Il mio obiettivo è diventare finanziariamente libero a 45 anni
In Italia, l’indipendenza finanziaria è un sogno che raramente viene preso in considerazione. L’idea di vivere senza dipendere dal lavoro, soprattutto quando non si ha una ricchezza familiare su cui contare, sembra lontana dalla realtà, quasi irrealizzabile. Anche per Antonello è stato così. Tuttavia, grazie a una serie di esperienze significative, è riuscito a comprendere e a avvicinarsi a questa visione, riflettendo oggi sul cammino che lo ha condotto verso importanti trasformazioni.
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«Per me, indipendenza finanziaria non significa smettere di lavorare e trascorrere le giornate in spiaggia a sorseggiare cocktail. Significa avere un cuscinetto economico che ti sostiene nei momenti difficili o ti permette di prenderti una pausa lavorativa per dedicarti ai tuoi progetti personali, senza preoccuparti di come pagare bollette o altre spese mensili».
L’indipendenza finanziaria è un sogno che, in Italia, non abbiamo mai imparato a sognare. L’idea di slegare il nostro sostentamento dal lavoro, specie quando non c’è un ricchezza familiare da cui poter attingere, ci suona fantascientifica, se non blasfema. Era così anche per Antonello. Che infatti ci arriva lentamente, grazie a una serie di eventi significativi che oggi ripercorre insieme a noi.
Il soldi come strumento di scelta
Antonello Schiavo nasce a Sulmona, in Abruzzo, una cittadina di 25mila abitanti circondata dalle montagne, celebre per i confetti. Il padre lavora in un’azienda di trasporti, mentre la madre è un’impiegata della motorizzazione civile. Quando si separano, le entrate in casa si dimezzano e Antonello resta a vivere con la madre e i due fratelli di 12 e 15 anni più grandi di lui.
«Non è che fossimo in condizioni disperate, ma dovevamo fare attenzione a fine mese. L’obiettivo di mia madre era riuscire a mandarmi all’università e farmi studiare, dato che nessuno dei miei due fratelli l’aveva completata».
I soldi, per Antonello, sono ciò che lo separa dal suo obiettivo di breve termine: vestire alla moda, come tutti i suoi amici.
«Notavo che gli altri avevano più libertà di comprare ciò che desideravano. Se volevano un paio di pantaloni di marca – ai tempi andava di moda Replay – potevano prenderli. Mia madre, invece, era fissata con un negozio che si chiamava Boozley Jeans, dove c’erano grandi cestoni di metallo pieni di jeans in offerta a 10 euro. Mi diceva: “Prendi questo qui, lo scelgo io per te”. Questa esperienza ha avuto poi ripercussioni negli anni successivi, quando ho iniziato a guadagnare e ad avere più indipendenza e ho iniziato a spendere un po’ troppo in abbigliamento».
E questo succede molto presto. Antonello trova il suo primo lavoro a 14 anni. Un amico gli propone di fare il cameriere a un matrimonio. Viene pagato 50 euro per dodici ore di lavoro.
«Con i miei primi 50 euro in tasca mi sentivo l’uomo più felice del mondo. Ricordo bene quella sensazione, perché era la mia prima vera paghetta. È stato il momento in cui ho iniziato a comprendere il valore dell’indipendenza economica. Ho pensato: “Ok, se lavoro, posso permettermi qualcosa di più”. La prima cosa in cui ho conquistato la mia autonomia è stata l’abbigliamento: con i miei soldi, finalmente potevo decidere da solo come spenderli».
Qualche anno dopo Antonello inizia a fare il dj: guadagna 100 euro per 4 ore di musica. Ma né si interroga sull’equo compenso né trattiene nulla di ciò che guadagna.
«Se potessi tornare indietro, mi piacerebbe avere un quadro chiaro di dove finivano quei soldi. In realtà, li spendevo principalmente per sfizi: abbigliamento, cene fuori con gli amici, regali per la fidanzata, uscite. Non avevo ancora sviluppato il concetto di risparmio, quindi tutto quello che guadagnavo lo spendevo. A volte arrivavo a spendere anche 200 euro per un paio di jeans, perché sentivo il bisogno di concedermi ciò che mi era mancato in passato».
Fin da ragazzino, Antonello segue le orme del fratello più grande e anche i suoi consigli.
«Ricordo molto bene il periodo delle medie: erano gli anni in cui mio fratello aveva iniziato a lavorare come rappresentante e guadagnava bene. Gli facevo spesso domande su cosa facesse concretamente e su come avrei potuto seguire una strada simile. Lui mi rispondeva sempre: “Devi continuare a studiare, perché io non ho terminato l’università.”. Alla fine delle medie, avevo già le idee chiare: volevo studiare economia».
E così frequenta l’Istituto commerciale alle superiori ed Economia all’università. Eppure neanche questo gli apre gli occhi su una gestione più evoluta delle sue finanze personali.
«Questo è il paradosso dell’educazione in Italia: quando si studiano materie come ragioneria o economia aziendale, l’attenzione si concentra sulla contabilità e sui bilanci delle aziende. Ma manca completamente un insegnamento dedicato alla gestione del bilancio personale: come gestire i propri soldi, quale percentuale sarebbe opportuno risparmiare ogni mese… Questi aspetti fondamentali per la vita quotidiana vengono trascurati».
I primi risparmi
Durante il periodo universitario, la madre gli paga l’affitto, mentre lui si occupa di tutte le altre spese, sempre con una gestione orientata al brevissimo periodo.
«Per esempio, quando sapevo di dover fare un regalo di compleanno alla mia ragazza, iniziavo a mettere da parte un euro ogni volta che andavo a fare la spesa, da settembre fino a dicembre. Usavo il resto che mi davano e lo accumulavo pian piano. Erano risparmi legati a obiettivi precisi, sempre con l’idea di risparmiare per poi spendere subito, senza mai pensare a un risparmio di lungo termine».
A un certo punto, un nuovo obiettivo prende forma: non è un oggetto ma un’esperienza. Fare l’Erasmus in Polonia. E così, durante l’estate che precede la partenza, Antonello lavora come un matto nel magazzino di suo fratello.
«Sono riuscito a mettere da parte 3.000 euro. Sentivo ancora di più il valore dell’indipendenza, di dire “ok, i soldi mi permettono di non dover chiedere ai miei genitori e iniziare a gestire autonomamente le spese che voglio fare”. Ricordo che, insieme ad alcuni amici, abbiamo fatto viaggi in Svezia e a Budapest, mentre altri che non avevano lavorato prima non potevano permettersi queste esperienze».
Al ritorno in Italia, c’è un posto di lavoro che l’aspetta, nell’azienda di suo fratello. Ma Antonello capisce presto che non è ciò che vuole.
«Quando sono andato in Erasmus a Danzica, una città con 500.000-800.000 abitanti, è stato come se avessi guidato una Ferrari per sei mesi, per poi tornare a Sulmona, una città con solo 25.000 abitanti. Mi sembrava di essere passato da un’esperienza incredibile a una realtà molto più piccola e limitata. A quel punto mi sono chiesto: è davvero questa la vita che voglio? Continuare a lavorare nell’azienda di mio fratello, seguire le sue orme, oppure rimettermi in gioco e cercare nuove opportunità?».
Antonello decide di tornare in Polonia dove trova lavoro nel team di Customer Support di Google per 1200 euro al mese. È il 2014 e quei soldi sono tanti in un Paese con un costo della vita basso come la Polonia.
«Soprattutto in quel periodo, in Italia non c’erano molte opportunità lavorative. Ricordo che i miei amici dovevano fare stage non pagati a Milano, cercando di mantenersi da soli. Mia madre, invece, non capiva la mia scelta: “Hai già un lavoro a casa, perché stai facendo questa scelta? Sei pazzo! In Italia hai il posto fisso, a cinque minuti da casa, lavori con l’azienda di tuo fratello. Perché vuoi andare in Polonia?”».
E in effetti non è per motivazioni economiche che Antonello sta facendo questa scelta.
«Il problema era a livello di responsabilità. Nonostante avessi una laurea e avessi 24 anni, venivo ancora visto come quel bambino che non sapeva nulla. Mi veniva detto: “Segui quello che dico io, non mi interessa la tua opinione, devi fare solo quello che ti dico”. Così, decidere di avviare la mia carriera lontano da questi schemi familiari mi avrebbe dato la possibilità di partire da zero, mettendo in gioco solo la mia esperienza, quella che avevo accumulato fino a quel momento».
I primi cambiamenti
Antonello, in Polonia, continua a spendere tutto il suo stipendio in viaggi e in abbigliamento. Della prima voce di spesa non si è mai pentito, ma la seconda viene profondamente messa in discussione da un incontro che fa a Danzica.
«C’è stato un momento, quando ho incontrato la mia attuale moglie, che mi ha fatto riflettere. Dopo un po’ che uscivamo insieme, una volta sono andato a casa sua e, mentre stavamo parlando, ha aperto la scarpiera. Mi sono reso conto che aveva solo 4 o 5 paia di scarpe. Io, al contrario, ne avevo almeno dieci. E in quel momento ho avuto un piccolo ‘click’: mi sono chiesto se fossi io ad essere strano, o se fosse lei. Da lì ho iniziato a riflettere su un concetto che poi ho approfondito nel tempo: il minimalismo. Quindi, se ora venissi a casa mia, non troveresti tutte quelle scarpe che avevo dieci anni fa».
Antonello, fino ad allora, aveva sempre viaggiato pesante.
«Anche durante l’Erasmus, ricordo ancora che alcuni dei miei amici erano partiti con due valigie, mentre io ero arrivato con tre o quattro, più tutti i vestiti che avevo comprato prima di partire e anche durante il soggiorno. Mi rendevo conto che avevo accumulato più di quanto avessi effettivamente bisogno, ma in quel periodo non riuscivo a liberarmi di questa abitudine di comprare».
Grazie all’aiuto della sua compagna, scopre lentamente che si può vivere bene con molte meno cose e inizia a disfarsi del di più, dandolo spesso in beneficienza.
«È stato un periodo di grande cambiamento, soprattutto tra il 2016 e il 2017, quando io e mia moglie ci siamo trasferiti da Wroclaw a Cracovia e abbiamo iniziato a vivere insieme. In quel momento abbiamo dovuto fare una grande selezione e liberarci di tutto ciò che non ci sarebbe più servito in futuro. Questo è stato un punto di svolta importante per me, perché è stato allora che ho iniziato a riflettere davvero sul concetto di minimalismo. Ho cominciato a ridurre gli acquisti, preferendo qualità a quantità, cercando di possedere solo ciò che era veramente utile e significativo per la mia vita».
Il secondo cambiamento cruciale avviene quando a Cracovia Antonello riceve il primo aumento.
«Ricordo quel momento in cui il mio stipendio è aumentato e per la prima volta mi sono trovato a guardare il conto alla fine del mese e vedere che non era vicino allo zero, ma c’erano dei soldi in più. E mi sono chiesto: “Cosa faccio con questi soldi?”. Perché fino a quel momento ero abituato a risparmiare sempre per obiettivi a breve termine, ma ora che riuscivo a coprire quelle spese con il mio stipendio, mi trovavo con un surplus. E quindi mi sono chiesto: “cosa ci faccio?”».
Il momento della svolta
Questa domanda apre per Antonello una sorta di vaso di Pandora. Inizia a leggere tantissimi libri di crescita personale e a studiare i temi di educazione finanziaria.
«Mi sono avvicinato a questo mondo intorno ai 27-28 anni, e uno dei miei rimpianti più grandi è proprio questo: se potessi tornare indietro nel tempo e parlare con il mio Antonello di 18 anni, sicuramente gli consiglierei di leggere qualche libro su questi temi già prima di iniziare l’università. Penso che avrei potuto imparare molto prima ad avere una gestione più consapevole delle finanze, ad approcciarmi in modo diverso al denaro e a darmi una visione più chiara del futuro».
Cosa c’è di così trasformativo in questi studi di educazione finanziaria?
«Penso che la lezione più importante che tutti dovrebbero imparare sia quella che in inglese si chiama “pay yourself first”, ovvero “paga prima te stesso”. Applicare questa abitudine finanziaria risolve, secondo me, l’80% dei problemi delle persone che hanno difficoltà a gestire i propri soldi. Questo concetto dice che, appena ricevi lo stipendio, dovresti mettere da parte una parte di denaro per te stesso, prima di spendere su altre cose. In questo modo, eviti di trovarti alla fine del mese a chiederti: “Posso risparmiare o non posso risparmiare?”».
Antonello, intanto, fa carriera e il suo stipendio raggiunge i 4000 euro. Ma lui ha imparato un altra lezione importante che mette in pratica.
«Uno dei concetti fondamentali che ho imparato è quello di “Lifestyle Inflation”, che significa che, anche se guadagno di più, non devo necessariamente spendere di più. Mi fisso un budget mensile e, anche se dovessi guadagnare dieci volte tanto, cerco comunque di rimanere più o meno all’interno di quel budget».
Antonello non sente nessuna pressione a ostentare, attraverso lo stile di vita, il suo successo lavorativo.
«Vivere in Polonia mi ha fatto rendere conto di molte cose, come ad esempio il fatto che non ho una macchina. Ogni volta che torno in Italia, sento spesso la domanda: “Perché non ti compri una macchina? Ora guadagni bene”. Ma lo dico tranquillamente, a Cracovia non mi serve una macchina. Per ora, non abbiamo figli, quindi non vedo la necessità di possederla. Per quanto riguarda l’abbigliamento, sinceramente non ricordo di aver mai speso più di 200 euro per un paio di jeans. In realtà, spendevo molto di più per i vestiti quando avevo 17-18 anni, quando avevo meno soldi, rispetto ad adesso».
La gestione delle spese
Questo non significa però fare una vita di ristrettezze.
«Un altro concetto che ho imparato da un libro di Ramit Sethi riguarda il risparmio. Lui sostiene che, se risparmiamo troppo, rischiamo di rimandare troppo avanti la possibilità di goderci veramente i soldi. Secondo lui, per sentirsi ricchi, è importante identificare 3-4 categorie in cui ogni euro speso ti fa sentire soddisfatto, senza pentirtene. La mia prima categoria, ad esempio, sono i viaggi. Ogni euro che spendo per un viaggio, non me ne pento mai».
Ad oggi, Antonello gestisce così i suoi soldi:
«Ogni volta che ricevo lo stipendio, metto da parte ciò che mi serve per investire, utilizzo ciò che mi serve per la vita quotidiana e non lascio mai soldi liquidi inutilizzati. Il primo passo è stato imparare a risparmiare, il secondo passo è stato creare un fondo di emergenza, mettendo da parte tre o sei mesi di spese in un conto corrente separato, da utilizzare solo in caso di reale necessità. Una volta che questo fondo è stato messo al sicuro, ho cominciato a seguire i consigli di investire in ETF, immobili e altre opportunità, e così ho iniziato il mio primo piano d’accumulo con gli investimenti in ETF».
Per la prima volta nella vita, Antonello ha un obiettivo di lungo periodo a cui sta lavorando con i suoi soldi.
«Il mio obiettivo è raggiungere l’indipendenza finanziaria, ovvero poter andare in pensione o vivere senza preoccupazioni economiche, intorno ai 45-50 anni. Per me, l’indipendenza finanziaria non significa smettere di lavorare e trascorrere la giornata in spiaggia a sorseggiare cocktail, ma piuttosto avere la libertà di scegliere come impiegare il mio tempo. Ad esempio, se voglio andare in vacanza per tre settimane, posso farlo senza problemi. Se mi piace un progetto, posso lavorarci sopra; se non mi entusiasma, posso decidere di aspettare un’opportunità che rispecchi meglio i miei valori e le mie passioni».
Antonello ha un’idea piuttosto chiara di quanto gli serve per raggiungere l’indipendenza finanziaria.
«Intorno a un milione e duecentomila euro, un milione e mezzo più o meno».
E sa anche cosa farà una volta raggiunta quella cifra.
«Un altro obiettivo che ho è legato ai viaggi: mi piacerebbe prendere un anno sabbatico per girare il mondo, con un tipo di viaggio più lento, il cosiddetto “slow travel”. Non si tratterebbe di brevi vacanze di una settimana, ma di viaggi che potrebbero durare dai 3 ai 12 mesi. Inoltre, mi piacerebbe lavorare in modo più flessibile, dedicandomi a progetti di durata variabile, dove, dopo aver completato un progetto di 6-12 mesi, posso prendermi una pausa di 3-4 settimane per ricaricarmi prima di lanciarmi in una nuova sfida».
«Su LinkedIn c’è un concetto chiamato “lavoro frazionale”, dove non si ha un impiego full-time a tempo indeterminato, ma si lavora su specifici progetti per determinate aziende. Questo approccio è più facile da perseguire quando si ha una certa liquidità che permette di dormire tranquilli, piuttosto che essere costretti a prendere ogni progetto per paura di non riuscire a coprire le spese mensili».