I soldi spesi per la salute mentale mi hanno salvato la vita

Morgana ha 37 anni ed è autrice e ghostwriter. I suoi genitori si separano quando è ancora molto piccola, e lei passa la maggior parte della sua vita con la madre, che non sarà mai in grado di darle una stabilità economica. Poco dopo aver iniziato l’università a Milano inizia a soffrire di depressione, ma si vergogna a chiedere aiuto per curarsi. Nel frattempo, mossa dal sentimento di non voler vivere la stessa vita che stava vivendo la madre, si dà molto da fare per raggiungere la sua libertà finanziaria, fino a quando si renderà conto, che per farlo, è necessario prima affrontare i problemi legati alla salute mentale.

Tempo di lettura: 9 minuti

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Ascolta il podcast della puntata:

“Ho sempre avuto la percezione che una donna debba strapparsi a morsi la propria libertà finanziaria, come se tutti si aspettassero che a un certo punto lei scegliesse di essere solo madre e moglie. Io ho reso chiaro fin da subito che non mi riconoscevo in questi ruoli. A un certo punto le persone devono aver pensato: “Questa non vuole figli, non vuole la famiglia, ma non ce la sta neanche facendo a far funzionare il suo lavoro quindi è proprio una fallita”. Ma probabilmente la prima a pensarlo di me stessa ero io”.

Partiamo da qui, da questo senso di fallimento che Morgana prova verso i 33 anni. Quando l’obiettivo che aveva mancato sua madre, l’indipendenza economica, sembra sfuggire di mano pure a lei. Morgana ancora non lo sa, ma è tutta colpa di due tabù che nella sua storia si intrecciano inestricabilmente: il tabù dei soldi e quello della salute mentale.

«Nessuno ti dice come si gestisce il denaro ma nessuno ti dice neanche come si gestisce la salute mentale. Tutti danno per scontato che stiamo tutti bene».

Il peso del denaro

Morgana Chittari ha 37 anni e vive in Sicilia. Figlia di due genitori che si separano quando lei è ancora molto piccola, per lei i soldi sono il male assoluto.

«Io ho sviluppato un odio abissale per i soldi, perché sono cresciuta con l’idea che il denaro fosse una fonte di problemi. Innanzitutto perché tutte le volte che mancavano dei soldi in casa, e c’era bisogno di stringere la cinghia sulle spese, nascevano conflitti e tensioni. E poi, perché io stessa credo di essere stata un motivo di diatriba economica tra mio padre e mia madre: mi sono sentita come lo strumento per ottenere qualcosa. Poi, avevo anche questa immagine di mia madre che andava dalla famiglia d’origine a chiedere aiuto, ed era una famiglia in cui lei non si sentiva a suo agio. Quindi, era come se, per dare una possibilità in più a me, si costringesse a fare qualcosa che le pesava».

Morgana passa la maggior parte del tempo con la madre, mentre dal padre ci va soltanto durante i weekend, o per le vacanze.

«Io ho vissuto una forma di bipolarismo finanziario. Ricordo che quando andavo a fare la spesa con mia madre il carrello era più che altro il cestino con quei tre prodotti necessari per la giornata, ben contati e ben calcolati. D’altra parte, invece, nel carrello della spesa della famiglia di mio padre il cibo strabordava e c’erano sempre prodotti molto gustosi per un bambino. Quindi ho associato un po’ la scarsità alla vita con mia madre e l’abbondanza alla vita con mio padre».

Questo “bipolarismo” si presenta anche nelle due figure femminili con cui cresce: sua madre, e la moglie del padre.

«Da un lato passavo la maggior parte del tempo con mia madre che aveva costantemente problemi col denaro e cambiava sempre lavoro. Dall’altra parte invece c’era la moglie di mio padre. Due donne molto diverse, una più casalinga che faceva fatica a portare una stabilità economica della mia vita, e l’altra, che lavorava sempre nello stesso posto e che era molto forte anche a livello decisionale».

La scoperta della neurodivergenza

Morgana lo scoprirà solo da adulta, ma dietro l’instabilità economica di sua madre, oltre a un famiglia che non l’aveva mai ritenuta in grado di occuparsi di soldi, c’era anche una patologia, l’Adhd, disturbo da deficit di attenzione, che verrà diagnosticata a Morgana stessa.

«La società non ti aiuta se sei neurodivergente o se non stai in determinati schemi di funzionamento neurotipici. Io per tutta la vita ho visto mia madre tentare di incastrarsi in tutti gli anfratti della vita familiare e sociale e non riuscirci. Come un pezzo del puzzle che non si incastra mai».

La psicoterapia nella cultura da cui proviene la mamma di Morgana è un tabù tanto quanto l’indipendenza finanziaria femminile.

“Mi ricordo che una volta dissi a mia madre che volevo andare in psicoterapia, e lei mi guardò sgranando gli occhi come se fossi pazza”.

Il periodo milanese

Per provare a uscire dalla condizione di precarietà economica, la madre di Morgana decide di trasferirsi con la figlia a Milano in cerca di un impiego stabile.

«Io avevo 13 anni quando sono salita su e devo dire che all’inizio è stato difficile perché mio padre, che era la fonte di gioia familiare, era lontano ovviamente».

Da quando è adolescente Morgana ha un sogno: diventare magistrato per contrastare la mafia, che lei ha avuto modo di conoscere nella sua infanzia siciliana. Così, dopo aver frequentato il Liceo classico, si iscrive a Giurisprudenza. Ben presto, però, si rende conto che non è la facoltà adatta a lei.

«Ogni volta che preparavo un esame, dove poi prendevo anche ottimi voti, finivo ricoverata in ospedale. Ma non era un’ansia pre-esame, era proprio un modo in cui il mio corpo stava cercando di dirmi che questa cosa non era adatta a me».

Morgana lascia Giurisprudenza e questo abbandono la porta per la prima volta a soffrire di depressione.

«Per un anno circa non ho avuto voglia di fare niente, ero molto apatica. Mia madre ha fatto molta fatica a tirarmi fuori di casa; poi però ha preso una decisione per me, e quella decisione è stata salvifica, perché io ho sempre amato studiare, quindi non fare l’università sarebbe stata un’idiozia».

La decisione di sua madre è iscriverla alla facoltà di Lettere. Dopodiché, quando tutto inizia finalmente a girare per il verso giusto, la madre fa le valigie, e decide di tornare in Sicilia.

“A quel punto io le ho detto: “Ma come? Abbiamo fatto tutto questo casino, io ho trovato un ragazzo, degli amici, un’università che mi piace… E adesso mi vorresti portare di nuovo giù?” Quindi lì forse è stata la prima volta in cui, quando lei prendeva una decisione su di me, ho detto no”.

«Ricordo la prima spesa che ho fatto da sola, dove non c’era mia madre che gestiva il carrello e dove ho potuto finalmente comprare del cioccolato come piaceva a me o dei cereali colorati. La libertà finanziaria, per me, era poter scegliere cosa mangiare e come fare la spesa. Poi però, mi rendevo conto che anche io tornavo a casa e facevo tutti i conti e cercavo di capire come fare per farci stare tutto».

Fin da quando era arrivata a Milano, Morgana aveva iniziato a lavorare, barcamenandosi tra mille attività.

«Tra i 18 e i 33 anni ho fatto tutti i lavori possibili a Milano: lavoravo come cameriera in un piadineria, ho fatto la cassiera e poi la segretaria. Facevo tre, quattro lavori contemporaneamente. E la cosa che mi ha più colpito, ora che so di essere una persona neurodivergente, è che io ho affrontato delle sfide che già per una persona neurotipica sono difficili. E se penso a tutto quello che ho fatto, effettivamente non so come lo ho realizzato. Forse perché avevo l’idea ben chiara che non volevo vivere la stessa vita che stava vivendo mia madre».

Tutti intorno a lei la ritengono una sorta di Wonder Woman.

«Io stessa probabilmente mi sono costruita questa immagine di me per cui sarei sempre stata come Wonder Woman. Ecco perché, quando ho avuto un crollo, nessuno mi ha creduta all’inizio. Tutti dicevano: “Morgana non può essere caduta in depressione, non può essere che debba andare in psicoterapia perché lei è super”. E lì, è stato terrificante».

Il secondo crollo

Il crollo arriva nel 2019. Morgana chiude una relazione, lascia il lavoro e non potendo più mantenersi a Milano torna in Sicilia.

«In quell’anno mi sono sentita una fallita perché avevo impostato tutta la mia vita su un desiderio: no casa, no famiglia, ma solo lavoro e passioni. E non stavo riuscendo a fare nemmeno quello».

La depressione torna a farsi viva più potente che mai. Morgana la riconosce, sa che dovrebbe curarsi ma non può permetterselo perché ha perso la sua indipendenza finanziaria.

«Tra l’altro tutto questo era connesso anche ai soldi, ancora una volta, perché io avrei potuto molto tempo prima rendermi conto di aver un problema e chiedere aiuto, invece mi vergognavo moltissimo. Innanzi tutto perché avevo questa idea di me che dovevo essere per forza indipendente, e poi perché l’idea della psicoterapia non era ancora vista come qualcosa di normale».

A sua madre Morgana non dice nulla, ma a suo padre è costretta a raccontare del suo disagio psicologico, perché ha bisogno del suo sostegno economico.

«E mi sono vergognata per questo, perché non potermi pagare le spese mediche per me era una sconfitta. E soprattutto doverlo dire a una persona che mi avrebbe guardato dicendomi: “Ma no, tu non ne hai bisogno”».

“C’è quest’idea che la donna debba essere sempre colei che cura e che è al servizio degli altri. A un certo punto, mi sono resa conto che dovevo ribaltare questa immagine ed essere colei che si prende cura prima di se stessa e poi degli altri”.

Il momento della salvezza

Morgana si trova in Sicilia quando la pandemia congela le esistenze di tutti. Costretta a fermarsi, le succede qualcosa che le cambia la vita.

«Il fatto di stare bloccati in casa e di non poter fare tutti quei lavori che avevo sempre fatto mi permette di chiudermi in una stanza a scrivere… ma scrivere tanto. Arrivo alla fine della scrittura di tre romanzi e comincio a dirmi che forse questa cosa io la sapevo fare. Pubblico così il mio primo libro».

“Non mi ha dato entrate economiche, non mi ha dato certezze finanziarie, ma mi ha dato la certezza di quale sarebbe stato il lavoro che io oggi faccio attualmente”.

Oggi Morgana è autrice, ghostwriter, editor e correttrice bozze. L’atto coraggioso di chiedere aiuto economico e iniziare un percorso di psicoterapia, le ha permesso anche di rivoluzionare la sua gestione del denaro e di dare un giusto valore alle sue capacità.

«Già chiedendo aiuto economico ho superato il primo step, perché mi sono resa conto che io avrei anche potuto continuare a cercarmi dei lavori a caso, ma se non mettevo a posto delle dinamiche della mia salute mentale avrei lasciato irrisolto il problema di base. Ho capito che la gestione errata del denaro dipendeva da una mancanza di autostima. Per esempio, quando ho iniziato a lavorare in questo ambito, io non ero in grado di stabilire un valore economico per le mie prestazioni. Ero capace di dare un servizio di scrittura offline pagata 1 ora, quando in realtà ce ne mettevo 3».

“Purtroppo nessuno ti insegna davvero che il tuo tempo è denaro, quindi il primo passaggio è stato ricostruire questa autostima assegnando un valore economico al mio tempo, alla mia competenza e alle mie capacità”.

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