Cosa sono i dark pattern? E quanto influiscono sui nostri acquisti? - Rame

Cosa sono i dark pattern? E quanto influiscono sui nostri acquisti?

C’è una notizia di qualche settimana fa che in teoria riguarda solo la Finlandia, ma nella vita reale interessa tutti noi: il Garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato per 856.000 euro il sito Verkkokauppa.com, nota azienda di e-commerce che fattura più di mezzo miliardo all’anno, per violazione della privacy. Dopo la denuncia di un cliente, si è scoperto che la società imponeva agli utenti di registrarsi anche per un solo acquisto, per poi conservare dati personali e cronologia delle attività, e inviare loro promozioni “su misura”. Da questa notizia, noi di Rame ci siamo chieste: ma come influiscono sui nostri acquisti i Dark Pattern?

Tempo di lettura: 7 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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Quella montagna di pacchi mai aperti

«Se vi è capitato di essere costretti a registrarvi su una piattaforma di shopping online per fare anche un singolo acquisto, trovandovi poi a ricevere newsletter e offerte promozionali da quel sito, è bene sapere che questa antipatica pratica viola il GDPR», avverte Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy, dalle pagine del suo blog sul Sole24ore. L’illecito contestato dall’azienda finlandese non consiste infatti nell’inviare promozioni su misura, ma nel non lasciare al cliente che usufruisce dei suoi servizi alcuna alternativa alla registrazione. Una piccola trappola per indurlo poi a comprare sempre e sempre di più. D’altra parte, raccogliere informazioni su di noi per poi spingerci a spendere è lo scopo che accomuna chiunque faccia business in rete. Ma il pensiero a questo punto non può che andare a tutti quelli come Davide, 38 anni, che sulle pagine di Rame raccontava di avere una stanza piena di pacchi mai aperti. Chissà quanti di quegli acquisti inutili erano stati “incoraggiati”.

I “trucchi” più comuni

Lo stesso vale per noi: ignoriamo o fingiamo di non accorgerci che spesso compriamo prodotti e servizi perché qualcuno ha messo in atto un “trucchetto”. Quante volte abbiamo acquistato un oggetto perché la piattaforma online ci diceva che era l’ultimo, ma proprio l’ultimo pezzo disponibile? E quante volte ci assale l’ansia perché un’offerta che sembra imperdibile sta per scadere dopo pochi minuti, salvo poi venire riproposta il giorno successivo? E ancora, faccia un passo avanti chi non si è ritrovato nel carrello un servizio o un oggetto in più, che si è aggiunto magicamente alla lista. O che durante un’esperienza online, esasperato, ha acconsentito a cedere dati personali pur di non vedere più quella finestra pop up che si tornava a riaprirsi. Sono alcuni esempi di dark pattern, “modelli oscuri” e cioè interfacce, finestre, avvisi che inducono i consumatori a fare scelte che altrimenti non avrebbero fatto.

Quel pop-up di troppo

I dark pattern hanno essenzialmente due scopi: indurci a comprare qualcosa oppure consegnare i nostri dati. Ci guidano verso comportamenti che non desideriamo davvero, sfruttando i nostri bias cognitivi, e usando colori, icone, pulsanti che ci spingono a cliccare su opzioni anziché altre, oppure tacendoci informazioni rilevanti. Esempi lampanti sono l’aggiunta nel carrello di voci di costo non previste, pop-up in cui ci si chiede se vogliamo passare all’account premium di un abbonamento, ma in cui appare evidente solo  l’opzione “sì”; countdown durante l’acquisto, difficoltà a eliminare account una volta creati, e la lista potrebbe continuare .

L’alert dell’Unione europea

Da alcuni anni i guardiani della rete e non solo si occupano di questo tema, pur senza grandi risultati. Nel 2022 il Comitato europeo per la protezione dei dati (Edpb), ha pubblicato un documento in cui sono state elencate nel dettaglio le pratiche scorrette, attuate allora dai più grandi marketplace.  Secondo il report, il 97% dei siti web e delle app più popolari nell’Unione presentavano almeno un aspetto problematico, ma l’aspetto paradossale di tutta questa faccenda è che i consumatori – affermano gli autori – non si rendono conto di questi abusi e anzi “sembrano accettare la presenza di pratiche sleali come parte della loro normale esperienza digitale e si sono abituati ad esse”. Non sono dunque consapevoli che quelle pratiche subite comportano “perdita di autonomia e privacy, oneri cognitivi, danni mentali, oltre a porre preoccupazioni per il benessere collettivo a causa di effetti dannosi sulla concorrenza, sulla trasparenza dei prezzi e sulla fiducia nel mercato”.

Cosa ci succede quando siamo online: ansia e batticuori

Anche la nostra salute paga un prezzo alle pratiche scorrette online. Nel documento del Comitato per la protezione dei dati personali si riportano gli effetti di un esperimento durante il quale sono state misurate le reazioni neurofisiologiche e psicologiche di 120 consumatori in tre Stati membri (Italia, Germania e Spagna). Si è visto che “l’azione forzata” indotta dai dark pattern non solo ha rappresentato un ostacolo al normale compimento di attività online quotidiane e comuni, ma ha anche provocato nei partecipanti un aumento della frequenza cardiaca, in particolare davanti ai pop-up. Una reazione probabilmente legata ad un aumento dell’ansia e della vigilanza. I volontari, inoltre, hanno segnalato di provare un senso di frustrazione, nonché la sensazione di sentirsi manipolati. Un altro capitolo è stato dedicato al “confirmshaming”, altra pratica che ha come scopo quello di convincere gli utenti a scegliere di fare qualcosa, ad esempio condividere il proprio indirizzo e-mail o iscriversi a una newsletter. In questo caso la tecnica pare non dare alcun effetto emotivo significativo, ma non è una gran bella notizia, perché questo – spiegano gli autori dello studio – suggerisce solo un certo grado di assuefazione da parte dei consumatori, che paiono anestetizzati e pronti ad assecondare qualunque richiesta senza pensarci troppo. Non è finita, perché un secondo esperimento condotto su 7.430 partecipanti tra Bulgaria, Germania, Italia, Polonia, Spagna, Svezia, mostra invece gli effetti sulle scelte di tutti noi, evidenziando che, il più delle volte, se ricevessimo informazioni precise su prodotti e/o servizi prenderemmo decisioni di acquisto differenti. A rischio sono soprattutto anziani e persone con basso livello di istruzione, categorie vulnerabili e che hanno quindi maggiori probabilità di fare scelte incoerenti quando esposti ai dark pattern.

Multe e regolamenti, ma quali effetti?

Non esiste ancora uno studio su quale sia l’impatto economico dei “modelli oscuri” sulle tasche di tutti noi, anche se gli scatoloni ancora sigillati di Davide ci raccontano qualcosa. Negli anni scorsi diversi colossi hanno ricevuto sanzioni anche salate per comportamenti scorretti dai Garanti di mezza Europa. Tra i nomi ci sono Google, Apple, Amazon.
Nel 2022 è stato approvato il Digital Services Act, nuovo regolamento europeo sui servizi digitali che vieta queste pratiche, e il 24 febbraio 2023, il Comitato europeo per la protezione dati (Edpb) ha pubblicato delle Linee guida con raccomandazioni pratiche rivolte ai gestori dei social media, a designer e utenti su come comportarsi di fronte a queste interfacce. A distanza di più di un anno, però, finestre pop-up, messaggi assillanti e opzioni forzate continuano ad affollare le nostre esperienze online.

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