I super ricchi dovrebbero pagare più tasse?

Tassare i super-ricchi. Il tema torna periodicamente nei summit internazionali e negli eventi pubblici. Ma cosa sta succedendo in Italia?

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Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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Foto di Pascal Bernandon

A chiedere di tassare i super-ricchi per il clima sono stati in Svizzera i rappresentanti dell’ala giovanile del partito Socialdemocratico, con una raccolta di firme che ha raggiunto quasi 110 mila adesioni. Comincia così l’iter di un referendum che chiederà ai cittadini elvetici di esprimersi sulla proposta di tassare le successioni sopra i 50 milioni di euro, e finanziare con le risorse la lotta al cambiamento climatico. Una declinazione “green” di quello che molti ripetono da più parti del globo. Da quando, 14 anni fa, è nato il movimento dei Patriotic Millionaires, un gruppo di circa 250 Paperoni che ritiene giusto pagare più imposte, il tema torna periodicamente nei summit internazionali e negli eventi pubblici. Un mese fa è stato il ministro delle Finanze brasiliano Fernando Haddad a proporre una tassa sui grandi patrimoni durante il G20 di San Paolo. E proprio in occasione dell’incontro, la ong Oxfam ha rilanciato la campagna #lagrandericchezza. L’obiettivo è persuadere i Big del G20 a imporre un prelievo del 5% su chi dispone di grandi risorse finanziarie.

Il caso Italia, il prelievo sul lavoro supera quello sui profitti

Al di là delle proposte, nei Parlamenti il tema non è nemmeno all’ordine del giorno, mentre le disuguaglianze crescono in maniera esponenziale: ad oggi l’1% più ricco del pianeta possiede il 43% della ricchezza globale. L’Italia segue il trend, con il ceto medio divorato dal carovita e un numero sempre più esiguo di persone “facoltose” le cui ricchezze non fanno che aumentare. A fine 2022 – recitano i dati Oxfam Italia – l’1% della popolazione più ricca aveva nel Belpaese un patrimonio totale 84 volte superiore a quello del 20% più povero. L’organizzazione calcola che se solo lo 0,1% dei contribuenti italiani pagassero un’imposta progressiva sui loro patrimoni, si genererebbero risorse fino a 15,7 miliardi di euro all’anno. Inoltre – qui il paradosso – nonostante la percentuale dei redditi da lavoro in rapporto al Pil sia in calo da anni, il prelievo fiscale sul lavoro è maggiore di tre volte di quello su profitti, rendite ed interessi. Dopotutto non è una novità l’83% delle imposte è versato in Italia dal 13% dei cittadini con reddito fisso. E non sono Paperoni.

Ceto medio, addio benessere

I più tartassati, difatti, sono proprio i ceti medi. Uno studio di Itinerari previdenziali evidenzia come il carico fiscale dello Stivale sia tutto sulle spalle di coloro che si trovano nella fascia “di mezzo”. Sono coloro che fino a qualche decennio fa potevano permettersi vacanze estive di quattro settimane, qualche abito griffato e ristoranti, senza rinunciare a pagare gli studi fuorisede e qualche sfizio ai propri figli, e oggi hanno bilanci in perenne, pericoloso equilibrio tra caro mutui, caro energia, un’inflazione mangia stipendi e un’imposizione fiscale che non da tregua. Nel nostro Paese i contribuenti con redditi sopra i 35.000 euro sono il 13,94% del totale e versano il 62,52% delle imposte dei redditi sulle persone fisiche. Tra questi ci sono i super-ricchi, certo, ma anche una nutritissima schiera di cittadini con redditi lordi tra 35.000 e 55.000 euro. Sono loro, la fascia tra 29.000 e 55.000 a contribuire per il 62,52% del gettito totale.

Tasse tante, e i benefici si azzerano

Un altro studio congiunto firmato dai ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università di Milano-Bicocca, rivela tra l’altro quanto paradossale e per certi versi iniquo sia il sistema fiscale italiano, “moderatamente progressivo” per il 95% dei contribuenti con reddito più basso, con un’imposizione fiscale che va dal 40% al 50% e addirittura regressivo per il 5% più abbiente. Che, di fatto, pagano meno tasse in proporzione. A conti fatti, chi guadagna più di 500.000 euro all’anno, ha un’aliquota effettiva che scende fino al 36%. La ragione? L’effetto di tante componenti, non ultima il fatto che chi possiede di più, trae in proporzione maggiori guadagni da rendite finanziarie e immobiliari, che sono tassate con aliquote inferiori rispetto all’Irpef.
Nonostante questo, i bonus e gli aiuti pubblici sono praticamente nulli. L’Osservatorio sui conti Pubblici italiani ha di recente pubblicato un rapporto sui benefici che spettano ai contribuenti sulla base del reddito, dalla detrazione per lavoro dipendente al taglio del cuneo fiscale, dall’assegno unico per i figli ai diversi bonus. Numeri alla mano, ha sottolineato come alla raggiungimento di una soglia da “ceto medio” i benefici si azzerano.

L’Isee: con redditi da 35.000 euro e un solo figlio addio bonus

Anche l’Isee, l’indicatore della ricchezza familiare, che tiene in conto beni immobili, patrimoni finanziari e numero di figli, penalizza chi è nel mezzo. Illuminante è un esempio dell’Osservatorio, che prende a esempio una famiglia composta da marito e moglie, entrambi con un reddito lordo di 35 mila euro e una casa di proprietà del valore di 200.000 euro, senza mutuo, ma senza risparmi. «Se la famiglia è composta dai due coniugi – si legge – il valore complessivo del loro Isee ordinario equivarrebbe a 57.112,53 euro. In presenza di un figlio l’Isee scenderebbe a 43.954,25 euro; con due a 36.449,86 euro. Questa famiglia con un solo figlio avrebbe diritto a un massimo di 1.500 euro per il bonus asilo nido (la metà dell’importo pieno di 3.000 euro), che salirebbe a 2.500 nel caso di due. Con un figlio si supera anche il limite Isee oltre il quale si ottiene il minimo dell’Assegno unico familiare (50 euro, ndr), con due la situazione cambia di poco. Naturalmente nessun bonus conto corrente, carta risparmio spesa, bonus occhiali e, quando il/i figlio/i cresceranno, nessun bonus università».

L’economista dell’università Bocconi Bruno Villois, qualche tempi fa ha detto: «Fermiamo la demolizione del ceto medio, negli ultimi due decenni il calo del potere d’acquisto in Italia ha superato il 30%». Mentre le disuguaglianze aumentano, una tempesta perfetta si abbatte anche sulla classe media, rischiando di trascinare l’economia di un intero Paese.

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