Come fare shopping consapevole

L’Europa è al primo posto nel mondo in materia di acquisti consapevoli, anche se il 38% dei consumatori si è dichiarato cauto nello spendere a causa dell’aumento del costo della vita. Ecco le strategie per virare verso uno shopping sempre meno compulsivo.

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Fare del bene al portafoglio, ma anche all’ambiente, si può. Secondo il report Conscious Commerce, la consapevolezza del cambiamento climatico guida sempre di più le scelte d’acquisto dei consumatori, dall’eliminare gli acquisti superflui (35%) a scegliere prodotti con imballaggi riciclabili o ecocompatibili (24%) e fare acquisti a livello locale (24%). L’Europa è al primo posto nel mondo in materia di acquisti consapevoli, anche se il 38% dei consumatori si è dichiarato cauto nello spendere (il 45% in Italia) a causa dell’aumento del costo della vita. Le strategie per virare verso uno shopping sempre meno compulsivo, ma attento e ragionato, sono sempre di più.

Tecnologia: cosa sono i prodotti ricondizionati

Una volta erano i cellulari, ora sono anche portatili, tablet ed elettrodomestici. Per ricondizionato, si intende un prodotto che ha già avuto una prima vita e, visto che è ancora funzionante, si appresta ad averne una seconda ma solo dopo essere passato attraverso vari test: in primis, un processo di pulizia dei dati, poi la sostituzione di componenti danneggiati e qualche eventuale ritocco estetico. Il risparmio può arrivare fino al 40% rispetto al nuovo e c’è una garanzia di 12 mesi. L’e-commerce più conosciuto è Refurbed, fondato a Vienna nel 2017 e attivo in nove Paesi europei, Italia compresa. Nel 2018 l’azienda si è classificata tra le 3 startup tech più sostenibili d’Europa al Green Alley Award e nello stesso anno ha ottenuto il secondo posto nella categoria “Climate Impact Battle 2018” durante lo Slush Festival di Helsinki, l’evento dedicato alle startup più importante del mondo. Ma non è l’unico: QVC, per esempio, ha scelto di recente di iniziare a vendere anche elettrodomestici ricondizionati; Amazon ha una sezione Renewed, e dal 2019 anche Apple.

Abbigliamento e arredo: second hand, pre-loved e re-sale sono parole chiave

La cosiddetta second hand economy, complice la pandemia, sta vivendo un vero e proprio boom in tutto il mondo. Il meglio deve ancora arrivare, a quanto dicono le ricerche. Negli ultimi due anni, il business del pre-loved ha registrato un aumento del suo valore tra i 30 e i 40 miliardi di dollari, ed entro il 2025 è prevista una ulteriore crescita del 15-20%.

Ormai una cosa è certa: non si tratta solo di una moda ma di uno stile di vita globale che, step by step, da business di nicchia riservato agli estimatori del vintage, si sta integrando nella nostra vita di tutti i giorni, trasformando in abitudine l’acquisto, quando possibile, di un oggetto di seconda mano al posto di uno nuovo. La catena britannica di grandi magazzini Selfridges e La Rinascente ospitano periodicamente spazi dedicati al vintage, ma sono sempre più numerose anche le boutique che si specializzano nel second hand.

Che il pre-loved sia una prospettiva attuale e futura sempre più tangibile lo hanno capito anche i grandi brand della moda, del design e dell’arredamento: in tanti, da Gucci a Jean Paul Gautier e Valentino, hanno lanciato dei siti paralleli dove rimettono in vendita capi vintage restaurati per gli appassionati del genere. Una strada intrapresa non solo dal settore del lusso, ma anche da Zalando e da Ikea, che ha creato un servizio ad hoc, chiamato Riporta e Rivendi, per rimettere sul mercato i suoi mobili di seconda mano.

Riparare invece di buttare

In Italia purtroppo non esistono, per ora, incentivi alla riparazione. Diversamente da altri Paesi, come la Francia, che ha da poco istituito un bonus di 25 euro per i cittadini che provvedono alla riparazione di abiti o accessori vecchi, e la Svezia, dove ci sono incentivi fiscali (si paga un’Iva dimezzata, del 12% invece che 25) per chi ripara oggetti, come bici e scarpe, invece di buttarli.

Ma se l’argomento ti interessa, sappi che si sta avvicinando una data, il 21 ottobre, scelta come Giornata internazionale delle riparazioni: nasce in Inghilterra ma ci saranno eventi a tema anche in tutta Europa, Italia compresa. Il loro motto è “The greenest toaster is the one you already have” e si rifanno alla European Right to Repair Campaign, che sta chiedendo a gran voce incentivi in questa direzione con lo slogan: “Europe, let’s reuse, refurbish, repair”. Molti di questi eventi si svolgeranno nei cosiddetti Repair Café. Quando scade la garanzia di un oggetto, si valutano riparazioni professionali ma spesso non ne vale pena perché sono più costose rispetto a ricomprare l’oggetto. È qui che entrano in gioco questi spazi autogestiti dove esperti, aspiranti tali e appassionati di fixing si mettono in gioco e al lavoro per trovare un modo di dare una seconda vita a qualcosa che non funziona più. La rete italiana è disponibile qui.

Un bell’esempio da imitare arriva anche dal brand Patagonia, che ha aperto una Repair Station all’interno del suo punto vendita di Milano (ma anche di Berlino e Stoccolma) dove chiunque può riparare gratuitamente i propri capi Patagonia. Il servizio offre a tutti gli amanti degli sport outdoor riparazioni gratuite di cerniere rotte, tessuti bucati o lacerati, bottoni e strappi. Si può inoltrare anche la richiesta online e spedire i capi bisognosi di riparazione. Con il sostegno dell’Amsterdam Economic Board, l’anno scorso Patagonia ha collaborato anche con Makers Unite per lanciare lo United Repair Centre (URC), un nuovo fornitore di riparazioni creato per servire diversi marchi di abbigliamento (come Decathlon per esempio), formando e offrendo lavoro garantito a lavoratori specializzati dell’industria che hanno difficoltà a trovare un impiego, come i nuovi arrivati nei Paesi Bassi con lo status di rifugiati.

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