Keybox e mercato immobiliare: che cosa sta succedendo?

Il Viminale le ha eliminate per motivi di sicurezza, ma gli operatori avvertono: «Così si danneggia il turismo». Secondo i dati Aigab, il settore degli affitti brevi genera un indotto sul turismo di 46 miliardi, oltre agli 11 miliardi delle prenotazioni dirette.

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Foto di Roselyn Tirado

Sono piccole scatole di metallo nero montate sui muri esterni degli edifici, che permettono ai turisti di recuperare le chiavi degli appartamenti affittati senza incontrare il proprietario. Le keybox, utilizzate per il check-in automatico negli affitti brevi, hanno rivoluzionato il turismo italiano creando un sistema di micro-alberghi automatizzati. Ora però il Ministero dell’Interno, con una circolare, ne ha di fatto vietato l’utilizzo imponendo l’obbligo di identificazione di persona dei turisti.

Il fenomeno degli affitti brevi, trainato dal self check-in, ha assunto dimensioni enormi: secondo i dati di Confcommercio e Federalberghi riportati da Avvenire, in Italia ci sono oltre 400mila annunci di affitti brevi attivi, con una crescita del 78% tra il 2016 e il 2018. Il 76,88% riguarda interi appartamenti e il 62% fa riferimento a host che gestiscono più di un alloggio. Un fenomeno che ha dato vita a un nuovo mercato: sono nate piattaforme e agenzie specializzate che, in cambio di una percentuale sugli incassi, gestiscono le keybox e i check-in per proprietari non disponibili all’accoglienza. Inoltre, due terzi delle unità rimangono disponibili sulla piattaforma per più di sei mesi l’anno, segno che non si tratta più di sharing economy ma di un vero business parallelo al settore alberghiero tradizionale.

Le keybox sono diventate il simbolo più contestato della turistificazione dei centri storici. A Firenze gli attivisti di Salviamo Firenze hanno coperto le cassettine con adesivi rossi a X, denunciando la trasformazione degli appartamenti in alloggi turistici e l’aumento degli affitti per i residenti. Il Comune ha risposto vietandone l’installazione nell’area Unesco dal 2025. La protesta si è rapidamente diffusa in altre città: a Roma i comitati hanno marcato le keybox con cappelli da Robin Hood, mentre a Milano gli attivisti dei Navigli ne hanno mappato la diffusione con adesivi lilla e gialli per denunciare lo svuotamento dei quartieri storici.

In questo contesto di crescente tensione sociale, il Viminale ha deciso di intervenire vietando il check-in automatizzato per motivi di sicurezza pubblica, rendendo di fatto inutili questi dispositivi. La stretta normativa, inoltre, arriva in un momento particolare per Roma, che si prepara ad accogliere milioni di visitatori per il Giubileo 2025.

Costi sociali e soluzioni alternative

Il nodo centrale non è solo la sicurezza, ma l’effetto sui prezzi delle case. Le keybox, infatti, dovevano rendere più economica e accessibile la gestione degli affitti brevi, automatizzando il check-in e riducendo i costi del personale. La realtà però è stata opposta: il sistema ha moltiplicato esponenzialmente l’offerta di alloggi turistici nei centri storici, trasformando migliaia di abitazioni private in strutture ricettive automatizzate. A Torino, dove si contano circa 7.500 alloggi sulla piattaforma Airbnb, quasi uno su 66 destinato all’ospitalità turistica. A Firenze, invece, nel raggio di due chilometri che costituisce il centro storico, più di un appartamento su cinque è destinato agli affitti brevi. Una concentrazione che secondo uno studio del Politecnico di Torino ha portato a un aumento degli affitti del 21% tra 2015 e 2018, il più alto tra le otto maggiori città italiane. La trasformazione di abitazioni in alloggi turistici ha ridotto l’offerta sul mercato tradizionale, spingendo molti residenti verso zone più periferiche. Alcune amministrazioni però stanno cercano di arginare il fenomeno. A Venezia esiste sulla carta un regolamento che limita gli affitti a 120 giorni l’anno, ma è rimasto inapplicato. Roma sta studiando quote massime per quartiere. Il governo ha introdotto il Codice identificativo nazionale (Cin) che dal 2025 sostituirà tutti i codici regionali, ma su 559.450 strutture censite dal ministero del Turismo, solo il 58% lo ha richiesto. Misure simili sono state prese anche in altri paesi. Ad Amsterdam gli host possono affittare intere case per un massimo di 30 notti all’anno. A Berlino invece è necessario un permesso specifico, con un limite di 90 giorni annui per le seconde case.

Uno sguardo al futuro

Se l’effettivo impatto della recente stretta sul mercato è ancora incerto, l’Italia resta l’unica in Europa ad avere vietato il check-in automatico. Gli operatori turistici contestano la decisione, sostenendo che il problema dell’overtourism richieda soluzioni diverse dal semplice divieto delle keybox. «Come fare con gli ospiti che arrivano a tarda notte? E chi non abita vicino all’appartamento che affitta?», spiega un proprietario intervistato dal Corriere della Sera, aggiungendo che «invece di vietarle sarebbe bene regolamentare strumenti che fanno parte del presente e del domani». Al di là delle diverse prospettive sul provvedimento, l’impatto economico del settore degli affitti brevi in Italia resta economicamente significativo: secondo i dati Aigab riportati da Avvenire, genera un indotto sul turismo di 46 miliardi oltre agli 11 miliardi delle prenotazioni dirette. Una ricchezza che però si scontra con il rischio di “disneyficazione” dei centri storici: le città d’arte rischiano di trasformarsi da luoghi di vita culturale e politica locale in “cittadelle del consumo” turistico.

 

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