La mancanza di soldi mi costringeva dentro un eterno presente
Daniele Dani ha 45 anni e vive a Londra, dove è emigrato due volte. La prima a 30 anni, con svariate migliaia di euro nel conto in banca, accumulate con un primo lavoro ben retribuito ma che ha lasciato inseguendo il sogno di entrare nella finanza. La seconda a 37 anni, con soli mille euro in tasca e l’obiettivo di ricominciare. In mezzo, c’è l’improvvisa malattia e morte di suo padre che lo spinge a tornare a Bari per occuparsi dell’azienda di famiglia.
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“Per me è più facile parlare di soldi quando sono con i miei simili, quelli che hanno vissuto esperienze tipo la mia. Cioè andarsene dall’Italia e ricreare una vita all’estero. E i miei simili li ho trovati qui a Londra: di tutti i miei amici so quanto guadagnano. In Italia invece nessuno ne parla. E anche stasera, con te, ho dovuto fare uno sforzo per rompere il tabù e accettare di parlare di soldi ‘con gli italiani’. Non è stato facile”.
No, non è facile per nessuno. Approfitto dunque di queste parole di Daniele per ringraziare tutti coloro che da oltre un anno ci affidano confessioni sui soldi che, talvolta, non hanno ancora fatto neppure a loro stessi.
La scoperta della solidarietà
Daniele Dani è nato a Bari 45 anni fa. Londra non solo gli insegna a parlare liberamente di soldi, ma anche a ricevere e dare aiuto.
«Quando sono venuto a Londra, ero nella mia terza fase della vita lavorativa. Qua ho avuto sostegno, non richiesto ma necessario, fra l’altro da stranieri, non da italiani. E e ho dato a mia volta supporto finanziario a chi pensavo ne sentisse necessità e l’hanno ricevuto senza tanti salamelecchi».
A Londra ci arriva 37enne, con 1000 euro in tasca, l’indirizzo dell’ostello in cui era stato 6 anni prima e una vita da reinventare.
«Quando cominci a fare i primi lavori e ti accorgi che i primi salari arrivano dopo gli affitti da pagare, finisci con l’acqua alla gola e cominci a entrare nel panico. E lì una collega arrivata a Londra dalla Cornovaglia, mi ha detto di non preoccuparmi e che i soldi per pagare l’affitto me li prestava lei. Io glieli avrei ridati appena possibile. E la stessa cosa mi è capitata a parti inverse un anno dopo con un italiano, un mio amico. Stiamo parlando proprio della banalità del pagare i bisogni primari».
“Questa era la solidarietà che non mi aspettavo di trovare. E non mi aspettavo di essere così umile da accettare soldi in prestito senza sovrastrutture mentali”.
Per capire la storia di Daniele dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, alle precedenti vite professionali.
Il sogno di lavorare in finanza
Daniele si laurea alla facoltà di Economia e commercio con una tesi in matematica che gli permette di accedere a un master prestigioso, dopo il quale ottiene un posto a tempo indeterminato in un grosso istituto finanziario a Milano. In quel momento, i soldi per lui non sono un problema.
«I soldi non esistono per me. Non so neanche quanto ho in banca perché va tutto alla grande. Quello che mi mancava, però era la soddisfazione professionale: avevo accettato il primo lavoro, erano arrivati più soldi rispetto alle mie esigenze. Però non era quello che volevo veramente fare. Mi sentivo già incatenato in un cliché che non era il mio».
Daniele sogna di lavorare nel mondo della finanza e dei mercati finanziari, interesse maturato durante gli anni accademici. Ma è stato assunto nell’ufficio ricerca e sviluppo di Borsa Italiana.
«È come per un giocatore di poker finire a fare il croupier. Io volevo giocare a poker, volevo lavorare sui mercati, volevo fare il trader. Non volevo fare il gestore del mercato finanziario di per sé».
Così Daniele, dopo un paio di anni, prima ancora di aver trovato un nuovo lavoro, dà le dimissioni per dedicare a quella ricerca le giuste energie. E lo fa mettendo tutti, la sua famiglia e la fidanzata di allora, davanti al fatto compiuto: «Se ascolti troppo pareri sei bloccato negli schemi mentali di altri, non riesci a inseguire i tuoi desideri».
Daniele manda curriculum soprattutto all’estero ma capisce che serve un ottimo inglese per ambire a quei posti.
«E allora che faccio? Parto! Non ho problemi di soldi e posso permettermi diversi mesi qui a Londra la vita dello studente a mie spese. Frequento corsi di inglese e a chi mi chiede cosa faccio a Londra, rispondo: “Studio!”. Non era un problema mantenermi, ce li avevo i soldi, almeno li usavo per quello. Non avevo paura di non sopravvivere»
“Avevo varie decine di migliaia di euro nel conto e nessun vizio. Non ho avuto nessuna remora perché volevo seguire le mie ambizioni. I soldi li usavo per quello. Comprare casa, per dirne una, non era tra le mie ambizioni”.
Daniele era partito per Londra a novembre. A febbraio ritorna per qualche settimana in Italia per stare con i suoi e farsi coccolare, ma ad aspettarlo trova una realtà molto amara da accettare.
«Mio padre tossiva sangue. E da allora è stato un rotolare di eventi: abbiamo scoperto che aveva un tumore alla fase terminale e nel giro di pochi mesi, a giugno, è mancato. Da febbraio a giugno non avevo più me stesso come obiettivo, ma quello di stare vicino vicino a mio padre, vicino ai miei. Sentivo la necessità di continuare a dare un senso al progetto di mio padre. Di far parte di quel suo progetto, ma era il suo progetto, non il mio».
Il progetto di suo padre
Il padre di Daniele, assieme ai due figli maggiori, portava avanti un’azienda di costruzioni a conduzione familiare. A Daniele non era mai interessata quell’attività, ma sente il dovere morale di mettere da parte le sue ambizioni e di continuare l’azienda di famiglia
«E lì scopro che i soldi esistono. Scopro che i soldi servono. E tutti i miei risparmi vanno là. Però non è un problema perché sentivo che era giusto fare così. Non era quello che volevo fare, ma era quello che era giusto fare in quel momento».
Daniele prende in mano una situazione non proprio florida, la gestione dell’azienda fino ad allora era stata piuttosto confusa e poco lungimirante. Ma per quanto si impegnasse a far andar bene le cose, non riusciva mai a recuperare gli errori commessi in passato.
“Vedevo tanti soldi semplicemente passare. Non rimaneva niente sul mio conto, perché servivano a pagare le tasse, i debiti con i fornitori, gli stipendi degli operai. Non servivano mai a pagare lo stipendio a me. E all’inizio non era neanche un problema perché investivo nel progetto di mio padre. Dovevo salvare la sua azienda, dovevo recuperare il tempo perduto, quello che non avevo lavorato là, ma non bastava mai. Nel frattempo il mio tempo andava avanti, e i miei soldi erano sempre di meno”.
Per ridurre le spese Daniele vive a casa di sua madre, con vitto e alloggio garantito. E riduce al minimo i suoi bisogni.
«La vacanza? Magari anche no. La macchina? Prendiamo quella più piccola. La cena fuori? Meglio di no. Avevo tutta una serie di micro pensieri che impattavano anche sulle relazioni affettive. Col senno di poi posso dire che diverse relazioni sono state rovinate dal mio vivere col freno a mano tirato perché i soldi non c’erano. E non potendone parlare a causa del tabù dei soldi, la gente non non aveva modo di capire perché mi comportassi così. Nella migliore delle ipotesi, mi dava del tirchio».
Il limite di vivere nell’eterno presente
Daniele a quel tempo ha una fidanzata. Ma non riesce a dare a lei e a se stesso una visione di futuro. «Quando vivi semplicemente nel presente, quando non dai alcuna rassicurazione, deteriori il rapporto, lo rendi più amaro, più acido. E per quanto tu ci metta la buona volontà, sei sempre più ossessionato dai soldi che mancano e sempre meno presente nella relazione. Ma anche se lavori fino a tardi o se lavori nei weekend o se fai orari assurdi: ti privi di tutte le energie che servono per coltivare il resto della tua vita».
“Più passa il tempo, più il tempo genererà dei costi. E sta a noi trovare il modo di generare nuovi ricavi. C’è bisogno di programmare, di vedersi da lì a tre-cinque anni, di capire cosa si vuole essere. Ma se non hai una base solida finanziaria non puoi fare niente di tutto questo. Sei immobilizzato nel continuo presente, nel combattere la quotidianità. Ed è quello che io vivevo a Bari”.
«Ecco, quando mi sono ritrovato in quel tipo di vita, ho tagliato la relazione, ho tagliato il lavoro, ho tagliato tutto e ho ricominciato. E mi piaceva l’idea di ricominciare dal progetto di espansione a livello comunicativo che avevo avviato con la lingua franca del mondo».
Ricominciare da capo, a 37 anni
E così Daniele torna a Londra. Ma questa non è la favola in cui, a 37 anni, riprende il filo dei suoi sogni da dove li aveva interrotti sei anni prima. Niente mercati finanziari, insomma: «In quel settore o entri quando hai l’età giusta oppure è molto difficile entrarci da più maturo».
Eccoci dunque tornati all’inizio della nostra storia, con Daniele che arriva a Londra con 1000 euro in tasca, i bisogni di un quasi quarantenne e tutti i suoi risparmi investiti senza ritorno nell’azienda di famiglia. Il suo obiettivo è lo stesso di sei anni prima: imparare perfettamente l’inglese. Ha l’opportunità di lavorare in un college, ma preferisce il contesto di un pub, con colleghi inglesi o scozzesi o gallesi e avventori madrelingua. Dopo una laurea, un master, una prima vita in Banca Italiana, una seconda da imprenditore, gli chiedo se avesse addosso un senso di fallimento mentre serviva ai tavoli del pub.
“No, a Bari mi sentivo un fallito, sotto tutti gli aspetti: finanziari, professionali e sentimentali. Quando ero nel pub a lavorare mi pesava parecchio fisicamente. Però non era un senso di fallimento che mi pervadeva. Avevo un senso di frustrazione perché non riuscivo ancora a capirli”.
«Contrariamente al lavoro, al lavoro di prima, dove magari fatturavo 5mila euro, ma ne avevo 7mila da pagare a un fornitore, e non rimaneva mai nulla per me, a Londra sono tornato all’algebra elementare: guadagno 650£, ne devo pagare 150 di affitto… e via così».
Quando finalmente Daniele capisce ciò che dicono gli inglesi al pub durante il loro ultimo giro di birre della serata, si sente pronto a sostenere i primi colloqui. Ottiene un primo lavoro coerente con i suoi studi. E da lì un’assuzione via l’altra fino al ruolo di oggi, a capo di un dipartimento in una multinazionale nel settore immobiliare.
«Neanche sapevo esistesse questo lavoro quando sono arrivato a Londra. In un certo senso ho combinato la mia esperienza nel settore edilizio con una serie di nozioni che ho imparato quando andavo all’università e al master. E quindi, in un certo senso, è la congiunzione di due mondi diversi, però è quanto di più vicino al mio background accademico e formativo potessi immaginare».
A Londra Daniele ha incontrato un nuovo amore. Una donna, oggi divenuta sua moglie, che appartiene a quella categoria di “simili”, di cui ci diceva all’inizio. Persone, insomma, che parlano la stessa lingua emotiva.
“A Londra con mia moglie ho trovato un amore con cui condivido tutti gli aspetti della mia vita, compreso soprattutto quello finanziario, cosa che invece prima non facevo. Stiamo crescendo insieme, facciamo progetti sulla base di quello che mettiamo insieme. La tensione tra il mio essere sempre un po’ condizionato a risparmiare e la sua propensione a vivere la vita è un giusto scontro. Ci vogliono due tensioni contrapposte per trovare l’equilibrio!”.