Ho la capacità di generare denari. Vorrei la motivazione per gestirli
Adama Sanneh nasce 39 anni fa da una madre benestante, figlia della Brianza alto-borghese, e un padre che lui definisce un Ulisse senegalese, un avventuriero. I genitori si separano molto presto ma la dicotomia tra questi due mondi segna la vita intera di Adama. “O sei uno spirito libero o sei un brianzolo che mette il denaro al centro”, pensa.
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“Io sono cresciuto con una grande dicotomia: o sei uno spirito libero o sennò sei un brianzolo che pensa solo al denaro e il denaro è il driver della tua vita”.
Questa dicotomia Adama Sanneh ce l’ha scritta nel sangue. 39 anni fa nasce infatti da una madre benestante, figlia della Brianza alto-borghese, e un padre che lui definisce un Ulisse senegalese, un avventuriero. I suoi genitori si separano molto presto. Così la sua primissima infanzia diventa la grande avventura di un bambino e della sua mamma, nella Monza degli anni Ottanta: «Mia madre mi ha avuto che era molto giovane, a 25 anni, quindi tendenzialmente eravamo io e mia madre in versione team, avventura del mondo».
È difficile iniziare a parlare di soldi con le persone, anche se lo faccio ormai da diversi mesi. In genere pongo sempre una domanda rompighiaccio all’inizio: quand’è che da bambino hai avuto per la prima volta la percezione di cosa fossero i soldi e a cosa servissero?
«Domanda interessante perché non ricordo, cioè non penso che ci sia stato un momento in cui in famiglia abbiamo realizzato la questione del denaro. Le logiche di comportamento, le logiche di quando ci si può meritare qualcosa, erano tutte slegate da esso. Il denaro era una cosa in più, che però, per la tipologia di vita che facevamo, non era mai veramente un problema. Magari era un impedimento a qualcosa, ma mai una barriera fino in fondo».
La provenienza alto-borghese della mamma di Adama, unita alla sua voglia di emanciparsi dal contesto culturale della Brianza, fa sì che i soldi non siano mai un tema in casa. Allo stesso modo, ma per ragioni totalmente opposte, i soldi non sono un tema neppure per il papà di Adama. «La cosa divertente è che mio padre ha sempre fatto tanti soldi. E poi li ha sempre persi tutti. E poi li ha sempre rifatti tutti».
“In entrambi i casi, il denaro era semplicemente un corollario a dei desideri più grandi, a delle avventure più grandi. Non abbiamo mai realmente fatto delle conversazioni che stabilivano dei parametri. Sia con mia madre sia con mio padre, il denaro era lì. Ma l’avventura della vita era più importante”.
Adama cresce in un contesto privilegiato. Benché sua madre lavori e sia indipendente, loro possono contare su un’infrastruttura familiare che garantisce un tenore di vita superiore a quello che le entrate avrebbero permesso. Ma la sicurezza di avere un backup in caso di rovescio spiega solo in parte la leggerezza materna nella gestione dei soldi.
«Mi ricordo un anno, ero molto piccolo, a un certo punto dovevamo andare in vacanza e non avevamo i soldi. Mia madre mi fa: “Adama, sai che facciamo? Vendiamo la macchina, andiamo in vacanza e poi ci pensiamo”. Ricordo che abbiamo venduto la Renault 5 di mia madre e siamo andati in vacanza. Siamo stati in America per un po’, poi siamo tornati e abbiamo comprato una un’altra macchina che era la Uno Rap, me la ricorderò sempre, mitica».
Le cose non cambiano neppure quando sua madre costruisce una nuova famiglia e dà ad Adama una sorellina 11 anni più piccola.
«La gestione dei soldi subentrava nel momento in cui dovevamo decidere di fare delle cose, era sempre un pensiero successivo. Non c’era una linea di pensiero familiare, né con mia madre né con mio padre, che fosse separata dal desiderio di procedere con la vita».
Quali sono le conseguenze di questa eredità culturale in materia economica?
“Ho ancora adesso una difficoltà sia emozionale sia cognitiva nella gestione del denaro. Faccio fatica a gestirlo in maniera non emotiva. Non riesco ancora ad avere una linea pura, razionale, che pensa per obiettivi. Cosa che tra l’altro riesco a fare nel mio lavoro”.
Adama ha studiato Scienze politiche. Poi ha fatto un master in Public Administration in Bocconi e poi un altro in Business Administration a Ginevra. Oggi è l’amministratore delegato della Moleskine Foundation. Per lavoro, si confronta con tematiche economiche molto importanti e gestisce grossi budget. Eppure, nella vita privata, ci sono piccole inezie burocratiche che sembrano scogli insormontabili.
«Per fare un esempio, tutto quello che è la gestione amministrativa della mia vita è un incubo. È un mondo che rigetto emotivamente, non voglio proprio farla quella roba lì. Se devo farla, il mio cervello lo traduce in un indicatore che la vita non sta andando come dovrebbe andare. Sono cose totalmente irrazionali, poi è chiaro che nel momento in cui ti fermi e pensi un attimo, poi le cose le fai. Però è uno strazio. Ho dovuto fare lo SPID ultimamente ed è stato un processo familiare: mia sorella che mi ha preso l’appuntamento, mia madre che mi ha accompagnato. Trasformandola in un progetto familiare, sono riuscito a fare questa cosa».
Il blocco psicologico verso tutto ciò che è gestione, controllo, diventa particolarmente forte quando Adama si trova nel Paese in cui è cresciuto. Fin da ragazzo, il desiderio di lasciare la Brianza, la Lombardia, è stato molto forte. Ha vissuto in Danimarca, in Uganda, in Svizzera e lì in qualche modo riusciva a gestire le questioni più pratiche. Una volta tornato in Italia, non più. È come se cedere alla tentazione di avere una vita finanziaria più ordinata lo portasse pericolosamente verso ciò che più temeva di diventare.
“Una razionalizzazione della tematica del denaro mi portava dentro la versione brianzola del controllo. Chiaramente non era così. Ma io sono cresciuto con questa dicotomia molto forte. Maturando ti accorgi che questa dicotomia è un’illusione e che ci sono molti modi per interpretare la tematica del denaro. Il grande dispiacere è di non aver trovato prima le lenti e gli angoli giusti per me, per riuscire a gestire i soldi”.
La sua incapacità di gestire del denaro, però, non si traduce mai in difficoltà finanziarie: «La cosa che torna rispetto all’impostazione familiare, è che ogni volta che ho dovuto fare delle cose, sono sempre stato in grado di generare il denaro per farle».
Questa capacità di generare denari è sempre stata legata a un obiettivo. Nella prima parte della sua vita, l’obiettivo era chiaro. Spendere in istruzione. Dopo la laurea in Statale a Milano, infatti, Adama è stato in grado di pagarsi i master nelle migliori università del mondo lavorando per anni nella cooperazione internazionale e alle Nazioni Unite, tutti contesti in cui guadagnava bene e spendeva poco.
«Il gioco che anche adesso sto cercando di fare con me stesso, è trovare le motivazioni per continuare a generare e preservare dei denari. I temi classici della pensione o della stabilità razionalmente li capisco. Sono cose vere, sono cose che adesso, più si va avanti più l’ansia aumenta. Ma sono sempre energie causate da paure e non da desideri di espansione. Forse la cosa che devo riuscire a fare, è cambiare il punto di vista e quindi al posto di pensare in una mentalità di scarcity, trovare il modo per fare la stessa cosa, la gestione dei denari, ma con l’idea di espansione».
Come li usa oggi i soldi Adama Sanneh? Di certo non per comprare oggetti. «Il denaro per me è sempre stato un mezzo per poter stare nel mondo. Non è mai stata legato a comprare degli oggetti».
Né tantomeno per possedere e gestire una bella casa.
«Lì ho due questioni. Da una parte c’è una tematica psicologica forte, di stabilità. Ma dall’altra c’è che non credo nell’investimento nella casa, non penso che sia un investimento. Un conto è fare un investimento in real estate, che sono tra gli investimenti che hanno più senso in generale, però lo devi fare con le logiche dell’investimento. Un conto è nascondere la tematica emotiva dell’avere una casa dentro una tematica economica. Quello per me è molto problematico».
Adama oggi spende i soldi per stare nel mondo, viaggiare, intrecciare relazioni, attività che svolge nel 50% del suo tempo. Ma anche per un’altra ragione più sottile, cioè per far sparire la questione soldi dalle sue giornate.
“Il denaro in questo momento lo spendo principalmente per non dovermi occupare di denaro. Faccio una vita premium, perché non voglio avere un budget. Nella gestione giornaliera, sotto i 200€ non voglio neanche pormi la questione, sotto i 500 magari mi faccio una domanda e poi, magari sopra i 1000, mi chiedo se ha senso o no. Che è un discorso totalmente paradossale, anzi è un problema”.
Negli ultimi anni, però, Adama ha iniziato a fare qualcosa che non avrebbe mai immaginato. Ha iniziato a investire. E si è avvicinato al mondo degli investimenti da una porta d’ingresso piuttosto controversa: le criptovalute.
«Mi sono interessato non per una tematica di denaro, ma culturale, sociologica, antropologica. Cioè ho dovuto in qualche modo raggirare me stesso: “Qui c’è un movimento, c’è un qualcosa che sta nascendo?”, mi sono detto. Lo vedevo nelle persone che incontravo, soprattutto ragazzi più giovani di me, che in qualche modo trovavano un nuovo senso identitario nei confronti delle cripto. Allora da quell’angolo lì sono entrato. Una volta che entro, poi studio, imparo e mi attivo. Però il punto di ingresso non è stato: “Devo fare dei soldi”».
Studiando il movimento delle criptovalute, Adama ha visto sgretolarsi un falso mito con cui era cresciuto: «“Tu investi soldi quando hai fatto un sacco di soldi”, mi dicevano. C’erano tanti passaggi prima di pensare gli investimenti di denaro. Prima devi pensare agli studi, poi al lavoro, poi al tuo salario, infine al risparmiare. E sul risparmio eventualmente potevi fare delle cose. Mentre il mondo delle cripto è riuscito nella piccola grande rivoluzione di dire: “Non è vero che devi avere un sacco di soldi per fare degli investimenti”».
Il punto è che sulla gestione del denaro noi abbiamo degli schemi, dentro cui cerchiamo di incasellare ogni tipologia di esistenza. Alla luce di questi schemi, c’è chi ha una buona gestione dei soldi e chi ne ha una cattiva. E spesso, scatta il giudizio degli uni nei confronti degli altri, o anche verso noi stessi. Ma siamo sicuri che tutto possa essere semplificato in questo modo? Adama, studiando sulle innumerevoli fonti che oggi ci sono a disposizione, ha capito che c’è una molteplicità di modi in cui le persone gestiscono il denaro che vanno al di là della dicotomia con cui è cresciuto.
«Questo l’ho scoperto anche nel mio lavoro. Come fondazione sosteniamo organizzazioni culturali creative che operano nelle aree svantaggiate nel mondo e sono spesso le organizzazioni che noi chiamiamo unfoundables, non finanziabili. Perché? Perché pensano in maniera diversa, più ai processi che ai risultati. Sono le classiche organizzazioni che tu guardi e dici: “Questa roba qua chiude tra una settimana”. Però magari sono 25 anni che sono attive. Ma per il fatto che non riesci a farle rientrare dentro un framework riconoscibile, allora diventano non finanziabili. La nostra lente dovrebbe essere in grado di capire e di riuscire a leggere queste forme di sopravvivenza e di crescita che sono più peculiari, alternative».
Lo stesso vale per le persone.
“In questo momento trovi persone di vent’anni che stanno pensando la tematica del denaro in una maniera diversa. Io sono convinto che probabilmente, se avessi dieci anni in meno, la gestione del denaro e della mia vita sarebbe radicalmente diversa, perché avrei trovato un linguaggio, una comunità, un contesto che parlava a me direttamente e quindi sicuramente sarei stato tra quelli che i primi 100€ guadagnati li investono in qualcosa”.
Generalmente chiudo le mie interviste con una domanda sugli obiettivi futuri. Gli obiettivi di vita non quelli finanziari, tanto poi i secondi discenderanno dai primi perché i soldi altro non sono che abilitatori dei nostri desideri, giusto?
«Questo micro sillogismo che hai creato mi è razionalmente chiaro, ma è una delle tematiche che noi, come famiglia, non abbiamo mai avuto. Il denaro non era neanche un vero e proprio abilitatore di cose. Se tu pensi alla vita di mio padre, io posso darti due immagini. La prima è il quartiere di Dakar dov’è cresciuto, un quartiere molto umile. Poi avanti veloce, io e mio padre a bere un drink con la regina d’Olanda. Quella roba lì non è stata stabilita dal denaro, è un senso di stare nella vita, è un senso relazionale. No, il denaro era una conseguenza di queste cose, non un abilitatore. Se ci fosse stata una gestione diversa di denaro, la cosa si sarebbe espansa? Probabilmente sì. Però magari aumentavi la gestione del denaro e non aveva senso razionalmente ed economicamente essere con la regina d’Olanda in quel momento».
Il padre di Adama, partito dal Senegal per andare a insegnare Francia, si era fermato a Brescia dove aveva costruito una delle aziende più di successo degli anni 80. Poi era andato in Inghilterra e aveva avviato un import export col Senegal. Poi era tornato a Milano diventando una piccola istituzione della città e fondando un’agenzia di pubblicità, infine era rientrato in Senegal. A 63 anni è morto, stroncato da un infarto.
«Una gestione del denaro più controllata era oggettivamente una barriera a questa grande avventura. Poi ti posso dire che questo ha portato anche dei grandi costi. Emotivi e di salute. Se fosse stata una persona più tranquilla, con una gestione economica diversa, mio padre sarebbe ancora in vita? Beh, forse sì».
Forse sì, ma non avrebbe scritto il grande e appassionante libro di avventure che è stata la sua vita.
“Non bisogna invocare Freud per capire che avendo un padre di questo tipo da una parte e un nonno imprenditore brianzolo dall’altra, si è sviluppata qualche forma di complessità personale. Però ci stiamo lavorando”.