Lavorare nei campi mi ricorda che posso sempre ricominciare da zero

Lory studia Psicologia perché ha scoperto in sé la vocazione di aiutare gli altri con il coaching. All’indomani della laurea, però, trova un lavoro sicuro e ben pagato nel commerciale di una industria di bottoni. Ma sente che le manca qualcosa. Così prende un secondo lavoro, alla sera, come coach: fatica 16 ore al giorno. A fine 2019 è pronta al salto: lasciare il posto fisso per dedicarsi a progetti internazionali di coaching. Si licenzia, ma i suoi sogni vengono spezzati dal Covid.

Tempo di lettura: 10 minuti

blank
Lory Caccamo

Ascolta il podcast della puntata:

“Essere qui in Australia è un cerchio che si chiude rispetto a tutti questi anni”.

Lory Caccamo mi parla dall’altra parte del mondo, durante una pausa di lavoro. In questo periodo sta confezionando ciliegie in un’azienda agricola. Ha 32 anni. E proverà, in un’ora, a raccontarmi il lungo viaggio che l’ha portata dalla Svizzera, dov’è nata, all’Australia, dov’è di passaggio.

Il modello materno: lavorare senza sosta

Lory è nata in Svizzera perché lì era emigrato il nonno materno negli anni Cinquanta, dalle Marche. Sua madre è cresciuta lì. E suo padre, siciliano, vi si è trasferito per amore. Quando Lory aveva quattro o cinque anni, entrambi decidono che è il momento di tornare in Italia. Avrebbero dovuto ricominciare la loro vita in Sicilia, ma si separano e Lory, assieme a sua madre, va a vivere nelle Marche. Il ricordo di quegli anni è molto preciso: «Noi che vivevamo in un appartamento da 45 metri quadrati con mia nonna, la mia bisnonna e poi anche il cane. Mia madre che cercava di lavorare il più possibile. E io che trascorrevo gran parte del mio tempo con le nonne».

L’immagine di sua mamma che lavora mattina e sera rimane bene impressa nella memoria di Lory. Vi si aggrappa ogni volta che, per un motivo o per l’altro, le tocca ripartire.

“Mia madre non ha mai voluto un assegno di mantenimento per lei, ma solo per me. Il suo diploma, purtroppo, in Italia non era stato riconosciuto. Quindi ha lavorato nei negozi, faceva le pulizie, le lezioni di francese. Ha sempre fatto di tutto e questo me lo ha tramandato. Non mi sono mai fatta nessun tipo di problema a fare qualsiasi lavoro”.

I genitori di Lory, in realtà, cercano di tardare il più possibile il suo ingresso nella vita lavorativa: «Mio padre mi ha sempre detto che il mio lavoro era studiare, al resto ci avrebbero pensato loro».

Lory però brama di essere indipendente. Inizia come babysitter a 15 anni. A 17 arriva la prima stagione estiva in Svizzera come cameriera e barista. Poi, una volta all’università, lavora nei fine settimana come promoter nei negozi, fa ripetizioni e continua a fare serate nei locali come barista.

«Non mi sono mai privata di niente perché avevo i miei soldi, che mi guadagnavo lavorando. All’università vedevo le mie compagne che non lavoravano e non si potevano permettere di mangiare fuori o di fare il fine settimana all’estero. Si lamentavano, però non facevano niente per poterselo permettere. Io invece ho sempre viaggiato, fin da ragazzina. Sapevo cosa voleva dire spendere perché sapevo cosa voleva dire guadagnare».

La vocazione personale: aiutare gli altri

Lory si iscrive a Psicologia a Padova, perché si è appassionata alla crescita personale per mezzo della programmazione neurolinguistica. Ha già chiara la sua missione in testa: aiutare le persone a vivere bene e ad affrontare i cambiamenti. Nel 2013, però, subito dopo la laurea Triennale, si ritrova dentro un percorso completamente diverso. Inizia come uno stage nella reception di un’azienda manifatturiera, che produce bottoni a pressione per brand dell’alta moda. Si trasforma in un contratto a tempo indeterminato nel settore commerciale di quell’azienda. È il suo primo lavoro full time. 1400 euro di stipendio, che le permettono, quattro anni dopo, di comprare casa e di fare un mutuo. Tutto da sola.

“È stata una bellissima deviazione: non avevo mai lavorato in un’azienda e ho conosciuto un mondo. Però mi sono accorta che mancava qualcosa. Mancava il contributo alla società, la soddisfazione di aver fatto la differenza nei confronti di qualcuno. La mia vocazione personale lì non era soddisfatta”.

Lory cerca un compromesso tra la sicurezza e la soddisfazione. Così accetta un altro lavoro full time in una società di formazione: tiene corsi di Pnl alla sera, praticamente gratis, anzi rimettendoci i costi degli spostamenti. Ma sente che ne vale la pena.

«Ricordo una volta che una partecipante venne da me a fine sessione, con le lacrime agli occhi: mi ringraziò e mi abbracciò. E lì mi sono detta: “Ma io queste emozioni non le ho quando lavoro dall’altra parte, quando ricevo il mio stipendio fisso”. In quell’occasione ho capito che avrei voluto dedicare la mia vita a un lavoro che mi desse quel tipo di soddisfazione, a prescindere da quanto potessi guadagnare».

Per un anno, Lory lavora 16 ore al giorno, come aveva visto fare a sua madre. Nel suo caso, però, in gioco non c’è la sopravvivenza, bensì la realizzazione di un sogno.

Il salto nel vuoto poco prima della pandemia

A fine 2019 si appresta al salto. Assieme a un’altra persona ha pianificato corsi di Pnl in vari Paesi del mondo. È pronta a licenziarsi dal suo lavoro nell’industria di bottoni. «Con tutto il sostegno da parte del mio capo, che era molto contento di vedermi seguire la mia strada».

Lory avrebbe tenuto volentieri il secondo lavoro, quello nella società di formazione, ma il suo capo, in quel caso, le pone un aut aut. «Di fronte alla scelta se lavorare per il mio sogno o per il sogno di qualcun altro, non ho avuto dubbi: “Mi sono già lanciata. A questo punto, volo!”».

Lory, dopo il mutuo, ha azzerato i risparmi. Da parte ha solo 5mila euro. Questo è l’unico momento della sua vita in cui chiede supporto ai genitori. Una disponibilità ipotetica a soccorrerla se tutto fosse andato storto. Una sorta di paracadute emotivo che non si trasformerà mai in un vero e proprio giro conto.

«E così, a gennaio 2020, dall’avere un doppio lavoro e una super sicurezza, mi sono ritrovata senza niente. Avevo progetti all’estero: in Messico, in Costa Rica, a Londra, in Canada. Se non che il Covid è arrivato e ha spazzato via tutto».

“Quello è stato il periodo più difficile, che però ha generato il cambiamento della mia vita e ha portato a questi ultimi due anni di grande felicità. Mi sono chiesta che cosa volessi veramente. Mi sono detta: io voglio essere libera di viaggiare come e quando voglio, senza dover chiedere a nessuno il permesso, ma allo stesso tempo voglio che questo sia coerente con il mio lavoro, che è fare coaching, fare formazione, quindi aiutare le persone. E lì ho detto: ok, trovo il modo”.

Lory mette in affitto la sua casa per riuscire a pagare il mutuo. E parte come ragazza alla pari. La prima destinazione è l’Irlanda, dove alla sera e nei weekend studia marketing e social media per imparare a utilizzare Instagram come vetrina del suo servizio di coaching. Nel giro di tre mesi ottiene i suoi primi clienti. Poco dopo, lascia l’Irlanda alla volta delle Canarie, sempre come ragazza alla pari. Durante quell’anno guadagna 7000 euro dal coaching e 8000 dall’attività di au pair. Le sono sufficienti per vivere.

A giugno 2022 Lory va in Portogallo per terminare la sua formazione e per prendere la certificazione. Inizia a collaborare con l’azienda di formazione presso cui sta studiando e vola per tre mesi nel loro ufficio di Londra.

L’appuntamento con se stessa

Mentre tutto si sta concretizzando. Mentre anni e anni di studio prendono una forma interessante dal punto di vista remunerativo, Lory ha un appuntamento con se stessa. Un volo per l’Australia già fissato da tempo.

“Ho dovuto lavorare su me stessa perché nel momento in cui stavo iniziando a raccogliere i frutti, anche economici, di tutti gli sforzi degli ultimi anni, nel momento in cui avrei dovuto esserci di più, avrei dovuto aggiungere carne al fuoco, raccogliere i frutti, proprio allora dovevo prendere e andarmene”.

Lory ha rimandato quel viaggio infinite volte. Ci era stata nel 2014 solo per un mese e se ne era innamorata. «Però era l’inizio della mia magistrale. Avevo una relazione. Ero un po’ nella scatola dei devo. Devo tornare perché devo, devo, devo dimostrare. Se avessi avuto un briciolo di follia in più, sarei rimasta». 

Poi, una volta tornata in Italia, aveva preso una tangente professionale e relazionale che avevano trasformato l’Australia in un miraggio. Adesso, a 32 anni, sta chiudendo quel cerchio. A volte pensa di essere in ritardo, dal momento che i compagni di avventura che incrocia lungo la strada sono tutti ragazzi di 20-25 anni… «Ma poi mi dico che lo sto facendo adesso con questa consapevolezza, con questa modalità, grazie al fatto che in questi dieci anni ho fatto altre esperienze. Quindi sono qui perché voglio realmente esserci. So quello che sto facendo, so come mi sto muovendo e quindi va bene lo stesso. Va benissimo così».

La lezione australiana

Dall’Australia, con un complicatissimo gioco di incastri, Lory sta portando avanti tutto: il lavoro che l’appassiona e il viaggio più avventuroso della sua vita.  La mattina fa le telefonate in Sudamerica per l’azienda di formazione di Londra. La sera tiene le sessioni di coaching con i clienti italiani. Il tutto alternato ai lavori agricoli che è tenuta a fare per ottenere il rinnovo del visto. Quei lavori, in realtà, sono estremamente remunerativi. La paga e l’ingaggio sono settimanali, e si arriva a guadagnare anche 800 euro per 5 giorni. Li fanno i backpackers come Lory per pagarsi le settimane di viaggio successive, ma anche tanti stranieri del Sudest asiatico che faticano a trovare altro genere di lavoro.

“Lavorare nelle farm è un’esperienza in sé: ti fa le spalle. Ti dà anche una bella dose di umiltà e ti fa capire che non contano tutti gli anni che hai studiato: puoi comunque fare qualsiasi lavoro diverso da quello che hai sempre fatto, da quello che hai sempre studiato”.

Le chiedo come fa a conciliare l’idea di viaggio con questa routine massacrante a cui si sottopone. «L’idea di viaggio c’è, non è l’idea di vacanza, certo. Viaggiare vuol dire fare esperienze, conoscere altre persone. E anche nei momenti di stanchezza e difficoltà, sostenersi a vicenda».

Lory lavora per alcune settimane, e per altre settimane fa road trip. Si sposta di continuo. Cambiando mestieri e compagni di viaggio.

«L’Australia, per me, è il Paese simbolo del backpacker. Il Paese dove vivere l’esperienza zaino in spalla senza sapere esattamente quali sono i programmi e seguendo il flow. Quindi cogliendo l’opportunità, cambiando il programma oggi, cambiandolo domani. Poi l’Australia ha questa caratteristica del paesaggio che è meraviglioso, territori, natura, animali pazzeschi. E questo senso di wild che è bellissimo, che in qualche modo ti riconnette a una parte selvaggia interna».

Hai mai avuto paura di perdere tutto ciò che avevi iniziato a costruire con il tuo lavoro di coach, le chiedo?

“Sì, ho avuto paura. Ma poi ho messo sul piatto della bilancia questa paura rispetto a ciò a cui stavo andando incontro. Lo scenario peggiore è che devo ricominciare da capo. Mi spaventa? No, non mi spaventa. Mi sono sempre saputa rimboccare le maniche e in qualche modo si fa”.

«In realtà sto rendendo quest’esperienza connessa alla storia che racconto di me tramite i social. Quindi tuttora mi arrivano dei clienti grazie al fatto che io sto vivendo un sogno costruito in anni, proprio perché ho rotto tutti gli schemi che avevo pur di realizzare il mio sogno».

Tra cinque anni, che Lory sarà?

“Da qui a cinque anni mi vedo aver fatto il giro del mondo. Mi piacerebbe magari poter condividere questo viaggio con un’altra persona. Mi piacerebbe aver trovato il modo e lo spazio dove mettere radici, quindi avere una famiglia, poter continuare a lavorare viaggiando, perché in realtà il mio sogno è comunque di poter fare formazione internazionale”.

Condividi