Come si costituisce una comunità energetica (anche in condominio) - Rame

Come si costituisce una comunità energetica (anche in condominio)

Produrre energia pulita e ricavarne benefici sulla bolletta, far parte di una comunità ed essere protagonisti della transizione energetica. Fino a oggi ci hanno raccontato così le Comunità energetiche rinnovabili, gruppi di cittadini, enti, imprese che si aggregano per diventare produttori e consumatori. Ma cos’è davvero una Cer? Chi può costituirne una, e che costi ha? E ancora, un condominio può “creare” una piccola comunità, ossia un gruppo di autoconsumo più snello, per fare la propria parte e risparmiare sulla bolletta?

Tempo di lettura: 9 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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Cos’è una comunità energetica

Di comunità energetica abbiamo già parlato. Per definirla in parole semplici possiamo dire che è un insieme di soggetti, cittadini, associazioni, enti, imprese, che si mettono insieme per produrre, consumare e scambiare energia da fonti rinnovabili – provenienti da uno o più impianti, il più delle volte fotovoltaici – ricavandone un vantaggio anche in termini economici. Fino a ieri le Cer italiane si contavano sulle dita di una mano, ma ora è tutto pronto, anche a livello normativo, perché queste realtà si sviluppino in maniera diffusa. «Il cosiddetto decreto Cacer 414/2023, in vigore dal 24 gennaio 2024, ha definito le modalità di concessione degli incentivi per la realizzazione di impianti inseriti in comunità energetiche e gruppi di autoconsumatori a distanza, ed è stata pubblicata la nuova versione delle Regole Operative Gse. Il quadro normativo è quindi ora completo e le Cer possono finalmente prendere avvio sulla base di regole certe», spiega Enrico Curti, responsabile Power & Utilities di DWF Italy, società che fornisce servizi di consulenza legale.

Nella Cer ci sono due tipi di soci, i produttori, detti “prosumer”, e i semplici consumatori. I primi (o il primo, perché può avviare una Cer anche un solo soggetto) realizzano una o più centrali fotovoltaiche, e sono i soli a usare per sé parte dell’energia prodotta, immettendo in rete quella non consumata. I soci consumatori, invece, non investono nell’impianto, ma partecipano semplicemente consumando energia.

Come funziona una comunità energetica

Per capire come funziona una comunità energetica bisogna evitare di cadere nel grande equivoco: molti sono credono che gli aderenti alla comunità consumino direttamente l’energia che proviene dall’impianto della Cer, abbattendo la bolletta della luce. Non è così, o meglio, questo vale solo per i “prosumer”, cioè i proprietari dell’impianto, come spiega Manuel Marangon, Sales Manager di Regalgrid Europe, che sta seguendo l’avviamento di diverse Cer in Veneto. «Chi entra in una comunità energetica mantiene il proprio fornitore elettrico, continua a pagare regolarmente le bollette, e utilizza solo “virtualmente” l’energia pulita prodotta dall’impianto, ricevendo per questo un beneficio indiretto, cioè un incentivo che viene conguagliato alla Cer e poi da questa ai suoi membri». Il socio, in pratica, deve consumare energia nelle ore di produzione dell’impianto (di giorno, nel caso del fotovoltaico), in modo che l’energia pulita immessa nella rete e non utilizzata dal prosumer non venga dispersa ma utilizzata subito localmente. Impianti e consumatori sono collegati alla stessa cabina elettrica primaria, e ciò permette al Gestore dei servizi elettrici di contabilizzare sia l’energia prodotta sia quella utilizzata. Incrociando i dati, il Gse eroga alla comunità degli incentivi in denaro, che vengono divisi tra i soci una o due volte all’anno. «È la comunità energetica a stabilire come distribuire l’incentivo, che “idealmente” va ad alleggerire in parte i costi della bolletta elettrica».

Quanto si guadagna da una comunità energetica

Non si entra in una comunità energetica per arricchirsi o azzerare la bolletta elettrica. Solo il proprietario dell’impianto fotovoltaico – il prosumer –  può usare direttamente l’energia prodotta, e rivendere sul mercato l’energia immessa in rete, ricavandone un beneficio in denaro abbastanza significativo. Diverso il discorso per i semplici soci, che riceveranno solo gli incentivi erogati dal Gse alla comunità per l’energia pulita consumata nelle ore di emissione dell’impianto. «A conti fatti questo incentivo non supera in determinate condizioni i 60- 80 euro all’anno», dice Marangon. «Ci sono però altri vantaggi. Chi aderisce a una Cer si rende protagonista di una transizione energetica che a lungo andare potrebbe emanciparci dalle fonti fossili. Ma essere parte, se parliamo di grandi comunità che conteranno migliaia di aderenti, potrà aiutare a fare “massa critica”. La normativa sulle Cer prevede infatti che queste possano fornire ai propri membri molti servizi, per esempio costituire gruppi di acquisto per avere tariffe più basse sulla bolletta elettrica. E nell’immediato aderire a una Cer consente di conoscere nel dettaglio i propri consumi, imparare a leggere una bolletta».

Chi può costituire una comunità energetica

Partiamo da un dettaglio tecnico: la Cer ha limitazioni geografiche, può aggregare cioè utenze elettriche che afferiscono alla stessa cabina elettrica primaria. Detto questo, non ci sono grosse limitazioni sui componenti.

«Solo le grandi imprese e le aziende che operano nel mercato elettrico non possono essere socie di Cer, per il resto la composizione delle comunità può essere la più diversa,  possono esserci solo persone fisiche, oppure un mix tra persone e imprese enti di vario tipo, pubblici e privati. Certo è molto più semplice che un progetto si avvii se c’è un soggetto più “forte” che si fa promotore, per esempio una fondazione, un piccolo Comune, o una Pmi», dice Marangon. «Se il gruppo è costituito solo da persone fisiche è più complicato. Il percorso è lungo, perché bisogna costituire un soggetto giuridico e capire in prima battuta chi e dove deve realizzare l’impianto, che generalmente è di medie-grandi dimensioni». Qui puoi leggere i passaggi necessari per costituire una Cer.

Va detto, come spiega Gianluca Ruggieri, coautore de libo “Come si fa una comunità energetica (per davvero!) – Altreconomia edizioni – e amministratore della cooperativa energetica Ènostra , che si può partire da piccole esperienze, e poi pian piano crescere. «Stanno nascendo comunità energetiche “ridotte” che partono da impianti anche abbastanza piccoli, con piccoli gruppi di persone. Sono tutti ben consapevoli che, almeno all’inizio, i vantaggi saranno risibili, ma può essere un primo passo per aggregare poi successivamente altri produttori e altri soci»

Come posso entrare in comunità energetica

Il primo passo da fare è capre se c’è una Cer o se ne sta formando una nell’area di residenza, e poi verificare se la propria utenza fa capo alla stessa cabina primaria a cui è collegato uno degli impianti della comunità. Non esiste una mappa o un registro ufficiale delle comunità esistenti o di quelle in via di costituzione, dunque il primo passo è informarsi tramite passaparola, ricerche sui social o sul web. «Le modalità di adesione dipendono dalla formula giuridica che si è data la Cer, per esempio se associazione o cooperativa, ma in base allo statuto che disciplina entrata e uscita dei soci, viene deliberato l’ingresso e poi si firma il modulo adesione. Poi c’è l’aspetto amministrativo: ogni soggetto deve essere registrato al Gse affinché il questi possa raccogliere i dati e fare il calcolo dell’incentivo. Ovviamente il numero degli aderenti va bilanciato con la potenza dell’impianto o degli impianti della comunità», avverte Marangon.

Chi finanzia le comunità energetiche

Può esserci  un soggetto terzo, come una fondazione, un ente pubblico, un’impresa, che decide di farsi soggetto promotore di una Cer, o produttore. La nuova legge, inoltre, prevede contributi a fondo perduto fino al 40% delle spese sostenute, nei comuni sotto i cinquemila abitanti. Anche diverse Regioni finanziano gli impianti per le Cer, ma bisogna verificare i bandi per la propria area di residenza, mentre le banche offrono finanziamenti finalizzati alle esperienze green. Qui una serie di domande e risposte utili.

Come funziona e quanto costa l’autoconsumo condominiale

Esiste anche una formula più semplice per chi vuole partire dal basso e godere dei vantaggi delle comunità energetiche, ed è il gruppo di autoconsumo collettivo. Idealmente chi ha già un impianto che produce energia in eccesso rispetto al proprio fabbisogno può avviarne uno. Qui sono spiegati bene i vincoli, ma la formula forse più immediata è quella dell’autoconsumo condominiale: è cioè il condominio a dotarsi di un proprio impianto. «L’autoconsumo in condominio ha diversi vantaggi. Non bisogna costituire un ente giuridico, perché il condominio lo è già, sarà sufficiente nominare un referente, che può essere lo stesso amministratore, e aggiornare il regolamento condominiale per chiarire i diversi aspetti, per esempio la modalità di suddivisione degli incentivi che arrivano dal Gse», spiega Gianluca Ruggieri. L’impianto viene finanziato dai condòmini che intendono aderire, raccogliere le bollette degli abitanti può dare un’indicazione sul tipo di impianto e sui costi.

«In linea di massima occorrono circa 1-1,5 kW per appartamento. Ma parliamo di un investimento sostenibile dal punto di vista economico. Il fotovoltaico ha costi molto più bassi rispetto al passato, circa un quarto rispetto a quelli di 15 anni fa. Pensando a un impianto da 25 kW per un condominio da 20 utenze, parliamo di un costo tra i 35.000 e 50.000 euro, a seconda dei casi», spiega Ruggieri. Tecnicamente, occorrerà effettuare il collegamento dei pannelli al contatore condominiale, mentre gli utenti dovranno semplicemente comunicare il proprio Pod, il codice che identifica sulla bolletta ciascuna utenza, al referente del gruppo. che si occuperà di registrarla sul portale Gaudi di Terna.

Quanto si “guadagna” con il gruppo di autoconsumo in condominio

«L’impianto condominiale è solitamente collegato all’utenza condominiale comune che alimenta luce, citofoni, ascensori, e l’energia in più viene ceduta e venduta al Gse. In più si incassano gli incentivi, gli stessi previsti per le Cer. Ovviamente i Pod dei vari condòmini vanno comunicati al Gse, che raccoglie i dati orari di consumo e sovrappone questo dato a quello della produzione. L’incentivo viene riconosciuto per ogni kiloWattora consumato durante le ore di produzione. I condòmini restano allacciati al vecchio gestore ma hanno un triplo vantaggio: il primo è l’azzeramento dei costi legata all’utenza condominiale, perché l’energia consumata è autoprodotta, in secondo luogo l’energia in eccesso che viene venduta sul mercato, infine c’è l’incentivo del Gse». Non è semplice calcolare il ritorno dall’investimento, avverte Ruggieri, perché molto dipende da prezzo dell’energia elettrica, che negli ultimi anni ci ha abituato a oscillazioni vertiginose. Il gruppo di autoconsumo va visto più che altro come una polizza per il futuro sulla bolletta elettrica: anche in caso di aumenti record dell’elettricità, io mi assicuro un’entrata di pari proporzioni, che potrà abbattere se non altro i rincari».

Per capire i vantaggi anche economici del gruppo di autoconsumo, riportiamo questa simulazione contenuta nel libro “Come si fa una comunità energetica (per davvero!), – Altreconomia edizioni -. Poniamo che l’impianto condominiale produca 10.000 kWh, e ne utilizzi direttamente 2.000 per alimentare l’ascensore, l’illuminazione degli spazi condominiali, i citofoni, ecc. Dei restanti 8.000 kWh, 5.000 vengono consumati dai condòmini nel momento stesso in cui vengono prodotti, e su questo il condominio riceve gli incentivi del Gse; altri 3.000 vengono immessi in rete e venduti al mercato.

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