Così, io e 31 colleghi ci siamo ricomprati l’azienda

Claudia Florio lavora nella Holding italiana turismo, una società del gruppo Parmalat, quando il crac del 2003 spazza via l’azienda. 17 anni dopo rivive lo stesso film con la messa in liquidazione della Morris Profumi. Ma questa volta, prova a cambiare il finale della storia. Assieme a 31 colleghi costituisce una cooperativa e fa ripartire la produzione. «Siamo diventati soci, lavoratori e imprenditori nello stesso tempo». Il prezzo da pagare è che non stacchi mai. «Però lo fai per una cosa tua. E lavorare senza essere schiavo è tanta roba».

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Claudia Florio

Questa storia è realizzata in collaborazione con Banca Etica, una banca libera, indipendente e cooperativa, che finanzia solo progetti che producono impatti sociali ed ambientali positivi.

Ascolta il podcast della puntata:

“Il crac Parmalat è stato devastante perché di un’azienda come quella per cui lavoravo, la Holding Italiana Turismo, che aveva 350 persone su Parma, non è rimasto nulla. Quando, 17 anni dopo, la Morris Profumi ha comunicato la messa in liquidazione, è stato… è difficile da spiegare… rivivi la stessa situazione e dici: non ci posso credere”.

Claudia Florio per due volte nella sua vita è messa di fronte al fallimento dell’azienda per cui lavora. La seconda volta, però, prova (e riesce) a cambiare il finale della storia.

L’arrivo a Parma con il sogno di indipendenza

Claudia nasce in Calabria, a Cosenza. Sono tre sorelle e un fratello. «Abbiamo avuto un’infanzia piena di restrizioni, perché giustamente i miei genitori, avendo quattro figli, non volevano creare disparità. Non ho mai fatto uno sport o un’attività ricreativa, ma né io né le mie sorelle né tantomeno mio fratello».

I genitori lavorano a tempo pieno e i 4 figli vengono distribuiti tra i nonni. Fin da ragazza, Claudia capisce che devi prendersi la sua parte di responsabilità nel funzionamento del sistema famiglia. «Ci suddividevamo i compiti, aiutavamo a fare le pulizie e a preparare i pasti».

Dopo gli studi di Ragioneria, però, sente una voglia di indipendenza che rimanendo in Calabria non avrebbe potuto esprimersi. «La mia scelta di andare al Nord è nata proprio da una questione di autonomia: purtroppo giù è molto difficile trovare lavoro, nel privato è quasi inesistente».

A 21 anni va a vivere a Parma. Ripercorre la strada dei genitori, che erano andati al Nord a cercar lavoro, a Torino per l’esattezza, lei alla Fiat lui alle Poste, ma il cui obiettivo era sempre stato quello di tornare giù e ci erano riusciti ottenendo il trasferimento. Eppure, benché i genitori l’avessero fatto prima di lei, non condividono la scelta di Claudia. “Prova a trovare qualcosa qui”, le dicono. Ma lei si è messa in testa di andarsene.

“Il disaccordo dei miei genitori ha reso tutto più impegnativo. Dovevo dimostrare di farcela. Di andare avanti e non mollare. Per questo era necessario lavorare. A tutti i costi”.

Claudia sceglie Parma perché ci è andata in vacanza, a trovare la cugina di un suo ex fidanzato, e le è subito piaciuta. «Mi ha ricordato molto l’immagine della pubblicità della Barilla. Ce l’ho sempre in mente, è pazzesco. Ancora oggi, quando vado in centro, c’è quell’immagine lì».

Claudia affitta un posto letto in una casa con delle studentesse, si iscrive a un corso di formazione in amministrazione e si cerca un lavoro. «Appena arrivata a Parma, dovendo per forza mantenermi, ho fatto la benzinaia. Poi, non appena si è creata la possibilità, sono passata a lavorare al McDonald’s, perché mi permetteva di avere tutta la giornata libera per studiare e mi faceva guadagnare qualcosina di più, facendo sempre il turno dopo le 22».

Primo lavoro, primo fallimento

Finito il corso di formazione, Claudia inizia uno stage alla Holding italiana turismo, società legata al gruppo Parmalat.

«Facevo 8 ore di stage non retribuito e poi la sera lavoravo al McDonald’s per affrontare le spese. I primi tempi non ci stava neanche la pizza fuori. Ero proprio al limite, tra il posto letto, il cibo, un imprevisto, proprio non ci stava niente. D’altronde non avrei avuto neanche il tempo per spendere più soldi, perché di giorno ero concentratissima, puntavo tantissimo sullo stage, per me era una missione da non perdere. La notte poi lavoravo, quello era il primo McDonald’s su Parma e si sgobbava con dei ritmi incredibili. Si lavorava anche il sabato e la domenica, non si finiva mai».

Claudia lascia il lavoro serale solo quando lo stage gratuito alla Holding italiana turismo si trasforma in un’assunzione. Guadagna 1100 euro al mese che negli anni successivi diventeranno 1300-1400.

«Sono rimasta lì dal 1999 fino al 2003, quando purtroppo c’è stato il crac Parmalat e la società turistica è stata messa in fallimento. È un peccato che si sia persa una realtà come quella, che aveva le agenzie in franchising, seguiva il Giro d’Italia e le principali squadre di calcio. Si è perso tutto. Per fortuna la Parmalat è riuscita a superare il momento, ma il ramo turistico l’hanno completamente abbandonato».

Claudia è quella che chiude la porta per ultima perché le tocca seguire la procedura di fallimento. Non senza aver provato a resistere.

“Abbiamo lottato in modo esagerato, abbiamo occupato l’azienda, abbiamo cercato di farci sentire a tutti i costi, ma il problema era troppo grosso e la società era troppo esposta a livello internazionale. Purtroppo è finita così”.

Claudia accetta l’offerta dell’azienda milanese che ha rilevato un ramo del tour operator. E decide di fare la pendolare tra Parma e Milano.

«Mi sono spostata dalla Calabria a Parma che avevo ventun anni. Non volevo rifare un cambiamento così radicale a 30 anni. Parma e Milano sono due mondi diversi, Parma è molto più vicina a quello a cui ero abituata. Milano è una grande metropoli che non ti permette di vivere la città stessa, perché ti obbliga ad abitare nell’hinterland».

Credeva di essere l’unica a fare 250 chilometri al giorno per lavorare. E invece scopre un fenomeno che fino ad allora le era stato invisibile: «Arrivi in stazione, alle 6:48 e c’è un mondo…».

Secondo lavoro, secondo fallimento

Tre anni di pendolarismo dopo, Claudia trova un nuovo lavoro a Parma. Cambia completamente settore: passa dai viaggi ai profumi, da un’azienda di servizi a un’azienda di produzione. La Morris Profumi era stata fondata a Parma nel 1946 da Giuseppe Borri, un imprenditore geniale partito dalla produzione di scarpe e che aveva intuito la potenzialità del settore delle fragranze. Napoleon fu il primo iconico profumo del marchio Morris, che negli anni acquisì via via le licenze per la produzione di fragranze perlopiù legate al mondo della moda come Sergio Tacchini, Fiorucci, Krizia, Genny, Mila Schon…

Claudia, in Morris, arriva a guadagnare 1600 euro. Dalla sua postazione, in amministrazione, ha l’opportunità di seguire tutto il ciclo, dai fornitori di materia prima alla vendita del prodotto finito. Ha i conti sotto gli occhi, eppure, nel 2020, non si aspettava di rivivere, 17 anni dopo, quello che era successo con il crac Parma.

“Ci aspettavamo una ristrutturazione, non ci aspettavamo una messa in liquidazione. Come se non bastasse, la pandemia di Covid era alle porte. Un disastro. Il 20 febbraio iniziano a bloccarsi le scuole. Il 16 di marzo siamo tutti chiusi in casa. Iniziano una serie di riunioni tramite Teams con i sindacati ed è lì che a un certo punto viene fuori la carta di creare una società cooperativa”.

A supportarli nell’esplorazione di questa possibilità c’è Lega Coop, l’associazione che riunisce 15mila cooperative italiane e che aiuta i lavoratori che vogliono prendere in mano la propria azienda in crisi, costituendosi in cooperativa e facendola ripartire. Lega Coop realizza assieme a loro un nuovo piano industriale.

«Non è stato semplice perché chi accettava di giocare la carta della cooperativa, investiva tutta la Naspi. Bisognava buttarsi, insomma».

A quel tempo in Morris lavoravano circa 100 persone. Il progetto per far ripartire l’azienda, però, non avrebbe mai potuto riassorbirle tutte.

«Si è creata la situazione di persone che si sarebbero anche buttate nella cooperativa, ma ricoprivano un ruolo che in quel progetto non era previsto. E invece ruoli, soprattutto operaie impiegate nella produzione, di cui c’era bisogno ma che non se la sentivano di lanciarsi. Dovevamo iniziare con 32 soci e non è stato semplice tirarli fuori, proprio perché dovevano combinarsi con la fattibilità del progetto».

Da dipendente a socia lavoratrice

La trattativa inizia ad aprile. Tre mesi dopo, a luglio, finalmente i 32 soci ci sono.

«Molti lavoravano in azienda da più di vent’anni. Avevano un attaccamento enorme e questo attaccamento ha fatto sì che credessero nel progetto».

Claudia è una di loro.

“Mi si è scatenata dentro una voglia incredibile. Stavolta c’era una possibilità, dovevamo provarci a tutti i costi. Anche perché la Morris su Parma aveva una storia importantissima. Era veramente un peccato non provarci”.

In quel momento Claudia, come tutti gli altri, può contare sui suoi risparmi e sul Tfr che le viene corrisposto dal fondo dell’Inps. Quei soldi sono il suo cuscinetto di emergenza e non glieli tocca nessuno.

«La possibilità di costituire la cooperativa investendo la Naspi non ti espone con il tuo patrimonio liquido. Il Tfr era nostro ed è rimasto nelle nostre tasche».

La Naspi è l’indennità mensile di disoccupazione che sarebbe spettata ai dipendenti della Morris per circa due anni. Chiaramente non era già in loro possesso. Ed è qui che entra in gioco Banca Etica, che ancora oggi è la banca principale della cooperativa.

«Banca Etica ha dato un fido a ciascuno di noi equivalente alla Naspi che avremmo percepito successivamente e con quel fido abbiamo costituito il capitale sociale e siamo partiti. Non ci siamo tolti liquidità dal conto corrente e anche questo è stato importante. Ci sono state cooperative con le quali ci siamo confrontati che non avendo avuto la possibilità di investire la Naspi, perché questa formula ancora non c’era, hanno investito il proprio patrimonio. Non che quelli della Naspi non siano soldi nostri, ma il peso di una liquidità che esce dal conto è completamente diverso. È stata una gran fortuna approcciare questo progetto a queste condizioni».

I 32 soci costituiscono la cooperativa Nuovi Profumi in luglio. La produzione parte il 7 settembre 2020.

Un nuovo modo di lavorare

L’azienda che aveva chiuso le porte a febbraio era organizzata, come gran parte delle aziende, in silos. «Gli uffici da una parte, il mondo produttivo dall’altra. Io, per esempio, la produzione non la conoscevo».

Con la nascita della coperativa cambia tutto.

“Diventi socio, lavoratore e imprenditore nello stesso tempo. I primi due anni sono stati difficilissimi. Se c’era un’emergenza in produzione, ci si cambiava e si andava tutti a confezionare. Io ho finalmente conosciuto e vissuto il ciclo produttivo. Oggi so come funziona la linea. E questo ti arricchisce molto”.

Claudia non solo vede e conosce ogni parte dell’azienda ma scopre il vero senso della catena di comando: «Anche la nostra cooperativa ha una sorta di organigramma, che permette di avere ruoli e responsabilità, ma è tutto un altro stile di lavorare e di vivere insieme le cose».

C’è però un prezzo da pagare per tutto questo.

«Il prezzo è che non stacchi mai. Però la cosa bella è che non ti pesa. Perché quest’azienda è tua. E lavorare senza essere schiavo è tanta roba».

Claudia ha una figlia di 13 anni e un marito che riesce a essere molto presente a casa. Lei no, ma è convinta che la sua assenza abbia anch’essa un importante valore educativo: «Le sto trasferendo che si può arrivare a casa stanchi, ma non tristi e arrabbiati. E che credere in qualcosa, mandarla avanti, è importante. Sono valori che non vanno trascurati».

Nuovi Profumi ha riavviato i motori negli anni del Covid, una situazione drammatica per un settore non primario. I centri commerciali e le profumerie chiuse, i mercati esteri blindati. Un’apnea durata fino alla seconda metà del 2022 quando l’azienda ha ricominciato e a respirare.

«Questa avventura ci ha messo veramente a dura prova. Perché le difficoltà sono state tantissime. Però la soddisfazione è altrettanta. Quando vediamo che i clienti arrivano, e non perché abbiamo un commerciale che gira, ma perché sono altri clienti ad averci raccomandato… Quando vengono in visita, guardano lo stabilimento, sentono la passione che c’è da parte di tutti…».

Claudia fatica a dirmi come si vede tra 10 anni.

“Certi eventi ti portano a vivere alla giornata. Non riesci a fare progetti a lungo termine e va bene così. Oggi si vive quello che si ha oggi. E oggi noi ci siamo. È una grandissima soddisfazione”.

Questa puntata è stata realizzata in collaborazione con Banca Etica.

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