La mia infanzia povera e arrabbiata

Quando aveva 16 anni, Eleonora C. Caruso ha lasciato la scuola per andare a lavorare in fabbrica. Credeva che la povertà della sua famiglia avesse già definito chi lei fosse e cosa potesse permettersi di sognare. Oggi ha 36 anni e ha già pubblicato tre romanzi, due dei quali con Mondadori.

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Eleonora C. Caruso

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«Sono una scrittrice, mi sono sempre fatta un vanto di non aver mai avuto freni nel trattare alcun argomento, non mi sono mai posta neppure il classico problema “cosa penserà la mia famiglia se scrivo questa cosa?”. C’è però un argomento di cui ho sempre avuto pudore. E quell’argomento sono i soldi».

Eleonora C. Caruso è nata nel 1986 da due genitori appena diciottenni in un paese in provincia di Novara. Sua madre aveva iniziato a lavorare in fabbrica a 12 anni senza neppure terminare le medie, così come suo padre. Entrambi non avevano genitori alle spalle che potessero aiutarli. E faticavano a crescere Eleonora e sua sorella, nata poco dopo, con due stipendi da operai.

“Non ho memoria di un giorno della mia vita in cui non mi sia preoccupata dei soldi. È normale che in una famiglia si debbano ridimensionare i desideri e i capricci dei bimbi. Però da parte dei miei genitori la cosa è sempre stata molto soffocante. Sono stata bombardata dal concetto che ci sono tutta una serie di cose che ti devi levare dalla testa perché non sono per noi”.

Non si tratta solo di ciò che non possono comprare, delle vacanze che non possono fare, quanto del futuro che non possono sognare, delle ambizioni che non possono coltivare: «Il fatto che non avessimo soldi era un giudizio calato dall’alto sul mio valore e in qualche modo aveva già definito chi io fossi e cosa dovessi fare».

Eleonora è un bambina iperdotata, anche se per lungo tempo non ne ha consapevolezza. Il suo sistema cognitivo, però, fatica ad adattarsi al percorso scolastico. In quegli anni, qualsiasi difficoltà nello studio, anche totalmente fisiologica, si traduce in un aut aut: “Non hai voglia di studiare? Allora vai a lavorare che è anche meglio, così contribuisci all’economia della casa”, le dicevano i genitori. «Per me c’era sempre il baratro della povertà che si apriva a ogni passo».

Dopo le scuole medie, Eleonora frequenta un anno in un istituto tecnico, indirizzo lontanissimo da lei, e un anno in un liceo classico che invece le piace molto. Ma il suo modo di ragionare non è allineato, e questo la fa sentire molto stupida. Così smette di studiare volontariamente a 16 anni.

«Quando ho detto ai miei genitori che non ero più motivata a studiare, non sono stata messa nelle condizioni di prendermi il tempo, di rifletterci un attimo, di cercare di capire se era quello che volevo».

“Se io avessi voluto continuare a studiare avrei potuto farlo. Ma era una falsa possibilità perché vivevo dentro una cultura che non mi invogliava a farlo, tant’è che anche mia sorella ha lasciato la scuola alle superiori e non può essere una coincidenza”.

Due mesi dopo l’abbandono della scuola, il papà di Eleonora la porta in fabbrica. Inizia così una stagione della sua vita che è come una nebulosa. Piega magliette e stampa biro per una fabbrica di gadget. Fa telefonate in un call center. Ma oggi fatica a riordinare i mestieri che ha svolto in una linea del tempo.

«Tutto il mio lo mettevo per scrivere perché pensavo che quella fosse la mia sola alternativa, mi dicevo: “Se ce la faccio mi tiro fuori, altrimenti resto qui per sempre”».

“Il mio primissimo stipendio da operaia l’ho investito in un computer portatile per scrivere. Me lo ricordo ancora: l’avevo pagato 900 euro. Ce l’ho ancora nonostante sia inutilizzabile, ma non riesco a buttarlo: è il computer su cui ho scritto tutti miei romanzi, non riesco a separarmi”.

Quando Eleonora inizia a scrivere, sono gli albori di Internet. In quella rete libera e senza padroni, incontra le prime persone con cui parlare di manga, la sua passione, e i primi lettori con cui condividere le sue storie. Nel frattempo continua a lavorare come operaia. Si sveglia alle 5:30, scrive, poi va a lavorare alle 8. Al ritorno dorme mezzora e si rimette a scrivere finché riesce a stare sveglia.

In quegli anni, scopre l’esistenza di una famosa scuola di scrittura, la scuola Holden, che vuole assolutamente frequentare. Ma quando prova a esprimere il desiderio ai suoi genitori, loro reagiscono alla sua richiesta quasi fosse un’offesa.

«Lì ebbi la percezione netta che se avessimo avuto i soldi, avrei potuto fare questa cosa bellissima che corrispondeva alle mie aspirazioni e che prometteva di essere un rimedio a quel percorso scolastico accidentato e brutto che avevo avuto. Il fatto che non fosse neanche un punto di discussione possibile, è stato difficile per me. Perché mi sono accorta che c’erano semplicemente delle cose che io non potevo fare».

Le chiedo perché non abbia pensato di pagarsela da sola, con i risparmi del suo lavoro di operaia. «Penso che questa domanda nasca dall’avere difficoltà a capire cosa significa non avere soldi davvero», mi dice. «Risparmiare è difficile. Io dovevo andare a lavorare nella città vicina e mi pagavo l’abbonamento dell’autobus. Quindi lo stipendio di 900 euro diventava di 600. Altri 200 li davo in casa. D’altra parte, le spese che avrei dovuto affrontare per quella scuola erano enormi».

Eleonora continua a scrivere nonostante tutte le frustrazioni. Ciò che tiene accesa la sua fiamma è il privilegio di avere lettori online. Scrive storie a puntate, un capitolo o due alla settimana, impara qual è il momento di maggior tensione, come tenere attaccato il lettore. A 26 anni pubblica il suo primo romanzo e la sua è una scrittura già matura.

“Quando ho ricevuto il mio primo assegno per il mio primo romanzo, un cifra ridicola, è stata una soddisfazione enorme, è stata la prova che quello che avevo fatto non era stato inutile. Anche questa cosa è un po’ triste se ci pensi. La prima volta in cui ho sentito che quello che facevo aveva un valore è stata quando mi hanno pagata per farla”.

«Il mio rapporto con i soldi forse si è complicato ulteriormente, perché ho cominciato a pensare che se non guadagnavo abbastanza voleva dire che quello che producevo non era abbastanza bello e interessante. Ti raccontano sempre la storia idealizzata della scrittrice che poi guadagna un sacco di soldi invece non ti raccontano mai quanto è brutto legare il tuo valore come persona e come scrittrice ai soldi che guadagni, soprattutto in un settore in cui di soldi ce ne sono pochissimi».

Per una J.K. Rowling che si arricchisce, ci sono centinaia di autori che guadagnano ben al di sotto della soglia di sopravvivenza. Il mondo dei libri privilegia chi non ha l’urgenza di viverci.

«Ci sono persone che possono continuare a scrivere serenamente perché hanno una condizione di partenza che permette loro di non dover per forza realizzare tutto e subito, possono prendersi il loro tempo, farsi un nome, fare tutte quelle cose che richiede il settore per diventare rilevanti. E ci sono quelli a cui tocca abbassare la testa e tornare da dove erano venuti. Quello è stato il mio caso purtroppo, non potendomi mantenere con la scrittura, ho ricominciato a lavorare, mi sono detta che avevo avuto la mia occasione ma non era andata come speravo. Poi in realtà ho continuato a scrivere, ci ho provato di nuovo e continuo a provarci ogni singola volta».

Eleonora non si arricchisce con i libri, come lasciava sperare Sex & the city, però nel momento in cui pubblica il suo primo romanzo fa uno switch: entra in un mondo che le è più congeniale, che la rispecchia. Il mondo della comunicazione. È una scrittrice, giornalista e copywriter migliore di quanto non sia stata come operaia. Trova finalmente lo stimolo per finire le superiori, e così a 26 anni si diploma a una scuola serale e a 27 va a vivere da sola.

“Uscire di casa e pagare l’affitto non significa più necessariamente essere indipendente. Io ho sempre pagato quello che potevo pagare io. Ma ogni volta che c’era una minima urgenza avevo bisogno dei miei perché non potevo farvi fronte”.

L’indipendenza arriva pochi anni fa quando Eleonora trova il suo attuale lavoro. Si occupa di comunicazione per un’associazione no profit. È un lavoro appagante a cui corrisponde uno stipendio dignitoso, oltre a una grande flessibilità di orari che le permette di scrivere. Questa stabilità è stata rivelatoria. Per la prima volta il suo rapporto complesso con i soldi viene a galla.

«Sapere quanto mi arriva alla fine del mese, cosa posso farci, quanto posso risparmiare, spendere, investire in un fondo pensione, sono tutte cose che mi danno la serenità per pensare. È come quando esci da una relazione d’amore tossica, quand’è che cominci a rifletterci su? Quando entri in una relazione sana e capisci che la relazione di prima non andava bene».

Grazie a questo nuovo lavoro, Eleonora scopre finalmente l’inganno in cui è caduta fin da giovanissima e in cui è ancora immersa.

“Ho a che fare con il tema dei soldi costantemente, e con persone che avendo studiato economia o venendo da un mondo in cui i soldi sono un argomento come un altro e soprattutto sono una misurazione, mi sono accorta di quanto non andasse bene che per me i soldi fossero un’unità con cui misuravo il mio valore”.

È in questo periodo che Eleonora inizia un percorso di terapia e di scoperte. «Ho scoperto che ho passato tutta la mia vita a non guardare il conto in banca perché era un’esperienza carica di ansia, che mi dava problemi fisici, principi di attacco di panico».

Si accorge che anche le relazioni personali erano condizionate dall’aspetto economico: «Molto spesso i litigi con mio marito o le maggiori tensioni con i miei genitori nascevano dal nervosismo che mi provocava il discorso dei soldi».

Durante il percorso di terapia, Eleonora realizza di non aver mai attinto alla sua esperienza finanziaria per i libri che ha scritto.

«Ho cannibalizzato tutto il resto. Ho preso pezzi della mia vita e li ho trasmutati in qualcos’altro, ma non mi sono mai sentita a mio agio a parlare di soldi perché non avevo mai maturato dentro di me che quella relazione era un punto di dolore. Trovandomi a modellare un personaggio, ho scelto di eliminare questo problema dalla sua vita perché io non potevo eliminarlo dalla mia, volevo fargli questo regalo che i miei non hanno fatto a me: non doversi preoccupare dei soldi».

Eleonora oggi, grazie alla terapia, riesce a guardare il suo conto in banca, ad affrontare momenti in cui ha meno soldi senza viverla come una condanna. E nel libro che sta scrivendo anche questo pezzo della sua vita sta avendo spazio. Sta modellando un personaggio che non solo si confronta con i soldi ma ne è ossessionato.

«Lui indugia troppo in questo pensiero, lo vive come una giustificazione dei suoi fallimenti personali: “Se avessi avuto altre possibilità avrei fatto cose grandiose”, pensa. Anche se non abbiamo lo stesso background, ho cercato di trasmettere questa rabbia insana rispetto alla condizione economica».

“Io sono convinta che se avessimo un rapporto migliore con l’educazione economica, meno paternalista, meno secretata, se non ci fosse questo gigantesco tabù vivremmo tutti, anche chi ha meno soldi, con più serenità”.

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