Come chiedere un aumento di stipendio

È un argomento che più volte abbiamo toccato noi di Rame, e che oggi, con gli stipendi sotto la media europea, torna più attuale che mai. Questa volta ne abbiamo parlato con l’economista Azzurra Rinaldi, che sull’argomento ha scritto un libro – Come chiedere l’aumento, Fabbri Editori -, e a noi ha spiegato come superare certi pregiudizi inconsci e affrontare al meglio la trattativa, usando dati, impostando una conversazione e ricorrendo a utili strategie…

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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Foto di Vitaly Gariev

Tra i Paesi europei, l’Italia è quello con i salari medi tra i più bassi d’Europa, specie per i laureati. Secondo i dati Eurostat, tra chi ha conseguito il titolo di studio, la retribuzione nazionale scende ben sotto la media Ue, siamo a 3.653 euro per i maschi, contro i 3.981 per i colleghi europei, e 2.593 euro per le femmine (media Ue: 2.888). «Negli ultimi 20 anni, a fronte di una crescita media del 20%, le retribuzioni si sono ridotte in rapporto al costo della vita. Per le donne va ancora peggio, perché il gender gap salariale è molto marcato: gli ultimi dati Inps ci dimostrano che in Italia gli uomini guadagnano in media 8.000 euro in più rispetto alle colleghe», spiega l’economista Azzurra Rinaldi. Ma se in tanti si sentono sottopagati rispetto alle proprie competenze e all’apporto che danno alla propria azienda, quanti chiedono un aumento? E quanti conoscono il modo migliore ottenerlo? Abbiamo chiesto dei consigli ad Azzurra Rinaldi, che da poco ha pubblicato il libro Come chiedere un aumento di stipendio.

Come convincere il capo a dare un aumento: vincere la Sindrome dell’impostore

Prima di convincere qualcuno a pagarci di più, dovremmo convincere noi stessi. Scontato, ma solo a parole. Come abbiamo spiegato anche qui, se non sei consapevole del valore che metti sul banco della trattativa, non potrai negoziare nulla con successo. «La prima cosa da fare è scacciare quella voce che dentro di noi ci dice che non siamo in grado, sederci convinti che l’aumento è davvero quello che meritiamo», spiega Azzurra Rinaldi, docente di economia politica all’Università Unitelma Sapienza e autrice del libro Come chiedere un aumento di stipendio, appena uscito per Fabbri Editori. Un volume che non a caso parla e guarda al femminile, e che, dati scientifici e numeri alla mano, spiega come dimostrare il proprio valore e uscire vincenti da una trattativa sui compensi, sia che si sia dipendenti, sia che si sia liberi professionisti. «Questo consiglio vale soprattutto per le donne, che hanno una marcata tendenza a sottostimarsi. Un dato tra tanti: il report Advancing the Future of Women in Business 2020 di Kpmg, mostra che il 75% di loro ha sperimentato la Sindrome dell’impostora durante la propria carriera. È una sindrome che colpisce molte di noi, e ci persuade di non essere all’altezza dei ruoli che ricopriamo, dei meriti che ci vengono dati o dei compiti assegnati, insinuando il sospetto che ciò sia accaduto più per un errore di valutazione di altri. Ecco, questa errata convinzione va estirpata prima di tutto dentro di noi».

Registrare i successi 

Già, ma come si estirpa la sensazione di non essere mai all’altezza o di non meritare di più? «Per accrescere la nostra consapevolezza ed essere pronte al momento del colloquio, è sufficiente prendere nota di volta in volta dei nostri progressi. Ci riesce molto facile archiviare i risultati raggiunti, mentre tendiamo a ricordare soprattutto gli insuccessi. Per evitarlo, è sufficiente prendere un foglio excel, un diario, un documento word e appuntare, “registrare” ciò che di buono realizziamo giorno dopo giorno: il nuovo cliente acquisito per i nostri meriti, il progetto andato bene, la citazione su un giornale, la partecipazione come speaker a una conferenza importante. Qualunque sia il risultato, va messo per iscritto. Bastano 30 secondi, ma nel tempo questo ci darà la possibilità di avere sotto gli occhi ciò che di buono abbiamo fatto, dandoci la misura del nostro valore, e ci aiuterà a liberarci della voce dell’impostora», suggerisce Rinaldi. Il file con la nostra storia lavorativa sarà di grande aiuto anche quando la persona che avremo di fronte ci rivolgerà la fatidica domanda e cioè: “Perché dovremmo darti un aumento, o perché dovremmo scegliere te per quel ruolo?”. «A quel punto, invece di arrabattarci e affastellare frasi confuse, avremo un file a cui attingere. Uno strumento semplice e potentissimo», conclude l’esperta.

Prima di chiedere l’aumento: partire dai dati

Partire dai fatti, dunque, mettere insieme dati e numeri prima ancora del colloquio. Ma non fermarsi a quelli che riguardano noi stessi. Al tavolo della trattativa ci si deve sedere dopo aver scattato una fotografia chiara del contesto in cui ci si colloca. Nel suo libro Rinadi chiede di chiedersi, per esempio, quanto guadagnano in azienda le persone con le stesse mansioni e competenze, quali passaggi di carriera hanno fatto i superiori e in quanto tempo, quali tipi di persone vengono premiate. Il motivo è conoscere e analizzare il contesto in cui si è immersi, per sapere dove fissare l’asticella, e anche capire prima di affrontare la trattativa quando, purtroppo, è il caso di guardare altrove, perché magari quello non è il posto che premia quelli come noi. Non solo. Ci sono da analizzare i dati sulla situazione di mercato e su quella aziendale. Cosa ci dice sulla nostra posizione? Quanto pagano i competitor e qual è lo scenario economico in cui ci muoviamo? Che periodo sta vivendo il nostro settore e la nostra azienda?

Come mi preparo a negoziare la promozione

Una volta individuato il proprio valore e studiato il contesto, arriva il momento di tracciare le diverse strade che la trattativa potrebbe prendere. «Alla negoziazione è bene arrivare con uno strumento in tasca, e cioè la consapevolezza che potrebbero dirci di no, e che in quel momento dovremo tirare fuori un Piano B», dice Rinaldi. «A questo ci si prepara in due modi. Il primo è avere già con sé la cosiddetta Batna, che l’acronimo di the Best alternative to a negotiated agreement, vale a dire l’alternativa più vantaggiosa che puoi strappare se non raggiungi il risultato sperato. È come una rete di sicurezza e significa avere delle alternative da proporre nel caso in cui la tua richiesta venisse negata, e che potrebbero comunque andarti bene: un orario flessibile, un benefit o un altro beneficio. Serve a muoversi meglio all’interno della trattativa, a non cristallizzarsi su posizioni fisse». Ma non è tutto: assieme ai piani B bisogna fissare un limite e cioè stabilire a priori quale sarà il punto in cui ci si potrebbe alzare e mollare tutto; è importante essere consapevoli che esiste una soglia oltre la quale non si va. «Partire avendo ben presente qual è il livello oltre il quale non si scende, dà molta più forza durante il colloquio, perché si hanno ben chiari i confini dentro cui muoversi. Bisogna ragionare nell’ottica in cui la negoziazione non è una battaglia, ma un processo in cui ciascuno cerca di raggiungere un risultato che soddisfi entrambi. Restando in quest’ottica, diventa però per noi più facile fermarci quando sappiamo qual è il punto da non superare».

Come reagire ai no

Viene da sé, che prepararsi a chiedere un aumento comporta anche il mettere in conto un possibile no. Ma niente drammi, suggerisce Rinaldi. «Se così non fosse non sarebbe una negoziazione. Ricordiamo sempre che si tratta di una conversazione, e che dai no si può ripartire, con molta serenità, anche facendosi spiegare i perché. Il messaggio che diamo deve essere chiaro: “questo aumento o questa promozione io la voglio ottenere, aiutami a capire come posso arrivarci”. Se abbracciamo questa convinzione siamo già a un ottimo punto». Un messaggio, questo, che l’economista rivolge soprattutto alle lavoratrici. «Le donne ottengono un aumento in un quarto dei casi rispetto agli uomini. Dunque è assai prezioso acquisire la consapevolezza che continuare a chiedere è importante: se ti dicono di no, non cade il mondo. D’altro canto, per negoziare servono dei soggetti disposti a farlo, e se dall’altra parte ci rendiamo conto che questa volontà non c’è, non possiamo fare nulla. Meglio cercare un’alternativa».

La trattativa: come si negozia l’aumento di stipendio

Finita la fase preparatoria, arriva il momento di chiedere. Partire con il piede giusto è quasi metà del lavoro. «E questo significa non intavolare la discussione alla macchinetta del caffè o in ascensore, ma chiedere un appuntamento, arrivare quindi con i dati di cui abbiamo parlato, partire dai risultati raggiunti. Si può anche cominciare con un: “Guarda, ti ho portato qualcosa, ho fatto un record del mio lavoro nell’ultimo periodo, te lo condivido”», suggerisce la docente. «Non è finita, però. Chiudere il colloquio nel modo giusto è altrettanto importante quanto iniziarlo . E se è bene partire con dati oggettivi e fatti, è altrettanto utile chiudere con l’empatia, uno strumento efficacissimo per sciogliere la tensione. È sufficiente una battuta su un dettaglio, un aneddoto personale, un accenno ai propri hobbies o alla propria famiglia da condividere con l’interlocutore: le neuroscienze dicono che empatizzare abbassa il livello di cortisolo, in altre parole rende la persona che abbiamo di fronte meno stressata e più disposta ad ascoltare i nostri meriti, e le nostre ragioni».

Strategie vincenti: la doppia promozione

Ci hai mai pensato che elogiare un collega mentre stai parlando di te può portarti un vantaggio? «Le ragioni sono diverse – spiega Rinaldi -, e la prima è che decantare le virtù di un altro può allentare la pressione che sentiamo nel doverci autopromuovere, cosa che mette moltissimi di noi a disagio. Parlare anche dei colleghi ci aiuta a sentirci più leggeri. Ma funziona anche con l’interlocutore: nel momento in cui questi realizza che chi ha di fronte si sente così forte da mettere in luce quanto è brava la collega o il collega, costruisce di noi un’immagine positiva. Inoltre, promuovere chi lavora al nostro fianco ci aiuta a costruire reti, a fare alleanze in un mondo del lavoro che in certi ambiti è ancora molto muscolare. Ci sono ancora aziende dove il sistema spinge a essere soli, dove resiste il meccanismo: “Ti promuovo se mi mostri il numero di cadaveri che ti sei lasciato alle spalle”. Un sistema che non solo fa male ai lavoratori, ma che penalizza soprattutto le donne, educate sin da bambine alla cura e all’empatia». 

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