Ho smesso di puntare tutto sul lavoro dipendente

Dopo aver ricevuto un incentivo all’esodo nell’azienda per cui lavorava, Michele ha trovato un nuovo equilibrio tra l’attività imprenditoriale e il lavoro da dipendente. Ciò che avrebbe potuto minare la sua autostima si trasforma invece in un’opportunità per esplorare nuovi orizzonti, aprendo la strada a una fase di vita ricca di sfide e stimoli che altrimenti non avrebbe mai considerato. 

Tempo di lettura: 8 minuti

Michele Dalla Tezza

Ascolta il podcast della puntata:

«Non so se un domani il peso dell’attività imprenditoriale supererà quello da lavoratore dipendente. Ad oggi è ancora un equilibrio che gestisco tranquillamente».

Michele si è accomodato dentro questo equilibrio dopo aver accettato un incentivo a lasciare il suo precedente lavoro. Quello che poteva essere un duro colpo per la sua autostima, si trasforma in un trampolino verso l’esplorazione di nuovi percorsi che non avrebbe mai considerato, l’inizio di una nuova e stimolante fase di vita.

L’importanza dei rituali

Michele Dalla Tezza ha 49 anni ed è sia imprenditore sia dipendente di una multinazionale nel settore marketing. Nato e cresciuto in provincia di Varese, uno dei quadretti familiari impressi nella sua memoria ritrae il padre artigiano e la mamma impiegata intenti a parlare di soldi.

«Io mi ricordo quando la sera, sul tavolo del soggiorno, mia mamma teneva la contabilità anche della ditta di mio papà, e gli chiedeva i prezzi per poter fare le fatture ai clienti».

Michele, nel suo piccolo, replica la stessa ritualità della madre.

«Ai tempi dell’oratorio, i miei genitori mi davano una paghetta mensile e io avevo un quadernetto dove mi segnavo tutte le spese che facevo. Quindi: caramelle 20 lire, gelato 50 lire… e a fine mese facevo il conto entrate e uscite. Già da piccolo avevo questo approccio molto organizzato; mi dava molta soddisfazione vedere il risparmio a fine mese».

Una volta terminato il liceo, Michele si iscrive a Economia e commercio, e già durante il percorso di studi inizia a svolgere qualche lavoretto in ambito finanziario.

«Facevo le dichiarazioni dei redditi, i 730… ne facevo 200, 300 all’anno».

Sul suo futuro sembra avere le idee molto chiare.

«L’idea era di cercare un lavoro da dipendente, non avevo il fascino dell’attività imprenditoriale».

Il bivio

Dopo alcune esperienze lavorative, passando da un’azienda all’altra, Michele approda in una grande multinazionale, dove costruisce una solida carriera e raggiunge una posizione di rilievo. Tuttavia, a un certo punto, si trova di fronte a un bivio che cambierà il corso della sua vita.

«Il mio sliding doors è stato a 40 anni, quando ero già sposato e avevo due bambini piccoli. Questa azienda dove lavoravo, in un periodo di ristrutturazione, mi aveva offerto o un cambio di mansione a parità di stipendio o un interessante incentivo all’esodo. Io, in maniera molto razionale, ho fatto tutta l’analisi dei pro e dei contro e sicuramente tutto convergeva sul rimanere in azienda con un buono stipendio e la sicurezza economica. Questo era anche il consiglio di tutte le persone care che mi circondavano».

Michele, in quel momento, sente forte anche il mandato sociale che pesa su un padre di famiglia.

«Ero sposato, avevo un figlio di quattro anni e una figlia di due anni, quindi sentivo fortissima la responsabilità del mantenimento della famiglia. Mia moglie lavorava quindi comunque c’era un’altra entrata, però un po ‘il senso di responsabilità da padre ce l’avevo».

Eppure, c’è un aspetto di natura psicologica che prende il sopravvento su tutte le altre considerazioni razionali.

«Il fatto di aver ricevuto questa proposta metteva in luce il fatto che, evidentemente, non ero più indispensabile. Potevo continuare in una posizione simile, però sicuramente mi sarei sentito meno importante, meno necessario. E quindi alla fine la parte psicologica ha prevalso sull’analisi numerica».

Michele sceglie così di fare il salto nel vuoto, e di ributtarsi nel mercato del lavoro.

«Che nel frattempo era anche cambiato perché dopo tanti anni molte dinamiche si erano evolute. Ricordo che era stato utile un percorso di outplacement con una coach».

Il ritorno alle origini

Presa questa decisione, non semplice, è il momento per Michele di fare un piano economico.

«La prima domanda è stata: ma quanto posso vivere e mantenere la famiglia senza trovare un lavoro? Considerando che avevamo una casa di proprietà, e che quindi non avevamo quest’ansia del mutuo o dell’affitto».

Questa domanda lo spinge a riprendere l’abitudine che aveva ai tempi dell’oratorio: fare un’analisi dettagliata delle sue entrate e uscite.

«Non avevo più tracciato le spese perché con due stipendi in casa non era più necessario. Da quel momento, invece, traccio tutte le mie spese e chiedo anche a mia moglie di farlo perché dev’essere un bilancio familiare a tutti gli effetti. Ad oggi, faccio il cash flow mensile e lo stato patrimoniale di fine anno».

Grazie a questo piccolo rituale, Michele riscopre il valore di avere il pieno controllo delle proprie finanze, e paradossalmente inizia a concedersi qualche piacere in più.

«Non penso che abbiamo cambiato tenore di vita, ma anzi, abbiamo affrontato le spese con più tranquillità, perché a quel punto erano sotto controllo. Addirittura ci siamo permessi dei lussi che prima non credevamo di poterci permettere, ma che una volta che hai i numeri sotto mano ti rendi conto che hai la capacità per farlo».

In quel periodo di piacevole scoperta, Michele si avventura anche nel mondo degli investimenti.

«Ho approcciato molto ai temi di crescita personale e di finanza e ho esplorato vari tipi di investimenti: ho testato il forex, quindi compravendita di valute, scottandomi un po’, e altri tipi di investimenti con risultati più altalenanti. In questo periodo, i concetti che mi avevano più affascinato erano le entrate passive e il cash flow».

Il settore delle locazioni

Le rendite passive sono delle entrate che otteniamo con un investimento iniziale e un impegno di lavoro minimo. Mentre il cash flow è il flusso di cassa. Noi ogni mese abbiamo dei soldi che escono per pagare le nostre spese. E quindi in un bilancio familiare sano è importante che ci siano altrettanti soldi che entrano per coprire quei costi.

Ed è proprio girando intorno a questi due concetti che Michele decide di lanciarsi nelle locazioni del settore immobiliare.

«Non lo so se è un po’ il fascino del mattone che dà sicurezza, ma le locazioni mi hanno conquistato per due aspetti: i temi finanziari di cash flow e le relazioni personali. A me piace molto relazionarmi con persone, capire che esigenze hanno, che cosa cerca il tipo di inquilino e per quanto tempo. E poi, il settore delle locazioni era quello che, con queste entrate ricorrenti mensili, mi trasmetteva di più questa sicurezza dovuta alla mia esperienza da lavoratore dipendente».

Con un socio fonda una società immobiliare per gestire le locazione, e nel frattempo, trova un altro lavoro in un’azienda. Che però, vive con tutt’altra mentalità rispetto al passato.

«Stavo costruendo il mio piano B, quindi non avevo fatto all-in sul lavoro dipendente che può finire in ogni momento. E devo dire che dà molta sicurezza avere il piano B, ti dà più leggerezza. E quindi adesso sono in questo equilibrio tra lavoro dipendente e imprenditoriale e ad oggi è un equilibrio che riesco a gestire bene anche perché comunque l’attività da dipendente mi piace».

Michele oggi ha trovato l’equilibrio tra attività imprenditoriale e attività dipendente. L’unica cosa per cui non c’è spazio, nella sua vita, è un hobby.

«Non ho particolari hobby da fare nel tempo libero; al momento la gestione degli immobili è il mio hobby, quello a cui dedico il mio tempo libero».

D’altra parte, nonostante l’attività imprenditoriale di Michele stia andando bene, non riesce a fare il passo decisivo per lasciare il suo lavoro da dipendente.

«Forse perché nei miei valori comunque c’è la sicurezza e la famiglia. D’altra parte, è anche un lavoro che mi piace, perché se facessi un lavoro che non mi piace, probabilmente avrei lo stimolo di abbandonarlo. Poi faccio locazioni generalmente di 6-12 mesi, quindi non è neanche quell’attività a breve termine che richiede un’attività giornaliera. È un’attività molto più programmabile e ti dà anche più libertà di gestione.».

A posteriori, Michele si rende conto che la sua passione per il settore immobiliare non è frutto di una scoperta casuale, ma di un’altra eredità involontaria, come quella della rendicontazione.

«I miei genitori, 40 anni fa, avevano comprato un appartamento che avevano messo a reddito. Ai tempi io non lo avevo realizzato e ricordo questo inquilino, che è rimasto per moltissimo tempo, che veniva ogni tre mesi a portare l’affitto. Quindi sicuramente l’influsso dei genitori è stato non esplicito, ma inevitabile».

Consapevole di come la relazione dei suoi genitori con i soldi abbia involontariamente condizionato le sue scelte finanziarie, oggi Michele cerca di avere un impatto positivo sui suoi figli.

«I miei figli, oggi 12 e 14 anni, ricevono una paghetta mensile. La condizione per averla, però, è farmi vedere il rendiconto del mese precedente. Quindi, se mi danno il rendiconto del mese precedente, con entrate e uscite dettagliate, gli dò la paghetta del mese. È iniziato come un gioco, ma vedo che li aiuta ad avere maggiore consapevolezza dei soldi. Sono indipendenti nelle spese che vogliono fare, quindi possono comprarsi quello che vogliono con i loro soldi. Ovviamente, se vogliono qualcosa che costa di più sanno che devono risparmiare per comprarla il mese dopo. Io sto seminando poi non so come sarà».

Intanto, anche grazie al percorso di Rame, Michele ha dato risposta a una domanda che non si era mai posto, e cioè, quali sono i suoi obiettivi finanziari.

«I miei obiettivi sono i figli, quindi la loro istruzione e la possibilità di lasciargli aperte tutte le opportunità che vorranno. Non ho sogni costosi nel cassetto, ma ho realizzato che probabilmente il mio obiettivo è la stabilità. Quindi, non il bene materiale, la casa al mare o la macchina, ma la sicurezza economica».

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