Chi offre aiuto economico alle donne che si ribellano alla violenza?
Lo Stato e le Regioni italiane hanno strumenti pensati per dare sostegno economico alle donne vittima di violenza di genere. Eccoli.
Tempo di lettura: 8 minuti
di Giorgia Nardelli
Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.
Questo contenuto è realizzato in collaborazione con Bright Sky, l’app che ogni donna dovrebbe avere sul suo telefono. Perché con pochi clic permette di conoscere e riconoscere le forme di violenza di genere, anche le più invisibili.
C’è un prezzo da pagare per dire basta a un partner che per anni ha controllato la tua vita e le tue finanze. Quel prezzo equivale a ripartire da zero, e spesso zero vuol dire nessun lavoro e nessun soldo in tasca. Negli anni, però, lo Stato e le Regioni italiane hanno messo a punto strumenti pensati per dare sostegno economico alle donne vittima di violenza di genere, permettere loro di recuperare l’autonomia perduta e riallacciare i rapporti con il mondo del lavoro. Con l’aiuto di Federica Scrollini, operatrice della cooperativa sociale romana Befree, che gestisce diversi centri antiviolenza e case rifugio nel Centro Italia, abbiamo passato in rassegna i principali aiuti. Eccoli.
I centri antiviolenza e le case rifugio
I centri antiviolenza sono ormai in tutte le regioni italiane (consulta qui la mappa). La loro missione non è solo dare un tetto a chi fugge da situazioni di emergenza, ma anche indirizzare le donne e aiutarle a scegliere in autonomia un nuovo percorso umano, lavorativo e finanziario. «Chi ha vissuto con un uomo violento spesso non è indipendente economicamente, e deve riprendere in mano la propria vita da diversi punti di vista», spiega Federica Scrollini, operatrice della cooperativa sociale romana Befree, che gestisce centri antiviolenza in Abruzzo, Lazio e Molise. «Le operatrici dei centri non hanno solo una funzione di ascolto, aiuto e protezione, ma sono vere e proprie consulenti, e in collaborazione con i servizi sociali cercano con le donne le soluzioni per risollevarle economicamente e toglierle dall’isolamento in cui hanno vissuto». La prima esigenza è trovare un tetto, specie per chi fugge da situazioni ad alto rischio. «Si valuta con la donna la possibilità di chiedere aiuto alla rete dei parenti o degli amici più cari. Se è in una situazione di pericolo, si cerca un alloggio presso le case rifugio, oppure presso residence e alberghi che mettono a disposizione camere per determinati periodi. Non sempre è semplice trovare un posto, ma con pazienza e un grande lavoro una soluzione si trova».
Il reddito di libertà
Il passo successivo è cercare per la vittima un aiuto economico, per darle il tempo di trovare un lavoro. Se la donna è senza risorse o ha bisogno di aiuti per mantenersi, si può giocare la carta del contributo di libertà, un sussidio istituito nel 2020 e destinato appunto alle vittime di violenza di genere. Consiste in un assegno mensile di 400 euro per 12 mesi, che viene assegnato alle vittime. La domanda va fatta all’Inps, passando per i servizi sociali, che devono valutare lo stato di effettivo bisogno della donna. Ma va detto che anche i centri antiviolenza, che lavorano in collaborazione con gli assistenti sociali della zona, possono fare da tramite, perché i due servizi lavorano in stretta collaborazione. «Una cosa molto importante da sapere è che per fare richiesta non è necessario avere denunciato formalmente il partner, è sufficiente raccontare la propria storia di violenza e dichiarare lo stato di bisogno, senza dover dimostrare i fatti con prove o documenti. Basta la parola della donna», sottolinea Scrollini. «Serve a dire che stiamo dalla parte delle donne, che crediamo loro. Il vero problema, semmai, è che non sempre la misura è attiva, perché è soggetta al rifinanziamento del fondo da parte dell’Inps o delle Regioni, che possono a loro volta aggiungere risorse proprie. Bisogna insomma trovarsi nel momento giusto».
Le misure regionali
Anche le singole regioni mettono a disposizione aiuti finanziari. Il Lazio, per esempio, ha istituito il contributo di libertà, che consiste in un contributo una tantum di un massimo di 5.000 euro, che può essere usato per le spese di prima necessità, come l’alloggio e le bollette, ma anche per la formazione, i farmaci o le spese per i figli. «È il centro antiviolenza a inviare la domanda alla regione dopo avere esaminato il caso della donna. Il contributo arriva in anticipo in soluzione unica ma poi va presentata rendicontazione delle spese, e non è cumulabile con il reddito di libertà», spiega Scrollini. Anche la Sardegna, ha il “suo” reddito di libertà che parte da 780 euro, la Sicilia prevede fino a 10.000 euro per la singola donna, ai fini dell’inserimento lavorativo, mentre in Puglia le donne hanno un percorso di accesso differenziato al reddito di dignità, un’altra misura regionale. Nel report di Action Aid “Diritti in bilico”, trovi le iniziative messe in campo dalle altre regioni. Sono sempre i centri antiviolenza a tenere la mappatura delle iniziative regionali, anche se, in tutti i casi, bisogna attendere di volta in volta che i fondi siano rifinanziati.
L’assegno di inclusione
Anche l’assegno di inclusione (ieri reddito di cittadinanza) può essere prezioso per ottenere una fonte di reddito provvisoria. «Al contrario degli altri strumenti pensati per donne che vivono in situazioni di violenza, si tratta di una misura strutturale, può essere rinnovata di anno in anno, e tiene conto di eventuali figli a carico», spiega l’esperta di Befree. «Non per caso, il reddito di cittadinanza è stata una delle misure che ha aiutato più donne a uscire dalla violenza. Anzi, a molte, sapere di poter fare affidamento su un’entrata mensile stabile ha dato il coraggio per fare il primo passo». Il limite del reddito di cittadinanza è stato per anni quello di essere condizionato dall’Isee familiare (chi ancora figurava nel nucleo familiare dell’ex partner spesso non rientrava nei parametri di reddito previsti), ma le cose sono cambiate. Le donne inserite nei programmi di protezione dei Centri antiviolenza possono ora richiedere che l’Isee non comprenda il reddito dell’altro genitore, “nei casi in cui questi sia escluso dalla potestà genitoriale sui figli o sia soggetto a un provvedimento di allontanamento dalla residenza familiare, oppure se sia stata accertata dalle Amministrazioni competenti l’estraneità del genitore in termini di rapporti affettivi ed economici”, scrive l’Inps in un’utilissima Guida_per_donne_vittime_di_violenza . Inoltre, l’Assegno di inclusione viene riconosciuto alle donne inserite in percorsi di uscita dalla violenza, senza che queste abbiano l’obbligo di rispettare il patto di attivazione lavoro. Infine, la donna potrà anche chiedere per sé l’assegno unico e universale per ogni figlio a carico.
Il microcredito di libertà
Ai sussidi si è aggiunta da poco una nuova forma di sostegno, pensata anche per chi decide di mettersi in proprio. Da aprile 2022 è diventato operativo il microcredito di libertà, anche se non ancora in tutti i territori. «È un prestito a tasso zero e può essere di due tipi, sociale o imprenditoriale. Ha l’obiettivo di aiutare le donne che escono da una relazione violenta di dipendenza a emanciparsi. Il finanziamento può essere appunto di tipo sociale, e essere usato per pagare per esempio la caparra della casa in affitto, o se si devono affrontare altre spese, oppure imprenditoriale, se si vuole aprire una piccola attività in proprio. In entrambi i casi il valore aggiunto è che si gode di un tutoraggio, c’è dunque una persona esperta che fa da “guida” e consiglia la donna nelle decisioni e nelle strategie, a titolo gratuito». Con il microcredito si possono ottenere fino a 10.000 euro per esigenze personali, e fino a 50.000 per avviare un’impresa, da restituire in un numero concordato di rate, senza spese aggiuntive né interessi. Ancora una volta a far da tramite sono i centri antiviolenza. Qui ci sono alcune informazioni aggiuntive.
Le iniziative per l’empowerment
«Chi si libera da una relazione oppressiva non può limitarsi ai sostegni economici. È per questo che la mission di noi operatrici è di lavorare anche sull’empowerment delle vittime, riattivare insieme conoscenze e competenze, e fornirne di nuove per far sì che trovino un posto loro nella società. Dopo la ricerca di un tetto e di contributi pubblici, da noi trovano un sostegno per ripensarsi e cercare un’occupazione. Si scrivono insieme a loro i curricula, si fa il bilancio delle competenze (se vuoi capire meglio cos’è ne abbiamo parlato qui), si lavora in rete con altri enti che si occupano di formazione, di inserimento lavorativo o di affiancare le piccole imprese o le cooperative. L’obiettivo è anche evitare che la ricerca di un lavoro si esaurisca negli ambiti di cura “assegnati” alle donne, e cioè pulizie, assistenza a bambini o ad anziani». Nel frattempo, con l’aiuto dei servizi sociali si possono cercare altri aiuti comunali o regionali destinati a chi è in una situazione di fragilità, ma anche supporto per trovare una rete di servizi che aiuti la donna a badare ai bambini piccoli mentre è impegnata al lavoro: asili nido, pre e post scuola, ludoteche, ecc.
Il congedo indennizzato
C’è anche l’ipotesi in cui la vittima di violenza ha già un impiego, ma il rischio di ritorsioni dell’ormai ex partner è talmente alto da rendere sconsigliabile la frequentazione del luogo di lavoro. In questo caso si può sfruttare il congedo indennizzato per donne vittime di violenza di genere che dà diritto a un periodo di astensione di massimo 90 giorni, sia nel pubblico sia nel privato. La possibilità di usufruire del congedo è stata estesa anche alle lavoratrici autonome e alle collaboratrici domestiche, e per accedervi è sufficiente essere inserite nei percorsi di protezione certificati dai servizi sociali del comune di residenza o dalle strutture antiviolenza, come appunto i centri o i rifugi. Le dipendenti percepiranno dall’Inps un’indennità pari al 100% delle voci fisse della retribuzione, l’intero periodo è coperto da contribuzione figurativa e viene conteggiato ai fini dell’anzianità di servizio (qui è spiegato bene).
Il gratuito patrocinio
La consulenza legale nei centri antiviolenza è sempre gratuita, ed è sempre offerta alle donne, anche per aiutarle a conoscere i propri diritti e a identificare con chiarezza le situazioni di violenza economica, e a reclamare, quando la situazione lo consente, ciò che spetta loro. Per le azioni legali vere e proprie c’è invece il gratuito patrocinio. «Le donne possono scegliere di farsi seguire dalle legali del centro, che generalmente sono iscritte alle liste del gratuito patrocinio, o preferire un altro legale, da scegliere sempre sugli elenchi provinciali», chiarisce Federica Scrollini. Per le cause civili, il gratuito patrocinio può essere attivato solo da chi ha un Isee non superiore a 11.746,68 euro. Per il penale, invece, l’assistenza è sempre gratuita per le vittime dei reati di violenza di genere.
Di fronte alla violenza non dobbiamo mai sentirci sole. Bright Sky è l’app gratuita che aiuta a contrastare la violenza di genere in ogni sua forma. Non solo quella che subiamo direttamente ma anche quella che temiamo si consumi nel privato delle case delle nostre amiche.