La mia piccola battaglia quotidiana per essere pagata il giusto

Fabiana Andreani ha 41 anni, vive a Milano e con il nickname di @fabianamanager parla di curriculum e opportunità lavorative su Instagram e Tik Tok. Figlia di due artigiani, Fabiana cresce in una cittadina di 5000 abitanti in provincia di Perugia. Dopo un dottorato di ricerca a Napoli e numerosi viaggi di studio in Giappone, si trasferisce per amore a Milano, dove trova lavoro nel mondo editoriale. Ed è lì che, per la prima volta, si accorge di quanto sia importante essere pagata il giusto e vedere una correlazione tra il proprio impegno e la ricompensa economica.

Tempo di lettura: 9 minuti

Fabiana Andreani

Ascolta il podcast della puntata:

Come donna devi sempre dimostrare il doppio, devi essere sempre sul pezzo. Anch’io che faccio video: i miei video devono essere in qualche modo brillanti, spigliati. Devo essere anche gradevole alla vista, devo avere l’incarnato che sia uniforme, i capelli che siano fatti. Come donna non devo avere delle sbavature perché se no iniziano subito a dirti qualcosa di male e gli insulti cadono sempre sul lato fisico”.

Fabiana Andreani ha 41 anni, vive a Milano ed è una Content Creator con il nickname di Fabiana Manager; parla di curriculum e opportunità lavorative su Instagram e Tik Tok. E il prezzo per essere una donna lo paga tutti i giorni.

«Mi ricordo una critica che mi arrivò su LinkedIn di una persona che mi ha detto “Chi ti credi di essere, non sei la Canalis, nessuno si girerebbe mai a guardarti”. Io gli ho risposto che a me non interessava essere la Canalis, perché le persone si devono girare per le mie idee, non per il mio fisico».

Il valore del denaro

Figlia di due artigiani, Fabiana cresce in una cittadina di 5000 abitanti in provincia di Perugia. Per lungo tempo, fatica ad associare ai soldi un valore.

«Il primo ricordo che ho legato ai soldi era quando a cinque, sei anni, per il compleanno mi davano dei solidi. Non mi piaceva che mi dessero dei soldi perché io non ne avvertivo il valore, io volevo la cosa materiale».

Le disponibilità economiche dei suoi genitori sono piuttosto esigue, nonostante ciò Fabiana viene cresciuta con il mantra di seguire le sue passioni. Purché queste passioni la rendano indipendente.

«Sono stata figlia unica, ammesso da mia mamma, per scelta; perché mia madre amava anche lavorare quindi ha detto che più di un figlio non riusciva a gestirlo. Mia madre mi ha sempre insegnato una cosa, ovvero l’importanza per la donna di essere autonoma economicamente. Mia madre mi ha sempre detto “Le donne devono lavorare, non devi stare a casa a far nulla”».

Fabiana onora la libertà che le viene data. E nello scegliere l’università da frequentare, lascia campo libero all’immaginazione.

«Scelsi comunicazione internazionale. All’interno del corso di studio bisognava scegliere la terza lingua e io scelsi quella più strana in assoluto, il giapponese. Ma non perché avessi una passione per i manga o per l’anime, no. Io volevo studiare qualcosa di strano e di lontano. E questo è stato ciò che mi ha portato fuori e ha guarito le mie paure».

Dopo tre anni di studi a Perugia, vince il dottorato all’Orientale di Napoli e per la prima volta, a 25 anni, percepisce un reddito che le permette di essere autonoma dai genitori.

«La borsa di dottorato all’epoca era 1.000€ al mese che per me sembrava veramente tantissimo. E in effetti a Napoli con quella cifra riuscivi anche a mettere qualche soldino da parte».

Grazie alle sue ricerche, Fabiana riceve diverse borse di studio che la portano spesso in Giappone. Ma non è quello il luogo dove vuole vivere.

«In realtà a quel punto della mia vita ho conosciuto una persona che viveva a Milano, che poi ho anche sposato. Quindi ho detto: “Voglio venire a vivere con te a Milano”. E questa persona, molto oculatamente per l’epoca, mi ha risposto: “Tu vieni a vivere a Milano solo se trovi un lavoro”».

L’importanza della negoziazione

E così Fabiana lascia Napoli, il Giappone e il mondo della ricerca per andare a Milano, a lavorare in una grande azienda editoriale nel campo della didattica. Ed è lì che per la prima volta, nella sua vita, si accorge di quanto sia importante essere pagata il giusto.

«In realtà, avevo un buono stipendio per essere un primo impiego: 27mila euro lordi, nel 2011. Al secondo impiego non ho negoziato lo stipendio, perché avevo bisogno di lavorare. Dopo ho iniziato a negoziare e ho imparato la famosa regola per la quale le persone delle risorse umane ti chiamano al telefono, ti prendono in contropiede, ti fanno l’offerta e tu gli devi rispondere: “Si, ma io mi aspettavo qualcosa in più”. Non muoiono di fame se chiedi un 2 o 3% in più: se l’aspettano. Si chiama negoziazione».

Eppure questo genere di conversazioni, perlomeno in Italia, sono estremamente faticose. Le chiedo se in Giappone ha notato qualche differenza.

“In Giappone i soldi non devono essere mai mostrati, ma devono essere messi in una busta. Anche lì c’è questo tabù: la mancia è offensiva nei confronti del cameriere, però nel mondo del lavoro, sai già quale range di stipendio ti offre ogni azienda, perché la carriera è basata sull’anzianità o comunque sui titoli di studio e sull’università che hai frequentato”.

Man mano che passano gli anni, Fabiana capisce qualcosa di sé che non le era stata chiara fin da subito. E cioè che “funziona” meglio se vede una connessione tra i risultati che ottiene e quanto guadagna.

«L’aumento di stipendio era diventato qualcosa di basilare. Essenzialmente ero brava a fare il mio lavoro e portavo dei risultati; però il fatto di portare dei risultati e non avere nulla in cambio non mi andava più bene. Quindi è diventato un imperativo categorico trovare un lavoro che mi pagasse di più».

Quando finalmente trova un’azienda che le garantisce uno stipendio adeguato alle sue competenze, un altro evento sconvolge la sua vita: la maternità.

«È un evento bello ma è devastante per una donna perché perdi tutti i punti di riferimento. Io con il lavoro ero molto brava a gestire gli imprevisti, ma per me la maternità è stata un’angoscia. Soprattutto perché le persone ti giudicavano in base a quanto facevi per tuo figlio. Questa è una cosa che a me non è mai andata giù. Io ho studiato, mi sono impegnata e ho costruito la mia vita per sentirmi poi giudicare in base a quanto dò a mio figlio? Io esisto oltre a mio figlio. E ci tengo sempre a ribadirlo».

Il momento del cambiamento

Proprio durante la maternità Fabiana prova a ricavare uno spazio per sé: un canale Tik Tok in cui parlare di carriera e orientamento professionale.

«Quella è stata una sorta di pausa da tutti i doveri, la maternità, il nuovo lavoro… e che mi consentiva di avere una cartina di tornasole sulla validità delle mie idee. Per la prima volta vedevo persone che ascoltavano quello che dicevo e con la modalità che mi veniva più congeniale, ovvero quella dei video, che erano un pochino più scherzosi però avevano un contenuto. E da lì ho visto crescere questo canale, che poi è diventato anche Instagram, e la possibilità di creare un nuovo lavoro perché mi contattavano per fare eventi, contenuti sponsorizzati e mi pagavano anche abbastanza bene».

E così Fabiana apre la partita Iva e lascia il posto fisso.

“Ho capito che preferivo lavorare su tanti progetti diversi invece che su uno solo, che, per carità, è rassicurante, e finisce. Però io avevo l’idea, e ce l’ho ancora, di essere l’artefice della mia ricchezza. Ho sempre creduto nella forza di quelle che potevano essere le mie braccia. Quindi essenzialmente ho questa fiducia sul fatto che posso muovere in qualche modo il mio destino producendo un reddito”.

Con la partita Iva cambia il suo modo di gestire il denaro

«La partita IVA è un modo di vedere i soldi totalmente diverso. È chiaro che ti arrivano tanti soldi e che a un certo punto vedi il tuo conto corrente molto ricco. In realtà non sono tuoi. Quindi, il trucco che ho in questo momento è che io nel mio conto corrente divido il capitale, e una parte la metto in un altro, destinato all’Erario. Perchè se no io ho la tentazione ogni tanto di comprarmi borse o andare a fare acquisti pazzi».

A far cambiare la sua relazione con i soldi interviene un’altra vicenda personale: la separazione con suo marito.

«La mia condizione di cambio professionale ha fatto incrinare anche la coppia quindi attualmente io e mio marito non stiamo più insieme. Lui non ha mai approvato le mie scelte professionali, e su questo non faccio giudizi personali, ma avevamo vedute molto diverse sulla maternità».

E così Fabiana, nel momento in cui rischia di più a livello professionale, si ritrova caricata di una nuova responsabilità.

«Sono io l’uomo che porta i soldi a casa quindi tutto dipende da me. Come dico sempre “Mio figlio non mi mantiene”, quindi io devo lavorare, devo guadagnare e mettere soldi da parte. Non voglio sentirmi in difficoltà, e se devo fare delle spese anche improvvise, le devo fare senza avere quell’angoscia di spendere dei soldi».

La consapevolezza del valore del suo lavoro a quel punto diventa una piccola battaglia quotidiana.

L’importanza della trasparenza retributiva

Le giovani generazioni, quelle a cui Fabiana parla con i suoi canali social, sembrano avere meno difficoltà a parlare di soldi e a far valere le loro istanze economiche.

“Dò un suggerimento a tutte le aziende che vogliono attrarre la Generazione Z: fate della comunicazione in cui dite quanto pagate le persone e vedrete come le persone verranno a voi”.

«Tendenzialmente l’argomento dei soldi è ancora tanto tabù: ultimamente ho fatto una campagna con un’azienda, era un’offerta molto buona come RAL, però loro non l’hanno voluta comunicare pubblicamente perché dicevano che avevano paura che le persone andassero solo per la RAL, e non per la motivazione al lavoro».

Per i più giovani, la trasparenza sulla paga è importante sì, ma alla pari con altri fattori che le generazioni precedenti non si prendevano il lusso di mettere sul piatto della bilancia.

«Il valore del lavoro attualmente è diventato qualcosa che deve essere in qualche modo coordinato con altre dimensioni della vita. Ci sono tante persone che, per esempio, in ambiti di lavoro altamente stressanti lasciano pur non avendo nessun’altra opportunità perché non vale la pena guadagnare quei 5mila euro in più lordi l’anno per avere uno stile di vita che non è più confacente con quelli che sono i miei ritmi».

Anche per Fabiana il lavoro ha cambiato significato nel corso del tempo.

«Mi ricordo che all’inizio vedevo il lavoro come specchio della mia validità come persona. Oggi so che non è che il lavoro o quanto produco a dire che sono una persona valida».

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