Le cose da sapere prima di mettersi in proprio
Lasciare il posto dipendente e decidere finalmente da sé ritmi e orari. Aprire quell’attività che si sognava da tempo, buttarsi nel commercio o nella libera professione. È il sogno di tanti, ma mettersi in proprio non è una decisione da prendere dalla sera alla mattina, e, tra costi, sostenibilità del business, aspetti fiscali, va valutato anche quello puramente formale e previdenziale: che cosa vuol dire dare le dimissioni? Che succede alla pensione quando si passa da ente all’altro? E quanto pesano i contributi, quali sono le agevolazioni di cui si può approfittare? Abbiamo fatto queste domande a Elisa Lupo, ecco le cose da sapere e i suoi consigli.
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di Giorgia Nardelli
Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.
È il sogno di tanti. Perché a volte il lavoro subordinato, con i suoi vincoli, orari e paletti non fa per noi o diventa ingombrante, perché quel desiderio di autonomia è sempre più insistente, o perché c’è quel progetto d’impresa non ne vuole più sapere di restare nel cassetto. Mettersi in proprio, però, non è né scontato né semplice. C’è la fattibilità dell’idea da valutare, la sostenibilità economica e finanziaria da calcolare, le spese iniziali e le tasse da mettere in conto, e servono il coraggio e la determinazione per avviare un’ “impresa” che richiede un impegno triplicato, senza offrire la garanzia di un’entrata fissa. C’è chi come Anna Quaranta, una delle tante donne che si è confidata con Rame, ha impiegato 22 anni per decidere, ma qualunque sia il percorso, gli aspetti da valutare e capire sono tantissimi. Con l’aiuto delle esperte di Rame abbiamo già parlato di come regolarsi con il Fisco, spiegato come accedere ai finanziamenti, o gestire i flussi di cassa. Qui affrontiamo invece il tema con i consigli di una consulente del lavoro.
Lasciare il lavoro da dipendente
Il passaggio da dipendente ad autonomo comporta diverse rinunce, pensiamo solo a indennità di malattia, ferie e Tfr. La scelta va certamente ragionata con cura, ma in tutti casi, il consiglio è quello di muoversi per gradi. Spiega Elisa Lupo, consulente del lavoro e ideatrice con la commercialista Giorgia Salardi e la psicologa Elena Carbone del progetto Scegli la tua onda: «Mi riferisco ai lavoratori del settore privato. Una volta presa per esempio la decisione di avviare la libera professione, non è quindi necessario fare tutto e subito, ma si può per esempio affiancare al proprio lavoro subordinato l’attività desiderata, aprendo anche la Partita Iva, se si tratta di un’attività non occasionale – lo spieghiamo qui. La legge lo consente nei casi in cui l’attività autonoma non va in concorrenza con quella dell’azienda per cui si lavora. È anche possibile aderire al regime fiscale forfettario per la parte di lavoro autonomo, godendo di una tassazione agevolata al 15%, se il reddito da lavoro dipendente non supera una determinata soglia». La legge di Bilancio varata a dicembre 2024, tra l’altro, ha alzato questa soglia portandola da 30.000 a 35.000 euro.
Il salto: come uscire dal rapporto di lavoro subordinato
Se il test va bene, o comunque se si decide di lasciare il lavoro da dipendente, è bene ragionare su come farlo. Le dimissioni richiedono sempre un preavviso, è bene quindi stabilire delle tempistiche che prevedono appunto l’invio della comunicazione, l’apertura della partita Iva (dopo avere verificato che il proprio contratto non preveda vincoli che non consentono di proseguire in autonomia la stessa attività che si svolgeva da dipendente), l’apertura della posizione previdenziale. «La buona notizia, a questo proposito, è che le varie casse dialogano tra loro, quindi anche se, per ipotesi, dall’Inps si passa alla cassa forense o alla cassa Artigiani e commercianti, ai fini di una pensione futura nulla è perso, tutte le somme versate genereranno un unico assegno pensionistico. Ci sono vari modi per “unificare” tutti i contributi, ma è molto importante non farlo alla leggera, e informarsi per tempo presso un consulente del lavoro o un patronato per capire qual è il modo più conveniente nella propria situazione. A seconda della formula scelta, infatti, il calcolo sarà fatto in modo diverso e avrà esiti differenti», chiarisce la consulente del lavoro.
Licenziamento e disoccupazione
Se in azienda sono in programma esuberi o licenziamenti, o se questo evento diventa l’occasione per avviare qualcosa di proprio, si possono avere importanti facilitazioni: «Chi accede alla Naspi può richiedere all’Inps l’anticipazione di tutte le rate di indennità a cui avrebbe avuto diritto, come forma di “incentivo” per aprire la partita Iva, oppure, nel caso in cui sia stata già aperta, per proseguire l’attività già avviata, che diventa predominante. L’agevolazione vale solo per chi era iscritto all’Inps, ma è molto utile. Chi per esempio avrebbe diritto a 24 mesi di Naspi, può farsi liquidare tutte le 24 mensilità. L’unica accortezza da avere è quella di lasciare aperta la partita Iva per tutto il tempo in cui sarebbe stata percepita la Naspi, perché in caso contrario bisogna restituire le rate mancanti», spiega l’esperta.
Cosa vuol dire mettersi in proprio dal punto di vista previdenziale
Il tema del pagamento dei contributi è spesso una nota “dolente” poiché mettersi in proprio significa diventare datore di lavoro di sé stesso, il passaggio comporta, tra gli altri, l’obbligo di versare da sé i contributi previdenziali obbligatori, che vuol dire avere esborso in più. «Quando si è alle dipendenze di qualcun altro, è questo soggetto a versare una quota della contribuzione obbligatoria a favore del lavoratore. Un’altra quota viene detratta dal lordo in busta paga, ma è un’uscita di cui non ci si rende conto, quasi indolore», spiega Elisa Lupo. «Nel momento in cui si avvia un’attività autonoma il lavoratore deve invece iscriversi da sé a un ente di previdenza, per esempio una cassa privata se appartiene a un ordine professionale, la cassa Artigiani o commercianti, oppure l’Inps gestione separata, se non si fa capo a nessuna di queste. In tutti casi, tutto il carico di contribuzione necessaria per avere il diritto alla pensione è sulle sue spalle, e le somme richieste andranno trattenute in maniera volontaria dagli incassi, per poi essere versate a intervalli regolari, è un impegno non indifferente».
Quanti contributi versa il lavoratore autonomo
La gestione separata Inps prevede per i professionisti senza altre casse l’aliquota del 26,07%. «Il peso delle altre casse è generalmente inferiore, e anche per la gestione Commercianti e artigiani l’aliquota è più bassa, ma questo aspetto, che può sembrare positivo, ha anche un rovescio della medaglia: quando il carico è maggiore, al momento di andare in pensione ci si ritroverà con un montante più alto, di conseguenza l’assegno pensionistico sarà più corposo. Di contro, se si versa meno, meno si totalizzerà a fine carriera e minore sarà l’assegno che si genererà. Per questa ragione sarebbe opportuno valutare a maggior ragione l’opzione di una pensione integrativa», suggerisce Lupo. Non è finita, perché per maturare un anno di anzianità contributiva è spesso prevista nelle diverse casse una soglia minima di versamenti annuali, anche se le regole variano da ente a ente. «Prendiamo la Gestione separata Inps: per raggiungere l’anno, è necessario versare i contributi su circa 18.500 euro di fatturato. Chi fattura meno, e non arriva a questo valore, si vedrà accreditare un periodo inferiore, allontanando di fatto la pensione».
Le agevolazioni per chi avvia un’attività
Dal punto di vista fiscale, chi apre una nuova attività e risponde a determinati requisiti può aderire a un regime fiscale agevolato al 5% per i primi 5 anni – qui i requisiti -, mentre chi ha ricavi o connessi fino a 85.000 euro può scegliere il regime forfettario, che prevede un’imposta secca del 15% – ne parliamo nel dettaglio qui. Dal punto di vista contributivo c’è invece la possibilità di usufruire di altre opportunità. «Generalmente, anche se le norme variano da ente a ente, i giovani che aprono partita Iva godono di sconti nei primi anni di iscrizione, per esempio la Cassa artigiani e commercianti prevede nel primo biennio una riduzione del 50%. Bisogna però tenere presenti due cose: lo sconto va richiesto, quindi non è automatico. In secondo luogo, se è vero che grazie a questa agevolazione si spende meno, resta il fatto che chi meno versa, meno si ritroverà nella pensione a fine carriera. Insomma, non funziona come per il Fisco, benché i contributi siano un costo, sono un costo che dà un “ritorno”, meglio quindi fare una valutazione: se si è a inizio attività e le spese sono tante, è una buona idea approfittare delle opportunità offerte, ma se si ha la possibilità di sostenere la spesa, in linea generale è preferibile versare».