazione, e non riesce a svolgere attività di svago in famiglia e con amici. 

Se guardiamo alla geografia del nostro paese abbiamo sempre pensato che al Sud ci fosse più povertà che al Nord e questo era vero fino a qualche decennio fa. Oggi la povertà sta aumentando proprio al Nord. Caritas ci dice che le famiglie povere delle regioni del Nord sono 998mila, mentre al Sud e nelle Isole sono 859mila. Il dato è spiegato dalla maggiore presenza di famiglie immigrate al Nord, quasi il 60% degli immigrati residenti in Italia, che secondo Caritas sono anche le famiglie in cui è più alta l’incidenza della povertà. 

Spicca in questo quadro, proprio la povertà minorile: le famiglie che vivono in una condizione di povertà assoluta con minori sono il 34% di tutte le famiglie in tale condizione, quasi 748mila. La povertà di queste famiglie tende ad aumentare con l’aumento del numero dei figli, nelle famiglie monogenitoriali e nelle famiglie di immigrati con minori. 

La dispersione scolastica è una delle cause della povertà tramandata

Secondo un altro studio di Save The Children i ragazzi in Italia sulla soglia di povertà sono 600 mila. L’abbandono scolastico è in aumento e questo riduce la possibilità che l’ascensore sociale funzioni per portare fuori dalla povertà i giovani. Il 67,4% di questi ragazzi, teme di non farcela ad uscire da una condizione di indigenza in futuro. Uno degli obiettivi dell’Europa nell’agenda 2030 è ridurre l’abbandono scolastico al 9% nei paesi EU. L’Italia è oggi al 15,9%, mentre in Portogallo o in Germania è poco superiore al 10%. La precarietà lavorativa dei genitori influisce sull’abbandono scolastico. La situazione non migliora passando dalle scuole dell’obbligo all’Università dove non è solo la retta annuale o i libri a pesare sul costo dello studio. Per i fuori sede, per esempio, gli affitti sono una delle voci di spesa più critiche e il tema degli alloggi universitari è stato oggetto di proteste da parte degli studenti che nel 2023 hanno piantato le tende davanti alle università.

Se l’abbandono scolastico rende difficile per le generazioni future uscire dalla precarietà e dall’indigenza, per i loro genitori avere un lavoro non significa automaticamente essere fuori dalla povertà. Il 10,8% degli italiani, infatti, è nella condizione di “Working Poverty”, ovvero di lavoratori poveri nonostante un’impiego. Lo ha certificato un rapporto del 2022 di INAPP con riferimento alle condizioni degli italiani nel 2021. I due fenomeni si legano: spesso ad abbandonare la scuola sono i figli di lavoratori poveri che non riescono a far fronte alle necessità familiari nonostante il lavoro. 

Vivere in una condizione di povertà prolungata toglie ambizioni sociali

Quando la povertà si cronicizza le ripercussioni psicologiche sono importanti: per i bambini e i ragazzi che vivono a lungo in una condizione di privazione diminuisce l’ambizione al cambiamento: la difficoltà a vedere una via d’uscita rende la povertà una condizione quasi permanente. 

A spiegare cosa succede è uno studio della Commissione Europea del 2021 “Poverty and mindset. How poverty and exclusion over generations affect aspiration, hope and decisions, and how to address” che ha raccolto e messo insieme i risultati di diversi studi sociologici, economici, comportamentali e sulle neuroscienze. La povertà come condizione di scarsità impedisce alle persone di pensare ad altro se non a come sopravvivere. Questo pensiero costante toglie la capacità di concentrazione con conseguenze sia sul piano cognitivo sia su quello comportamentale. Secondo gli scienziati vivere una condizione di indigenza che non permette di pensare ad altro riduce la “cognitive bandwidth”, ovvero la larghezza di banda cognitiva: la capacità di guardare avanti e progettare la propria vita. Lo stress tossico e prolungato dovuto alla scarsità fa in modo che le persone si focalizzino sui bisogni immediati senza la possibilità di alzare lo sguardo e vedere la propria vita oltre la povertà. Non solo, tale stress mina la capacità di concentrazione e la memoria. E questo è un meccanismo che colpisce anche i minori. Perché, come spiega il rapporto di Caritas, nei casi di povertà multigenerazionale, i fattori ambientali e l’assenza di mobilità sociale in famiglia riducono le aspirazioni dei più giovani. Per l’antropologo statunitense Arjun Appadurai, citato nel rapporto, la “capacità di aspirare” è quell’abilità che ti fa muovere nel presente immaginando, però, un futuro ed è una capacità che si concentra di più su una popolazione benestante. 

L’indagine di Save The Children “Domani (im)possibili” del 2024, svolta su un campione rappresentativo di giovani tra i 15 e i 16 anni dimostra che chi vive in una condizione di privazione ha una visione più negativa del proprio futuro rispetto a chi è più benestante. Il confronto tra ragazzi in condizioni di scarsità e quelli benestanti è notevole: il 67% di coloro che sono in povertà teme di non riuscire a trovare un lavoro che li sfrutti, mentre questo timore tra i benestanti è fermo al 35,8%. Il 67,4% dei ragazzi più poveri teme di non riuscire ad avere abbastanza soldi anche con un lavoro. Mentre solo il 25,9% dei benestanti lo pensa. Solo il 35,9% dei ragazzi indigenti andrà sicuramente all’Università, contro il 57,1% dei benestanti. E per quanto riguarda la realizzazione dei propri sogni e dei propri talenti? Anche qui la forbice ci dimostra che chi vive in condizioni di povertà crede poco nella possibilità di raggiungere i propri obiettivi e di potersi esprimere nel proprio lavoro. Il 54,7%  dei ragazzi in condizioni di povertà crede di riuscire a realizzare ciò che desidera, contro il 74,9% dei ragazzi benestanti, e il 59,2% dei ragazzi più poveri crede che farà un lavoro per cui è portato, mentre è sicuro di poterlo fare il 77,8% dei ragazzi benestanti. 

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