Finanziare un’idea, parte 4: capitale in cambio di equity

Abbiamo parlato di banche, microcredito, finanziamenti pubblici, bandi di enti e fondazioni, ma per chi cerca fondi per la propria impresa c’è anche un’altra forma di finanziamento: il capitale in cambio di equity. Vediamo come funziona.

Tempo di lettura: 5 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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Non si tratta di un prestito: chi decide di darti liquidità lo fa in cambio di azioni o quote della tua azienda e ne diventa per una parte proprietario, scommettendo sul fatto che nel giro di qualche anno il loro valore sarà cresciuto, e potrà rivenderlo guadagnandoci. È una formula sicuramente più complessa rispetto a mutui e sovvenzioni, ma c’è il rovescio della medaglia: chi decide di puntare sul progetto è di solito un soggetto esperto, che lo fa dopo un’attenta valutazione e solo se crede che quell’impresa abbia grandi potenzialità di crescita. Chi sono? Gli incubatori, gli acceleratori, e i cosiddetti business angel o angel investor, imprenditori, manager, professionisti, che sostengono le startup nella fasi iniziali di sviluppo offrendo capitali e competenze, il cosiddetto “smart money”.

Chi è il/la founder ideale?

È bene chiarirlo subito: questi investitori non sono interessati a imprese tradizionali, ma a startup per lo più tecnologiche. «I business angel investono tipicamente in società che possono avere una crescita veloce, e il motivo è chiaro: l’obiettivo non è restare nell’azienda a tempo indefinito, ma uscirne nel medio periodo ricavandone ritorni importanti, rivendendo le quote ovviamente a un prezzo ben più alto», spiega Ilaria Fava, angel investor e socia di GammaDonna, associazione no-profit che sostiene e promuove la crescita dell’imprenditoria femminile innovativa.

Non è detto, invece, che i giovanissimi siano avvantaggiati rispetto agli altri. «I giovani dalla loro hanno l’energia, ma spesso sono i progetti di imprenditori più maturi (30-40enni e anche più), persone che hanno lasciato un precedente percorso professionale dove hanno maturato esperienze e competenze definite, ad avere statisticamente più successo. La maggiore resilienza, affidabilità e capacità di gestire la complessità, uniti alla rete di rapporti sviluppati, possono essere elementi determinanti nel successo di un’iniziativa», aggiunge la angel investor.

C’è un momento giusto per cercare angels?

Sì, c’è un momento giusto per chiedere l’appoggio di un investitore esterno, e contrariamente a quanto si pensi, non è nella fase dell’ideazione. Anche in questo caso, prima di muoversi bisogna avere trovato fondi propri. «Per chi deve metterci il capitale l’idea in sé vale poco, la cosa che conta davvero è la capacità di realizzarla, quell’idea, che è legata alla capacità della persona e del suo team di portare avanti un progetto» spiega Ilaria Fava. «È per questo che, generalmente, nelle primissime fasi l’imprenditore deve autofinanziarsi, dimostrare per primo di credere nell’iniziativa e cercare il sostegno delle persone a lui più vicine, i cosiddetti “family& friends”. Difficilmente un terzo soggetto può dare fiducia o prendersi un rischio così significativo solo sulla base di un’intuizione . È solo dopo, quando il progetto ha mosso i primi passi, che ha senso rivolgersi a angel investor. Bisogna avere un minimo di percorso avviato da mostrare agli investitori, altrimenti si rischia di vedersi dire di no».

Dove trovare investitori?

Trovare un angel investor non è facile come trovare una banca, ma non è nemmeno impossibile. «Intanto bisogna abbandonare l’idea romantica, all’americana per intenderci, che si può fondare una startup chiusi nel proprio scantinato, nella speranza che qualcuno ci noti», avverte l’esperta. «Bisogna fare uno sforzo, costruire relazioni e cercare di entrare nel cosiddetto ecosistema delle startup. Conoscere altri founders, per esempio, è fondamentale: spesso i migliori contatti provengono dal passaparola. E poi frequentare incubatori, acceleratori, anche come spazi di coworking, partecipare a eventi che questi organizzano e conoscere le persone che agiscono da divulgatori possono dimostrarsi molto utili a capire le dinamiche per avviare al meglio il proprio progetto».

Dove trovarli? Occorre cercare gli incubatori presenti nel proprio territorio. «Per quanto riguarda gli angels, oltre al passaparola un ruolo fondamentale lo svolgono i business angels network, che operano a livello nazionale o locale. Oltre a Italian Angels for Growth, di cui faccio parte, c’è il Club degli investitori a Torino, l’Italian Business Angels Network, Angels4women e tanti altri: qui un elenco». Anche linkedin può essere un buon canale, aggiunge l’esperta. Quello che non deve mancare sono invece creatività e un atteggiamento propositivo.

Come presentare la propria idea?

Cosa dire e cosa fare quando ci si trova di fronte a un potenziale investitore, per convincerlo della bontà del nostro progetto? «Intanto è fondamentale arrivare preparati, avere fatto i compiti a casa. E allenarsi per il cosiddetto elevator pitch, un modo per dire che bisogna essere pronti a presentare il proprio progetto in modo attrattivo, in un intervallo di tempo pari a quello di un viaggio in ascensore, e cioè pochi minuti», avverte l’esperta.

Bisogna poi mostrare di  conoscere il mercato in cui si colloca la propria idea di business, la differenza rispetto ai competitor e la strategia per entrare nel mercato, spiegare come si immagina la crescita e avere un’idea chiara di quali saranno i fondi necessari per riuscirci. «Il team poi è l’elemento cruciale: bisogna poter dimostrare le competenze e la credibilità della propria squadra nel portare il progetto al successo».

E adesso, preparati ai no!

«È fondamentale abituarsi alle mancate risposte e ai no, utilizzarli in modo costruttivo», avverte Ilaria Fava. « Un no non è necessariamente una bocciatura del progetto, può avere vari significati. Può indicare che non è il momento, che l’investitore non è in target, in termini di fase o di settore, che non va bene l’approccio usato per la presentazione, insomma che bisogna rivedere qualcosa. La sfida è cercare di capire cosa ha motivato il diniego e cosa si può fare perché in futuro quel rifiuto diventi sì». Una buona idea è continuare ad aggiornare l’interlocutore anche in futuro. «Mostrare di essere resilienti, attenti alla risposta del proprio mercato e capaci velocemente e “agilmente” di modificare la propria value proposition sono indicatori molto rilevanti di competenza».

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