Beauty premium: è vero che i belli guadagnano di più?

In una società che spesso ci impone standard irraggiungibili di bellezza e ci fa sentire oppressi dalla nostra forma fisica, quanto influisce realmente questa pressione sull’ambiente lavorativo e sul reddito che percepiamo? Si tratta del cosiddetto Beauty premium, un fenomeno secondo cui le persone considerate fisicamente attraenti tendono a ottenere più vantaggi nel mercato del lavoro, come salari più alti o maggiori opportunità di assunzione.

Tempo di lettura: 5 minuti

Annie Francisca
Annie Francisca

di

Autrice specializzata sui temi di sostenibilità, esteri e diseguaglianze sociali.

Beauty premium
Foto di Priscilla Du Preez

«Le persone grasse sono invisibili per la società, pur avendo un corpo estremamente visibile, che occupa spazio. Fino a pochissimi anni fa, la moda plus size non ti vestiva, ti copriva: pantaloni a palazzo, casacche che ti arrivavano sopra le ginocchia, come delle tende. Perché il tuo corpo non può essere visto. Perché non è un corpo guardabile».

Lara Lago associa ogni fase della sua vita a una taglia: dai continui passaggi tra la 46 e la 52, ricorda la sensazione di essere intrappolata in una montagna russa che ha influenzato non solo la sua salute mentale, ma anche le sue finanze. «Viviamo in una società che trae profitto dalla tua insicurezza», ci dice in una puntata del nostro podcast. Durante l’adolescenza e la giovinezza, Lara si è imposta regimi alimentari estremi, arrivando a mangiare carciofi a colazione e a masticare limoni, convinta che perdere peso l’avrebbe resa più preziosa. Con il tempo, lo shopping compulsivo, il make-up e i tatuaggi sono diventati una sorta di conforto per quella tristezza che cresceva a causa di un corpo non conforme agli standard sociali. Un corpo che, nonostante la volontà di trasformarlo radicalmente, continuava a resistere.

L’effetto della bellezza sul posto di lavoro 

Ma in una società che spesso ci impone standard irraggiungibili di bellezza e ci fa sentire oppressi dalla nostra forma fisica, quanto influisce realmente questa pressione sull’ambiente lavorativo e sul reddito che percepiamo? Si tratta del cosiddetto Beauty premium, un fenomeno secondo cui le persone considerate fisicamente attraenti tendono a ottenere più vantaggi nel mercato del lavoro, come salari più alti o maggiori opportunità di assunzione. 

Daniel Hamermesh, economista e autore di “Beauty Pays: Why Attractive People Are More Successful“, ha dimostrato che le persone considerate fisicamente attraenti tendono a guadagnare salari più alti e a ottenere maggiori opportunità di carriera rispetto ai loro colleghi meno attraenti. Parallelamente, studi come quelli condotti dall’Università della Virginia hanno rilevato che caratteristiche come l’altezza o il peso corporeo influenzano direttamente il reddito annuale delle persone.

L’effetto sul benessere economico, dunque, è significativo. Ma chi non corrisponde ai canoni estetici socialmente dominanti potrebbe percepire di essere penalizzato non solo nelle proprie possibilità di guadagno, ma anche nell’immagine di sé. E questo è confermato dall’halo effect, un bias cognitivo secondo cui una qualità percepita di una persona influenza il giudizio generale su altri aspetti non correlati. In pratica: se una persona è di bell’aspetto, si tenderà ad attribuirle altre qualità positive, anche se non vi è un legame logico tra di esse. Il termine halo effect è stato coniato dallo psicologo Edward Thorndike nel 1920, che studiò come i superiori militari valutavano i propri sottoposti. Thorndike scoprì che se un soldato era considerato attraente o ben vestito, veniva automaticamente giudicato più competente, intelligente e disciplinato, anche in assenza di prove concrete.

Il valore economico del beauty premium

Aldilà delle ricerche accademiche, però, se il valore di una persona viene misurato non solo in base alle sue capacità professionali, ma anche secondo l’attrattività fisica, emergono delle dinamiche correlate che influenzano anche il nostro portafogli. 

Il mercato cosmetico in Italia è uno dei più sviluppati al mondo, con una crescente attenzione verso la cura della persona, la bellezza e l’immagine. Nel 2023, il settore della cosmetica ha visto un fatturato che ha superato i 15,1 miliardi di euro, con un incremento significativo del 13,8% rispetto all’anno precedente.

L’industria cosmetica, che abbraccia prodotti per la cura della pelle, il trucco, i profumi e il benessere, rispecchia una domanda crescente non solo di “cura”, ma di “ottimizzazione” dell’aspetto. Questo aumento di attenzione per l’aspetto fisico e la bellezza può essere interpretato come una risposta al Beauty premium: più una persona investe nella propria bellezza, maggiore è la possibilità di godere di vantaggi sociali ed economici. Chi investe in cosmetici è spesso visto come una persona che ha maggiore cura di sé, che si preoccupa della propria immagine e che ha un alto livello di autostima. E nel mondo del lavoro, questo può tradursi in opportunità professionali maggiori, come evidenziato dagli studi di Daniel Hamermesh.

Ad esempio, secondo uno studio di McKinsey & Company sul mercato della bellezza, circa il 56% delle donne italiane tra i 18 e i 34 anni acquistano prodotti cosmetici con l’intento di migliorare il loro aspetto, non solo per cura personale, ma anche per sentirsi più sicure di sé. «Faccio un esempio: i tatuaggi. Io ho dieci tatuaggi e i tatuaggi costano un sacco di soldi. Però mi hanno aiutato a far pace con delle parti del mio corpo. Perché se io mi faccio un tatuaggio, tipo una rosa in mezzo alla pancia, inizialmente guardo il mio rotolo di pancia, ma il giorno in cui mi sono tatuata, comincio a guardare la rosa e automaticamente faccio pace con quella parte del corpo», racconta Lara. Il valore economico del mercato della bellezza in Italia è dunque direttamente correlato a queste dinamiche psicologiche ed economiche.

Eppure, in questo contesto, il paradosso sta nel fatto che, mentre l’attenzione verso l’inclusività aumenta, si consolida in modo sottile un criterio di selezione che rischia di compromettere la reale uguaglianza delle opportunità. Come scrive Lorenzo Cavalieri, Managing director della società di formazione e consulenza Sparring, in un articolo su il Sole 24Ore: «In alcune multinazionali il fenomeno arriva a sfiorare il ridicolo: camminando per i corridoi si può apprezzare il rispetto impeccabile delle policy di diversity, ma anche constatare che la maggior parte dei manager sembra uscito dal casting per una sfilata di moda». Oggi raramente ci soffermiamo a riflettere su quanto la bellezza possa influenzare il talento o viceversa, bensì accettiamo inconsapevolmente che bellezza e bravura tendano ad andare di pari passo. «Solo se si radicherà in ciascuno di noi la consapevolezza di queste due sottili dinamiche di percezione potremo insieme limitare la portata di questo principio di “selezione per bellezza”, che è antico come il mondo ma che è ampiamente accelerato dal narcisismo digitale del nostro tempo. Il rischio è che il fenomeno assuma dimensioni sempre più rilevanti e quindi discriminanti», conclude Cavalieri. 

Condividi