Come vendo la mia collezione? E come capisco se ha valore o no?
La moda dell’usato spopola e da anni il trend è in continuo aumento: nel 2022 il 54% degli italiani ha dichiarato di comprare e vendere prodotti di seconda mano, nel 2023 la percentuale è salita al 57%. Ma come si fa a vendere al miglior prezzo i piatti e le tovaglie della nonna? E se devo svuotare una cantina, qual è il miglior canale e come faccio a dare agli oggetti il giusto prezzo?
Tempo di lettura: 7 minuti
di Giorgia Nardelli
Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.
- Il prezzo: a quanto vendere un oggetto usato
- Come individuare il prezzo giusto
- Quanto conta la firma per vendere bene
- A quanto vendere un oggetto anni ‘30
- Quanto valgono i mobili di modernariato
- Dove posso vendere gli oggetti che non uso più: quando convengono Facebook, Subito, ecc…
- L’intermediario: utile per gli oggetti di valore
- Dove trovare i mercatini dell’usato
Il prezzo: a quanto vendere un oggetto usato
Non esiste una regola aurea, ma per farsi un’idea basta seguire due o tre dritte. Ce le fornisce Sara Salerno, esperta di home decor antico e fondatrice del sito Heyfoo, piattaforma di compravendita di oggetti e antiquariato di pregio. Sui social Sara si definisce “l’Indiana Jones dell’homedecor antico”, ma ha consigli per tutti. «Il primo parametro su cui basarsi è il prezzo di acquisto originario. Devi farti un’idea, e cercare di capire quanto valeva quell’oggetto all’epoca in cui fu comprato, anche se risale a molto tempo fa. L’assunto è che se è costato tanto, può valere tanto, se è costato poco, se è un oggetto comune, anche se antico, è molto difficile che tu possa venderlo a un prezzo considerevole, fatte le dovute eccezioni. Farò un esempio: oggetti come il bricco di latta degli anni ’70 che si trovava in molte case, pur essendo abbastanza richiesto non ha gran valore, al massimo qualche decina di euro. Idem per le macchine da cucire. Sono bellissime e d’arredo, ma l’offerta è talmente alta che difficilmente si potrà spuntare una somma alta». Certo ci sono eccezioni. «Per esempio le zuppiere bianche antiche, di porcellane francesi e italiane. Erano un oggetto di uso comune, usate per i pasti di tutti i giorni, mentre quelle pregiate erano decorate e dipinte a mano. Ultimamente hanno acquisito valore perché amate dai designer, che le utilizzano come arredi nelle cucine moderne». Ovviamente non si può sperare di venderne una a 500 euro, fa intuire l’esperta, ma per le più belle si può arrivare vicini ai 100 euro.
Come individuare il prezzo giusto
Dicevamo che il punto di partenza è il prezzo di acquisto. Ma come risalire a questa informazione? «Si può iniziare chiedendo in famiglia, o cercando su internet il prezzo di pezzi simili, stando attenti a trovare una fonte attendibile. Il passo successivo è confrontare il prezzo con gli stipendi medi dell’epoca. Se poi non si riescono ad avere indicazioni chiare e affidabili ci si può rivolgere a un antiquario o a un esperto», suggerisce Salerno. Quanto al prezzo con cui lo venderò, molto dipende da quanto il mercato è disposto a offrire, anche qui il suggerimento può essere quello di controllare sul web. «Attenzione però a non fare troppo affidamento ai marketplace dei privati, che per definizione sono poco esperti. Inoltre, non è detto che i prezzo pubblicato è quello a cui l’oggetto sarà venduto. Se poi riteniamo che il nostro pezzo sia pregiato, è preferibile farlo valutare da un esperto». Se l’esperto è lo stesso intermediario a cui intendiamo vendere l’oggetto, ecco come capire se fidarsi subito. «Se ci dice che ciò che abbiamo ha poco valore, ma ci fa un’offerta, conviene mettersi in giro per fare almeno un’altra stima. Se però afferma subito che non c’è mercato per quell’oggetto, e non prova nemmeno a fare un’offerta stracciata, o dice che non è interessato, allora è molto probabile che stia dicendo il vero».
Quanto conta la firma per vendere bene
Quanto conta la firma? Tanto. «Prendiamo le porcellane o i servizi di piatti. In Italia si usava molto regalare i servizi di Richard Ginori, che avevano un certo pregio. Solo per un periodo di tempo limitato la casa ha prodotto oggetti più commerciali. I piatti di quel marchio probabilmente potranno essere venduti a un buon prezzo. (Su heyfoo i prezzi dei servizi di piatti di Richard Ginori si aggirano sotto ai 1.000 euro, ndr)». Non è così per altri brand, più “popolari”. «Le porcellane tedesche Bavaria, per esempio, erano anche molto note negli anni ‘60, ma erano poco costose, già allora un prodotto “medio”. Anche se oggi hanno 70 anni, non hanno acquisito valore», spiega l’esperta.
A quanto vendere un oggetto anni ‘30
Un occhio particolare dovremmo averlo per ciò che è stato fatto prima degli anni ‘50, spiega Sara. «Fino alla Seconda guerra mondiale non esisteva la produzione di massa, ogni oggetto veniva fatto per durare, e realizzato in maniera artigianale o semiartigianale. Oggi è quindi testimonianza preziosa di alcune tecniche che ormai non ci sono più». Vale soprattutto per la biancheria: «Tovaglie e lenzuola ricamate fino agli anni ‘40-50 quasi sempre hanno valore, perché a quell’epoca i ricami erano manuali, e si usavano tessuti di pregio. Ciò che invece risale a dopo la Seconda guerra mondiale va valutato, perché dagli anni ‘70 molti pezzi del corredo venivano fatti a macchina, o addirittura erano importate dall’estero».
Quanto valgono i mobili di modernariato
Anche gli anni ’50-60 e ’70 custodiscono oggetti di grandissimo valore. Oggetti di design degli anni ’70, come lacune lampade o poltrone sono diventati “mitici”, così come alcuni mobili di modernariato degli anni ’50 o ’60, spiega l’esperta. «Alcuni hanno prezzi che superano persino quelli dei mobili dell’800 intagliati a mano. Ma è così perché dietro c’è una certa fattura o la firma di un designer. La credenza dozzinale che era nella cucina della nonna varrà poche centinaia di euro, se va bene. Le copie di certi modelli firmati, invece, se fatte bene, posso avere un buon mercato».
Dove posso vendere gli oggetti che non uso più: quando convengono Facebook, Subito, ecc…
Che si fa, dopo avere individuato il valore di massima del nostro oggetto, o dopo avere svuotato la cantina? Un’alternativa è provare a “piazzare” la merce sui marketplace online per privati, come quello di Facebook, Subito.it, eBay, ecc. Ecco i consigli di Sara Salerno: «In questo caso è bene partire già consapevoli del valore attuale del pezzo, avere un minimo sotto il quale non scendere. Le piattaforme sono molto utili, perché hanno un mercato vastissimo, ma va tenuto presente che il 99% degli utenti è lì per risparmiare. È sicuramente una scelta ottimale per oggetti non preziosi, e se si ha il tempo poi di contrattare, imballare la merce, spedire, ecc».
L’intermediario: utile per gli oggetti di valore
Se hai un pezzo che ritieni sia di valore, meglio invece la via dell’intermediario. «In questo caso le opzioni sono due. Puoi venderlo subito, ma considera che il professionista che acquista dovrà coprire il costo d’impresa. Il prezzo che ti offrirà risentirà del fatto che lui non ha la certezza di vendere, non sa quando succederà e non sa a che prezzo. Il suo rischio finanziario può far scendere la sua offerta anche a un terzo del valore. Molti però applicano il conto vendita: si lascia l’oggetto o il mobilio per un certo periodo, e se non viene smerciato si decide di abbassare il prezzo, oppure il proprietario lo riprende con sé. In caso di vendita, invece, l’intermediario prende una percentuale, per esempio il 30%». Inutile dirlo, la scelta dipende dalle proprie necessità: volersi liberare di un mobile perché non si sa dove metterlo, o avere bisogno di denaro è diverso da avere un oggetto di valore da cui si decide di separarsi solo se ne varrà economicamente la pena».
Dove trovare i mercatini dell’usato
Anche i mercatini delle pulci che vengono organizzati nelle piazze cittadine sono una buona alternativa, soprattutto se si ha una cantina o la casa dei nonni da svuotare. Per partecipare, bisogna però informarsi da enti e associazioni che organizzano queste attività (conviene cercare sul web usando la chiave di ricerca “mercatini dell’usato” seguito dal nome della propria città). In certi casi, o se partecipare diventa un’abitudine, serve il tesserino da hobbista da richiedere al proprio comune, ma le regole dipendono dalle normative regionali, saranno gli organizzatori a fornire le istruzioni ai partecipanti. «Anche in questo caso partiamo dal presupposto che chi frequenta i mercatini dell’usato il più delle volte vuole spendere poco, difficile incontrare intenditori alla ricerca di oggetti di pregio», dice Salerno. C’è poi un aspetto fiscale, se il ricavato supera i 2.000 euro bisogna dichiarare i proventi al Fisco, come ci spiegava qui la nostra Giorgia Salardi.