Mattia, che ha rubato perché i genitori non gli hanno dato i soldi

Mattia ha 20 anni e vive in una condizione di profondo disagio derivata dal non piacersi fisicamente. È arrivato addirittura a rubare a casa degli amici dei suoi genitori per avere dei soldi per degli interventi di correzione estetica. Indagando la sua storia emerge uno stile educativo che non ha imposto limiti e non ha insegnato la tolleranza alla frustrazione. Mattia è così cresciuto avendo una percezione distorta della realtà e dei suoi diritti e solo attraverso la terapia è riuscito a rendersene conto e a fare pace con il suo corpo.

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Elena Carbone
Elena Carbone

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Psicologa e psicoterapeuta esperta in traumi. Con l’account Instagram La psicologa volante fa divulgazione sul rapporto tra psiche e soldi.

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Foto di Sebastien Mouilleau

Mattia ha 20 anni, vive con i genitori, papà dirigente in banca e mamma assistente di un commercialista. Mattia non sa cosa fare nella sua vita ed esce poco con gli amici perché non si sente a suo agio. Il suo malessere deriva dal non piacersi fisicamente e dal provare vergogna e imbarazzo per come appare. È arrivato addirittura a rubare per avere i soldi per degli interventi di correzione estetica: ha rubato dei gioielli a casa di amici di famiglia durante una cena e, dato che i genitori l’hanno scoperto, ha dovuto ovviamente restituire tutto, scusarsi e iniziare un percorso di psicoterapia per capire cosa gli stia succedendo.

L’origine del disagio

«Non so se sia un’ossessione, ma voglio avere tanti soldi per poter fare tutti i cambiamenti che voglio al mio corpo. Non mi piace, non mi piaccio, piango ogni giorno quando mi guardo allo specchio, cerco di trovare delle soluzioni per non dovermi rinchiudere in casa dalla vergogna che il mio aspetto mi procura».

Mattia mi spiega che non si piace, che è sempre stato considerato un bel bambino, ma verso i 15 anni qualcosa è cambiato in lui e ha iniziato a odiare la sua immagine riflessa. Mattia ha chiesto che i genitori gli pagassero la rinoplastica, un intervento di chirurgia plastica per rifarsi il naso, per il compleanno dei 16 anni. A 17 ha chiesto ai nonni i soldi per togliere il difetto delle orecchie a sventola. A 18 ha chiesto come regalo l’intervento per allungare il femore e diventare così più alto di qualche centimetro. Quando è arrivata questa richiesta, i genitori si sono rifiutati di esaudirla. Avevano pensato che, se avessero ceduto alla rinoplastica, Mattia si sarebbe sentito meglio con sé stesso, ma così non è stato, anzi, è diventato l’inizio di un’ossessione sul corpo e sulla volontà di volerlo diverso.

Mattia soffre di Disturbo di Dismorfismo Corporeo, conosciuto storicamente col nome di dismorfofobia. L’elemento peculiare della dismorfofobia è la preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico, che può essere totalmente immaginario, oppure, se è presente una reale piccola anomalia fisica, la preoccupazione del soggetto è di gran lunga eccessiva al normale.

Così, durante una cena a casa di amici di famiglia, Mattia ha deciso di rubare dei gioielli. La sua non è stata una risposta impulsiva. Al rifiuto dei suoi genitori e alla mancanza di alternative per raggiungere l’obiettivo desiderato, Mattia ha volutamente compiuto un atto illegale nel tentativo di procurarsi ciò che voleva.

La risposta al rifiuto

Mattia ha poca tolleranza alla frustrazione. La sua incapacità di affrontare le difficoltà e le delusioni in modo costruttivo lo ha portato a una serie di scelte distruttive, tra cui il furto, come risposta ai rifiuti dei genitori e alla sua percezione negativa del proprio aspetto fisico.

«Cosa provo per aver rubato? Non mi sento in colpa se è quello che vuole sapere. Sono solo arrabbiato perché mi hanno scoperto. Avevo bisogno di quei soldi, i miei genitori avrebbero potuto darmeli, quindi è colpa loro se ho dovuto rubare».

Mattia non prova senso di colpa per aver rubato, è solo affranto dal fatto che l’abbiano scoperto. Lo vede come una forma di compensazione per i disagi e le insoddisfazioni che vive a livello personale. La sua preoccupazione principale è la paura di non aver accesso alle risorse che ritiene necessarie per migliorare la propria estetica. Sembra non mostrare empatia per le persone che ha derubato, il suo focus è completamente su di sé e sul suo disagio.

«Non esco spesso con i miei amici. Vado al lavoro e poi torno a casa e trascorro il tempo cercando su internet modi per migliorarmi fisicamente. Vado in palestra e mi osservo per ore allo specchio, spesso finendo a piangere perché non sopporto l’idea di vivere con questo aspetto».

Seppur Mattia si veda così, è un ragazzo dall’aspetto assolutamente normale. Nessuna parte del corpo da lui citata è mostruosa o non gradevole, anzi si potrebbe definire un bel ragazzo. Ma questo non è quello che percepisce lui. Per questo motivo si isola, non esce con i suoi amici e non sogna cosa vuol fare da grande. Tutte le sue energie sono focalizzate sul trovare una soluzione ai suoi difetti fisici.

Indagando la storia di Mattia emerge uno stile educativo che non ha imposto limiti e non ha insegnato la tolleranza alla frustrazione. Sin dall’infanzia, ha ricevuto un’attenzione eccessiva e una gratificazione immediata dalle richieste fatte ai genitori. Mattia è così cresciuto avendo una percezione distorta della realtà e dei suoi diritti.

In questo contesto, l’atto di rubare è stato percepito come una risposta accettabile alla frustrazione di non ottenere ciò che desiderava dai genitori. La mancanza di limiti e di insegnamenti sulla gestione delle delusioni e delle difficoltà lo ha condotto a cercare vie alternative per soddisfare i suoi desideri, anche se illegali e dannose per gli altri. Inoltre, il fatto che i genitori abbiano originariamente soddisfatto le sue richieste per miglioramenti estetici ha potuto rafforzare la sua convinzione che il suo aspetto fisico fosse un problema reale e che avesse il diritto di modificarlo a suo piacimento. Questo ha alimentato ulteriormente la sua ossessione per il perfezionamento del corpo, portandolo a compiere azioni estreme pur di raggiungere il suo obiettivo.

Senza una guida educativa adeguata che gli abbia insegnato a gestire le emozioni, ad accettare sé stesso e ad affrontare le sfide con resilienza, Mattia ha sviluppato una percezione distorta dei suoi diritti e delle conseguenze delle sue azioni. Ha interiorizzato il concetto che i suoi desideri personali dovrebbero essere sempre prioritari e che qualsiasi mezzo per raggiungerli fosse giustificato, anche il furto.

Il riconoscimento della problematica

Attraverso un percorso di psicoterapia mirato, ho lavorato con Mattia per affrontare le sue sfide legate alla dismorfofobia e alla gestione della frustrazione. Abbiamo esplorato le radici dei suoi disturbi psicologici, compreso i modelli educativi e le dinamiche familiari che hanno contribuito al suo stato emotivo attuale.

Uno degli obiettivi principali è stato aiutare Mattia a sviluppare una prospettiva più realistica e accettante del suo aspetto fisico lavorando sulla consapevolezza dei suoi pensieri distorti riguardo al suo aspetto, esplorando e sfidando le credenze negative che aveva interiorizzato nel corso degli anni. Parallelamente, abbiamo affrontato la sua bassa tolleranza alla frustrazione, aiutandolo a sviluppare strategie efficaci per gestire il disagio e le delusioni quotidiane. Mattia ha imparato a riconoscere le sue emozioni e a canalizzare in modo costruttivo la sua energia emotiva, anziché reagire impulsivamente o distruttivamente di fronte alle difficoltà.

Inoltre, abbiamo lavorato sulla promozione dell’empatia e della consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni. Ha imparato a considerare le prospettive degli altri e a valutare le implicazioni delle sue azioni non solo su sé stesso, ma anche su di loro. Nel corso del percorso terapeutico, Mattia ha compiuto notevoli progressi nel riconoscere e affrontare i suoi disagi e ha iniziato a mostrare una maggiore fiducia in sé stesso che lo sta portando a considerare l’idea di fare dei corsi per un sogno professionale che comincia ad affacciarsi alla sua consapevolezza.

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