Lo Smart working ci fa davvero risparmiare?
La promessa di risparmi del lavoro da casa si realizza solo nel lungo periodo: nei primi 12-18 mesi i costi per attrezzature e bollette pareggiano i risparmi su trasporti e pranzi, e i dipendenti si trovano a fare i conti con una redistribuzione delle spese più che con una vera riduzione.
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Il rito quotidiano del caffè al bar, la socialità forzata della pausa pranzo, il tempo sospeso del pendolarismo: tutto quello che sembrava un costo inevitabile della vita d’ufficio si è dissolto nell’era post-pandemica del lavoro da casa, promettendo una rivoluzione non solo nelle abitudini lavorative, ma anche nell’economia domestica della classe media impiegatizia. Lo smart working si è presentato come la quintessenza dell’efficienza economica contemporanea: produrre di più, spendere di meno, vivere meglio. Ma a tre anni dall’inizio di questa nuova tendenza, i conti di questa “nuova normalità” non tornano. Se le aziende hanno scoperto nel lavoro agile una leva di ottimizzazione dei costi fissi, l’economia delle famiglie si trova a fare i conti con una redistribuzione delle spese più che con una loro effettiva riduzione. Il pendolarismo è scomparso dal bilancio familiare insieme alle colazioni al bar e ai pranzi in mensa, ma nuove voci di spesa si sono infiltrate nel tessuto economico domestico: bollette che riflettono una casa perennemente abitata, infrastrutture tecnologiche da mantenere, spazi da riconvertire in uffici funzionali.
I costi in bolletta
L’impatto più immediato e consistente per un lavoratore da remoto è sulle bollette domestiche. Come evidenzia un’indagine condotta su oltre 3.500 lavoratori remoti in tutto il mondo da Buffer, società di software americana specializzata in strumenti per social media, l’80% dei lavoratori da remoto nel mondo paga di tasca propria la connessione internet, spesso dovendo potenziare gli abbonamenti esistenti per garantire una banda sufficiente alle videoconferenze. Inoltre, secondo gli ultimi dati di Arera nel quarto trimestre del 2024, le spese per le utilities domestiche si confermano al di sopra della media pre pandemica e questo pesa ancora di più in bolletta se si considera che illuminazione, riscaldamento e climatizzazione vengono utilizzati intensivamente per 8-10 ore al giorno in più rispetto al passato. Secondo quanto calcolato da Altroconsumo, una famiglia con due persone in smartworking consumerà circa il 23% di elettricità in più ogni anno, con un aumento di circa 300 euro. Se la famiglia è composta da tre persone (quindi due lavoratori e un figlio) si calcola un aumento del 19% dei consumi annui, corrispondenti a circa 325 euro in più. A far lievitare la bolletta elettrica non sono tanto i device elettronici come computer e router, il cui consumo aggiuntivo è stimato in meno di 2 euro al mese, quanto il maggiore utilizzo di elettrodomestici come forno, lavastoviglie, frigorifero e soprattutto condizionatori. Questi ultimi, se accesi per molte ore, possono far schizzare alle stelle i consumi. Sul fronte del gas, invece, l’aumento stimato è del 13% circa, pari a 475 euro in più all’anno, a causa dei pasti cucinati in casa e del riscaldamento acceso più a lungo negli impianti autonomi. Un dato indicativo che dipende molto dalla fascia climatica di residenza.
I costi per le tecnologie
Il secondo grande capitolo di spesa è rappresentato dalla tecnologia, una voce che va ben oltre il semplice computer. “Il 67% dei dipendenti usa dispositivi personali per il lavoro”, scrive Cbs riportando uno studio di Microsoft, ma l’home office richiede un ecosistema tecnologico completo: stampanti multifunzione per gestire la documentazione cartacea, webcam HD per apparire professionali nelle videochiamate, router più potenti per garantire connessioni stabili durante le riunioni virtuali, sistemi di backup per proteggere i dati aziendali, gruppi di continuità (Ups) per evitare interruzioni di lavoro durante i blackout. L’investimento iniziale per una postazione completamente attrezzata può facilmente superare i 1.000 euro, una cifra considerevole che grava quasi interamente sulle spalle dei lavoratori. Sebbene molte imprese forniscano un contributo per le spese telefoniche, sono rare quelle che coprono integralmente i costi delle attrezzature informatiche, creando un paradossale trasferimento di costi dall’azienda al dipendente.
I risparmi effettivi
D’altra parte, bisogna considerare anche i vantaggi economici. L’Economist sottolinea come il risparmio sul pendolarismo sia sostanziale: in molte grandi città il commuting in auto assorbe fino al 15% dello stipendio annuale, considerando carburante, assicurazione, manutenzione e parcheggio. A questo si aggiunge il recupero di circa 80 ore all’anno di tempo prima speso in spostamenti. Anche le piccole spese quotidiane hanno un impatto significativo. “In media si spendono 2.008 dollari all’anno per il caffè”, riporta Booqued. Preparando il caffè a casa si possono risparmiare fino a 100 dollari al mese solo nel Regno Unito. I pranzi fuori rappresentano un’altra voce di spesa eliminata: considerando una media di 10 euro al giorno, il risparmio può superare i 200 euro mensili. E ancora, il guardaroba nell’era dello smart working si è ridotto all’osso: una sola camicia presentabile per le videochiamate ha sostituito l’intero completo da ufficio, abbattendo le spese per l’abbigliamento professionale e la sua pulizia.
Il bilancio finale
Ma quindi, calcolatrice alla mano, con lo smart working si risparmia davvero? Proviamo a fare i conti in tasca a un lavoratore medio di una grande città italiana. Maria, impiegata a Milano, prima della pandemia spendeva circa 300 euro al mese per il trasporto (abbonamento mezzi pubblici o carburante e parcheggio), 220 euro per i pranzi fuori (considerando una media di 10 euro per 22 giorni lavorativi) e circa 100 euro tra caffè, snack e altre piccole spese quotidiane. A questi si aggiungevano circa 150 euro mensili per il guardaroba professionale, tra acquisti e lavanderia. Totale risparmi: 770 euro al mese.
Dall’altro lato il lavoro da casa ha portato a nuove spese: 80-100 euro in più sulla bolletta elettrica, 40 euro di extra sul riscaldamento (o climatizzazione estiva), 30 euro per potenziare la connessione internet. A questi costi fissi si sono aggiunti gli investimenti una tantum per l’home office. Nel caso di Maria, 1.200 euro per una scrivania regolabile e sedia ergonomica, 800 euro per un nuovo laptop più performante, 300 euro tra stampante, webcam e accessori vari. Spese che, ammortizzate su due anni, pesano per circa 100 euro al mese. Il bilancio finale vede quindi risparmi per 770 euro contro nuove spese mensili per circa 270 euro, più gli investimenti iniziali. Il vero risparmio si può vedere solo dopo aver recuperato le spese iniziali di allestimento, con costi e risparmi che nei primi 12-18 mesi tendono a pareggiarsi. Senza contare i costi “invisibili” come il maggior consumo di caffè e snack casalinghi o l’aumento delle spese per il riscaldamento e il condizionamento.
C’è poi la questione professionale: “La collaborazione e la solitudine sono le due maggiori sfide del lavoro da remoto”, ricorda Booqued, e questo può tradursi in minori opportunità di carriera e quindi di aumenti salariali. Alcune aziende stanno correndo ai ripari con soluzioni ibride: tre giorni in ufficio e due a casa, permettendo di bilanciare i risparmi dello smart working con i vantaggi della presenza fisica. Una formula che, secondo l’Economist, potrebbe rivelarsi il giusto compromesso tra costi e benefici, sia per i lavoratori che per le aziende.
Un’altra alternativa emergente è quella del “near working”, una terza via che sta prendendo piede soprattutto nelle grandi città: invece di alternare casa e ufficio centrale, i dipendenti utilizzano spazi di coworking di quartiere. Questa soluzione permette di evitare i lunghi spostamenti verso la sede centrale pur garantendo una postazione professionale completa e attrezzata. I costi di affitto degli spazi condivisi (tra i 150 e i 300 euro mensili) potrebbero rappresentare un compromesso interessante tra le spese dello smart working domestico e quelle del pendolarismo tradizionale, con il vantaggio aggiuntivo di mantenere una netta separazione tra ambiente domestico e lavorativo.