Ci siamo sposati senza mai parlare di soldi
Da ragazzina, Francesca vive un primo grande trauma con i soldi: il padre imprenditore sparisce lasciando dietro di sé moltissimi debiti. Sua madre, fino ad allora casalinga, si trova un lavoro umile per mantenere lei e suo fratello. Una volta laureata, Francesca ha fretta di dimostrare di non cadere nello stesso errore di sua madre. Ha un lavoro ed è indipendente, ma senza accorgersene lascia che suo marito eserciti il controllo attraverso il denaro.
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“Eravamo molto diversi nel rapporto col denaro. Per me, forse per il fatto che a un certo punto della mia vita avevo perso tutto, il denaro era qualcosa di importante, ma che poteva andare e tornare. Quindi non ero ansiosa nei confronti del denaro. Lui lo era molto. Non avevamo mai deciso come spendere i nostri soldi, non ne avevamo mai parlato”.
Francesca lo ha capito troppo tardi. Tra i valori su cui si fonda un matrimonio c’è anche il senso che ciascuno dei due dà al denaro. Un senso che si costruisce attraverso le esperienze della propria infanzia e che si condivide in apposite e intime conversazioni.
Il primo trauma col denaro
Francesca nasce 39 anni fa a Milano. Suo padre è un imprenditore di successo, sua madre ha venduto il ristorante che gestiva per crescere lei e suo fratello. Fin da piccola, Francesca frequenta scuole private, confondendo lo spaccato di società lì rappresentato, per la normalità.
«Non mi rendevo conto del nostro privilegio, anzi mi sembrava di essere circondata da persone più privilegiate di me. Fai conto che noi avevamo una casa di 300 metri quadri nel quartiere Isola, che a quel tempo mi sembrava periferia».
Tutto cambia bruscamente quando Francesca ha 18 anni e torna in Italia dopo due anni di studio negli Stati Uniti. Suo padre se ne va di casa assieme a una ragazza molto più giovane di lui.
“Mio papà è sparito completamente dalle nostre vite, lasciandoci il primo trauma grosso nei confronti del denaro, perché ci ha abbandonato senza soldi. In una vita in cui, tra l’altro, avevamo un certo agio. Quindi mia mamma non lavorava, si occupava solo di noi, non avevamo entrate economiche. Ci siamo ritrovati con una casa di cui occuparci e niente per farlo”.
La madre di Francesca, con la vendita del ristorante, aveva accumulato una discreta fortuna. Che però aveva lasciato gestire al marito. «Lei si è fidata totalmente di questa persona con cui viveva, al punto da affidarle anche i suoi risparmi. Non sembra una cosa così assurda poterti fidare delle persone con cui hai una famiglia e con cui hai dei figli. Però in questo caso lo è stato».
A quel punto, la mamma di Francesca si rimette a lavorare.
«È stato un periodo complicato. Io andavo ancora alle superiori. Fino ad allora avevo sempre trovato mia mamma a pranzo, adesso non più, perché lavorava in una mensa. Usciva presto la mattina e tornava al pomeriggio. Faceva un lavoro di fatica. Non aveva trovato altro, anche perché non sapeva l’inglese, non aveva competenze».
Suo padre, a loro insaputa, oltre ad aver contratto numerosi debiti, ha fatto un mutuo sulla casa di cui è unico proprietario. Essendo però completamente sparito dal radar, banche e creditori bussano alla porta della madre di Francesca.
«Questa casa ovviamente non abbiamo potuto tenerla, quindi c’è stato il trauma ulteriore di vedersela portar via. Abbiamo avuto la polizia in casa più volte: cercavano dei suoi documenti e non credevano che noi non sapessimo dove fosse realmente. Ho questo ricordo terribile della mia vicina di casa che nascondeva a mia mamma i soldi nei vasi di fiori dei balconi comunicanti per permetterle di pagare le bollette».
La rete sociale di salvataggio
La vicina di casa si rivela un nodo fondamentale della rete sociale che aiuta la famiglia di Francesca a rialzarsi.
«Quando papà è andato via, abbiamo ricevuto grande simpatia e grande aiuto da parte sua, nel modo più discreto e sensibile possibile».
Sarà lei a far ammettere Francesca nella scuola privata dei suoi figli e a pagarle la retta per quell’ultimo anno di liceo.
“Come spesso succede, gli amici spariscono. Un po’ perché mio papà aveva chiesto soldi in giro. Un po’ perché la rete degli amici comunque scompare quando hai dei grossi problemi, soprattutto economici. Lei non faceva parte della rete degli amici, ma la gentilezza degli sconosciuti, o comunque delle persone che non ti aspetti, è quella che ti salva davvero. Quella che ti restituisce fiducia nel prossimo”.
L’altro nodo prezioso della rete sociale di salvataggio è la nonna di Francesca. Che li accoglie in casa non appena il loro appartamento viene venduto all’asta
«È stata una bella differenza passare da 300 metri quadri a 70 in condivisione con mia nonna, per quanto fosse una figura che ho amato tantissimo. Prima non percepivo il mio privilegio, adesso percepivo un disagio. Il disagio di essere un pesce fuor d’acqua in una scuola privata che pagava la nostra vicina di casa».
La fretta di essere indipendente
Dopo qualche tempo, la convivenza con la nonna si fa pesante e la mamma di Francesca riesce a prendere un appartamento in affitto proprio lì di fianco. Francesca, intanto, inizia a lavorare nel call center di Fastweb che è appena nato. Lo fa per pagarsi l’università ma non solo: «Riuscivo a dare una mano a mia mamma. La aiutavo con l’affitto della casa oppure con la spesa. C’era un certo orgoglio nel riuscire a ridare indietro qualcosa che avevo ricevuto».
Nonostante i turni di lavoro, Francesca si laurea in 4 anni esatti: «Posso dire di non aver proprio vissuto i miei vent’anni. Cosa che tornerà nella mia vita».
In quegli anni, più di tutto, Francesca patisce la riduzione degli spazi personali e la necessità di condividerli con la mamma e il fratello piccolo. Così, a 20 anni, va a vivere con il suo fidanzato dell’epoca, che abita fuori Milano, costringendosi a un quotidiano e impegnativo pendolarismo. Dopo due anni, stufa di fare avanti indietro e di un fidanzato 15 anni più grande, Francesca torna momentaneamente a vivere da sua madre. È in questo periodo che trova il suo primo lavoro da adulta: viene assunta in un’azienda di logistica integrata che in quel momento ha un grossissimo progetto in Kazakistan. Tra i suoi colleghi c’è il suo futuro marito.
“Lui ha dieci anni più di me. In meno di un anno, siamo andati a vivere insieme. Questo lo attribuisco a quella inquietudine che avevo nello stare a vivere con mia mamma e mio fratello. Volevo affrettare le cose. Secondo me nessuno dei due era innamorato dell’altro, lui aveva un’età in cui voleva sistemarsi e io avevo fretta di avere una famiglia mia, con cui non fare lo stesso errore che aveva fatto mio padre o comunque con cui costruire qualcosa di nuovo”.
Francesca è consapevole della condizione di vulnerabilità in cui si era messa sua madre. E pensa di sapere come non caderci a sua volta.
«Ognuno aveva il suo lavoro, quindi a me sembrava di essere già meglio di mia mamma. Io avevo le mie entrate. Lui aveva le sue. Avevamo un conto in comune da cui pagavamo l’affitto. Mi sembrava di essere un’adulta vera perché era la prima volta che pagavo un affitto mio. Fino a quel momento ero sempre andata a convivere. Avevo aiutato mia mamma, è vero, ma non avevo mai avuto una vera responsabilità economica».
Due diverse prospettive sul denaro
Francesca e suo marito vivono in affitto per 6 anni. Durante questo periodo, nasce la loro prima figlia. Quando 3 anni dopo aspettano il secondo figlio, decidono di comprare casa. Francesca ha 30 anni e, a differenza di quanto aveva fatto sua madre, si fa cointestare l’appartamento.
La loro gestione economica è perfettamente divisa a metà. Eppure nel corso degli anni emerge un modo diverso di intendere il denaro.
«Lui aveva una cosa che all’inizio non avevo capito: era molto attaccato al denaro. Non so per quale motivo, perché nella sua storia familiare non mi è mai sembrato che ci fosse questo problema, ma era molto in ansia nei confronti del denaro. La libertà di spendere quello che volevo non ce l’avevo fino in fondo».
“Quando eravamo insieme, il suo controllo era compatibile con il nostro stile di vita, era entrato nella consuetudine. È diventato un po’ più pressante quando abbiamo cominciato ad avere un mutuo. Non ero libera di spendere i soldi che mi arrivavano come mi pareva, perché comunque lui poteva controllare il conto corrente, ma fino a che siamo stati insieme il suo controllo è stato leggero. C’era la percezione che vivessimo al di sotto delle nostre disponibilità, ma lui ti faceva capire che eravamo molto al di sopra”.
La sensazione di essere in trappola
La seconda maternità si rivela difficile. Il bambino ha problemi respiratori e per un anno entra ed esce dagli ospedali. Il resto del tempo, Francesca lo trascorre chiusa in casa. Si sente soffocare. A quel punto riceve un’offerta di lavoro nel Dipartimento di Stato americano. La sua decisione di lasciare la banca e accettare quell’offerta si rivela un game changer fondamentale.
«Avevo 31 anni e lì ha cominciato a emergere la cosa di cui ti accennavo, il fatto che non avessi mai vissuto i miei venti. Ho cominciato a frequentare colleghi più giovani di me, che potevano uscire dopo il lavoro. E io no, perché avevo dei figli di cui occuparmi, quindi dovevo correre a casa. Non ero libera di fare quello che volevo e questa cosa mi ha fatto mancare la terra sotto i piedi».
L’esperienza del consolato termina al cambio di presidente della repubblica americana. Francesca si ritrova per la prima volta a casa senza lavoro e senza quella socialità che la faceva sentire libera.
«Ero tornata a essere la mamma che non aveva niente da fare e quindi cercavo di trovarmi altri interessi. Ho capito che c’era qualcosa che non andava quando questo interesse è arrivato nei confronti di un’altra persona».
Quell’infatuazione non diventerà mai una relazione, ma è un campanello di allarme. Francesca si accorge di aver scelto il matrimonio per la fretta di sistemarsi e per dimostrare di non cadere negli stessi errori dei genitori. Adesso, però, si sente in trappola.
“Ero senza lavoro e quindi la mia unica sicurezza economica era lui”.
«Inizialmente non mi faceva pesare il fatto di essere senza lavoro. Poi, quando ha cominciato a passare un po’ di tempo sì, mi faceva capire che pesava tutto su di lui e che eravamo in difficoltà. Però non mi aiutava. non mi tirava su. Era un continuo affossarmi in qualche modo: “Non ti impegni abbastanza. Ma com’è possibile? Ne parlo anche coi miei amici e per loro non è possibile che tu non riesca a trovare un lavoro”».
La forza di dire “Basta”
Francesca capisce che se vuole staccarsi da lui, deve recuperare a tutti i costi la sua indipendenza economica. Finalmente l’occasione le si presenta su Facebook: un’amica cerca qualcuno disponibile ad andare in Qatar per un mese a organizzare le feste del ramadan per una sceicca. Lui fa il diavolo a quattro per impedirglielo ma Francesca è determinata. Riesce a partire.
«Ho passato un mese completamente folle in Qatar, a Doha, una città pazzesca, dove lavoravo dalle 18 alle due di notte e vivevo con altre ragazze che lavoravano con me, quindi mi sembrava davvero di aver ripreso i miei vent’anni. È stato il primo momento in cui sono riuscita a mettere le mani su dei soldi, perché la sceicca è stata incredibilmente generosa, ci ha dato delle laute mance. Quindi io sono tornata in Italia con quasi sei o sette mesi di stipendio».
Ma soprattutto Francesca torna con la forza di dire basta e di avviare la separazione. Ed è allora che lui aziona una lenta e logorante battaglia economica, forte di una famiglia benestante alle spalle, con una grande casa che avrebbe potuto riospitarlo.
“Lui, il controllo del denaro vero, quello tossico, l’ha messo in piedi soprattutto quando abbiamo deciso di separarci. Voleva a tutti i costi vendere la casa, mi minacciava col fatto che lui avrebbe tenuto i bambini perché lui aveva un’altra casa, e io avrei potuto vederli ogni tanto”.
Francesca non avrebbe mai voluto vendere la casa. Avrebbe desiderato lasciarla ai suoi figli, ma benché senza lavoro e benché senza una madre che potesse ospitarla, acconsente alla vendita.
«Un’altra cosa su cui lui faceva leva e su cui abbiamo dovuto discutere molto è stato il mantenimento dei figli. Ha proposto un mantenimento di 100€ al mese a testa, che non è neanche quello che si richiede ai disoccupati. Poi siamo arrivati a una cifra che comunque non è congrua con quello che dovrebbe. Però a quel punto ero talmente esasperata che volevo solo levarmelo di torno. Ma a tutt’oggi non è che io non debba mai litigare per ricevere quei soldi».
“Anche adesso che non stiamo insieme, lui deve avere il controllo. Il suo obiettivo è sempre stato quello di farmela pagare, mettendomi in difficoltà in quelli che lui sapeva essere i miei punti deboli: figli e denaro, che per lui vanno sempre insieme. Figli e denaro: tu non puoi permetterti di mantenerli, io te li tolgo”.
Nell’ottobre di quell’anno Francesca riesce a trovare lavoro. Il lavoro dei suoi sogni, come food editor in un’agenzia e ad affittare una casa all’Isola, lo stesso quartiere in cui è cresciuta, che nel frattempo è divenuto uno dei più costosi di Milano.
«Era la prima volta che avevo un’indipendenza meravigliosa. Non dovevo chiedere niente a nessuno. Non c’era nessuno che mi diceva: ti rimangono solo 600 euro sul conto, sicura di voler comprare il Lego?».
La vera indipendenza, lo ha capito adesso, è arrivata quando ha smesso di far guidare le sua azioni dalla paura. «La paura di non poter mantenere i miei figli o di rimanere senza lavoro o di non avere una solidità e un’indipendenza economica».
“Questo cambio di vita, che non credevo di poter fare davvero da sola, mi ha dato molta fiducia nella persona che sono. Mi ha fatto guardare al passato dicendo che mi sono accontentata di tante cose perché pensavo di non riuscire ad averle o di non meritarle. E invece adesso ho una vita totalmente diversa. Ora guardo il mio conto corrente, ho dei bei soldi da parte e continuo a vivere una bella vita con i miei figli. Quindi mi dico: ok, sei sulla strada giusta e ti sei completamente allontanata da quella che è stata la parabola di tua mamma, della tua famiglia”.
Questa puntata è stata realizzata in collaborazione con Bright Sky, una app gratuita realizzata da Fondazione Vodafone per contrastare la violenza di genere, in ogni sua forma. Non solo quella che subiamo direttamente ma anche quella che temiamo si consumi nel privato delle case delle nostre amiche. Perché di fronte alla violenza, non dobbiamo mai sentirci sole.