Investimenti: tu lo sai cos’è l’home bias?
L’home bias è la tendenza degli investitori a privilegiare i titoli del proprio paese di origine, trascurando le opportunità offerte dai mercati internazionali. Questo comportamento è influenzato da fattori psicologici come la familiarità e la fiducia nei marchi nazionali. Eppure, la diversificazione internazionale è fondamentale per costruire un portafoglio d’investimento solido e sostenibile nel lungo periodo.
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di La redazione
Immagina di trovarti in un supermercato e di dover scegliere quali prodotti acquistare: probabilmente prediligerai gli ortaggi di stagione o la carne proveniente da allevamenti locali. La preferenza per i prodotti a chilometro zero è spesso dettata da un senso di familiarità e fiducia: sappiamo da dove vengono, come sono stati coltivati e quali sono le loro caratteristiche. È una scelta che ci fa sentire più vicini al cibo che consumiamo, ci permette di sostenere l’economia locale e ci fa sentire più sicuri. Un comportamento simile non si verifica semplicemente quando facciamo la spesa, ma anche quando si tratta di investire i nostri risparmi. Ma la finanza non è un orto: non sempre vicinanza è sinonimo di maggiore qualità.
Cos’è l’home bias
In economia, questo fenomeno prende il nome di “home bias” e si traduce nella tendenza delle persone a investire in azioni e altri strumenti finanziari del proprio paese rispetto a quelli stranieri. In Italia il fenomeno è particolarmente presente e, secondo l’indagine di Banca d’Italia “Economia per tutti”, gli investitori scelgono «principalmente Azioni domestiche (50%), seguite dalle Azioni USA (40%)». Tuttavia, non siamo di fronte a una peculiarità del nostro Paese. Il “Made in USA”, ad esempio, la fa da padrone presso gli investitori a stelle e strisce. Come spiegato da Feenstra e Taylor nel loro libro “International Macroeconomics” nel 2010 il portafoglio di investimento medio conteneva solo il 28% di asset stranieri.
Perché l’home bias ci danneggia
Concentrando gli investimenti in un unico mercato, si è più esposti a shock economici e politici che possono colpire specificamente quel paese. Basti pensare all’impatto della Brexit sull’economia e sul mercato azionario del Regno Unito. Inoltre, si perdono le opportunità offerte dai mercati internazionali, dove si possono trovare aziende innovative e in rapida crescita. Per fare un esempio, un investimento di 1000 euro fatto 20 anni fa in FTSE MIB, il principale indice azionario italiano, oggi varrebbe 1260 euro, il 26% in più, mentre lo stesso investimento fatto in S&P500 il principale indice della borsa USA, oggi varrebbe 4819 euro, ovvero il 382% in più.
Diversificare per ridurre la volatilità
Al di là dell’andamento del singolo mercato, tuttavia, la più importante ragione per cui l’home bias è nocivo per gli investitori è il fatto che esso impedisca un’adeguata diversificazione, la quale ha lo scopo di proteggere adeguatamente dalla volatilità. Uno studio condotto negli USA dall’economista Karen Lewis, infatti, ha dimostrato che, nella prospettiva di un investitore americano, un portafoglio bilanciato in maniera ottimale dovrebbe contenere il 39% di investimenti su attività estere e il 61% su quelle nazionali.
Un puzzle irrisolto
Come suggerisce il nome, l’home bias rientra nella categoria di quei preconcetti irrazionali che ci annebbiano la vista quando si tratta di investire al meglio i nostri soldi. Ma cosa lo alimenta? In origine, la teoria più accreditata si concentrava sulla familiarità degli investitori con le aziende del proprio paese. In fondo, perché sorprendersi se un risparmiatore italiano è più predisposto ad investire in una compagnia come la Fiat, di cui sente parlare spesso al Tg, rispetto ad un produttore di automobili indiano, di cui a stento conosce il nome? Il problema nasce dal fatto che, spesso, confondiamo questa generica familiarità con una vera conoscenza del posizionamento dell’azienda e delle sue prospettive economiche. Secondo l’economista Alessandro Magi vi sarebbe anche una correlazione tra il livello di istruzione e la propensione a diversificare gli investimenti a livello internazionale. Individui con un’istruzione più elevata tendono a comprendere meglio i vantaggi della diversificazione e sono quindi più propensi ad adottare strategie di investimento globali. D’altro canto sembrerebbe che ad essere affetti da home bias non siano solamente gli investitori alle prime armi, ma anche gli stessi gestori dei fondi di investimento, per via della loro conoscenza dei mercati locali. Insomma, a concorrere alle cause sono molteplici fattori e non a caso quello dell’home bias è considerato uno dei puzzle economici (distorsioni delle teorie economiche) su cui ancora gli studiosi si interrogano senza aver trovato un consenso unanime. Ciò su cui gli economisti sono d’accordo, tuttavia, è che il superamento di questo preconcetto costituisce un elemento fondamentale per una migliore diversificazione, a tutto vantaggio degli investitori.