Per noi ventenni, rischiare è la nuova sicurezza

Greta Langianni ha 25 anni. Oggi è modella, fotografa e fondatrice della rivista Mulieris. Fin da piccola, la scarsità di risorse la porta a compiere scelte molto pragmatiche: un indirizzo di studi concreto, l’ambizione del posto fisso. Ma presto capisce che, per la sua generazione, la stabilità finanziaria è un miraggio anche con un lavoro da impiegata. Allora tanto vale provare a investire su se stessa.

Tempo di lettura: 9 minuti

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Greta Langianni

Ascolta il podcast della puntata:

“Ricordo che una volta mi fu chiesto cos’era per me essere ricca. Per me tuttora significa poter fare qualcosa senza guardare il mio conto e calcolare lo scalino “meno venti, meno trenta, meno ottanta” per ogni spesa. Questo per me è il lusso, non è comprare la roba firmata o andare nel posto più figo. Io non vorrei più una vita in cui ho questo ragionamento fisso nella testa, ecco il mio sogno”.

Greta Langianni ha 25 anni, è nata e cresciuta a Prato. Oggi abita a Milano e riesce a vivere della passione che ha scoperto verso i 16 anni, la fotografia, alla quale si è applicata con un mindset più imprenditoriale di quello che lei stessa immagini. Ma per capire da dove arrivi il carico mentale legato ai soldi di cui parlava poco fa, dobbiamo fare un salto indietro alla sua infanzia.

Greta è figlia unica. Papà impiegato, mamma lavoratrice stagionale a Riccione.

“Vengo da una famiglia umile. Da che ho memoria, ho sempre sentito parlare dei soldi come di un qualcosa che non avevamo mai a sufficienza. Anche quando non sapevo bene cosa significassero, vedevo che per i miei genitori avevano un peso”.

Per Greta, man mano che cresce, l’assenza di soldi assume significati diversi «Mi ricordo che alle medie volevo fare lo scambio all’estero ma costava tantissimo e non potevo permettermelo. Il peso più grande che i soldi hanno avuto in quella fascia di età è stata non poter fare delle esperienze a cui tenevo».

A 16 anni, quando si comincia a uscire e ad avere il gruppo di amici, i soldi rappresentano le cose che non può possedere, specie in una città benestante come Prato. «All’epoca andava tantissimo la tuta di Abercrombie. Era una cosa che tutti avevano e se non ce l’avevi eri proprio uno sfigato. Però non le vendevano in Italia, per cui c’erano tutte queste persone che avevano i genitori che andavano in America o facevano viaggi all’estero e gliele portavano. E poi volevo tantissimo il giubbotto di Woolrich: non c’era una ragazza che non lo possedesse. Io faccio il compleanno a dicembre, così raccoglievo tutti i soldi di parenti e genitori, univo compleanno e Natale, e mi facevo regalare quella cosa che mi avrebbe fatta sembrare socialmente al pari degli altri. Ovviamente questo è un mindset che ho totalmente perso. Anzi adesso ci rido, perché non mi metterei mai un giubbotto che vedo addosso a tutti appena esco di casa, nemmeno se costasse un euro».

Lo switch di mentalità rispetto alla propria immagine e alla percezione degli altri avviene verso la fine dell’adolescenza.

“Mi sono sempre sentita strana e fuori luogo nella mia città. Nei primi anni dell’adolescenza ho combattuto questa sensazione cercando di essere uguale agli altri, finché non ho avuto un esaurimento: soffrivo di attacchi di panico, sono stata parecchio male e questo mi ha portato a riflettere su che tipo di persona sono, cosa voglio dalla vita e perché mi bloccavo dall’essere quello che volevo pur di amalgamarmi. Da lì c’è stato lo switch, ho iniziato a fare quello che mi pareva, da come mi presentavo e vestivo a quello che facevo”.

Greta a quel punto ha 17 anni e si ritrova ingabbiata in un percorso di studi scelto per placare l’ansia dei soldi, per giunta sulla base di una errata percezione di ciò che ha davvero possibilità di garantirle la stabilità finanziaria.

«Io ho sempre voluto fare il liceo artistico e i miei genitori erano favorevoli. Ma ricordo di aver pensato: e poi cosa faccio nella vita? Essendo nata in una famiglia con il problema dei soldi, quella domanda non ti abbandona mai. Io voglio un lavoro che mi faccia stare bene, non voglio stare con l’ansia dei soldi a fine mese. Così al liceo mi sono iscritta a Scienze umane, che mi sembrava un indirizzo più concreto. Mi sono resa conto di aver scelto non di mia volontà, ma in base alle norme sociali che mi facevano credere che scegliere una cosa rispetto all’altra mi avrebbe portato più stabilità».

E non erano i suoi genitori a trattenerla con i piedi per terra: «Io ero la più grande zavorra di me stessa. Loro non mi hanno mai vietato di fare quello che volevo».

Finalmente, all’università Greta sceglie di dare libero sfogo alla creatività che aveva tenuto ingabbiata fino a quel momento e decide di iscriversi all’Accademia delle Belle Arti di Bologna con indirizzo Fotografia e cinema.

«Anche lì è stata una scelta dettata dalle possibilità economiche, perché io non avrei voluto fare l’Accademia pubblica, ma un indirizzo specifico in una università specifica in una città specifica».

“Invece ho scelto l’unica facoltà, nella città che potevo permettermi, che costasse quanto potessi permettermi, più vicino a quello che volevo fare. Questa cosa all’inizio mi ha fatto soffrire tantissimo. Non capivo perché non avevo lo stesso diritto delle altre persone di fare ciò che desideravo”.

Una volta finita l’università, il pragmatismo economico che ha introiettato fin dai primi vagiti la porta a cercarsi un posto fisso da impiegata, esattamente come suo padre. Viene assunta come fotografa in un e-commerce di grossisti a Prato. A 22 anni guadagna 1800 euro al mese.

«Ho avuto la fortuna di trovare un contesto umanamente positivo. Ma era un lavoro estremamente ripetitivo perché cliccavo tutto il giorno, editavo tutto il giorno, dalle 9 alle 18».

Così, dopo poche settimane, molla tutto, tra lo stupore dei genitori e degli amici. E l’insperata comprensione dei datori di lavoro.

«All’inizio, quando ero più piccola, pensavo che un posto fisso, dopo un percorso di studi standard, mi avrebbe dato la stabilità. Dopo mi sono resa conto che viviamo in una società in cui non c’è più la possibilità di crearsi una stabilità economica di un certo rilievo se inizi lavorando come impiegato».

Greta lo ha visto accadere nella sua famiglia. Suo padre, da impiegato, non è mai cresciuto professionalmente e loro hanno sempre vissuto qualche gradino in più della semplice sussistenza.

“Se avessi fatto un lavoro da impiegata sarei arrivata a guadagnare adesso sui 2000-2500 euro al mese, che magari a Prato sono sufficienti ma a Milano cosa sono? Sarei rimasta in quella mentalità in cui scalavo i soldi. Se voglio comprare una casa, se voglio avere un futuro, uno stipendio del genere mi lascia uno spazio marginale per realizzarmi, mentre con il lavoro da freelance può andare malissimo e ti ritrovi senza un euro, ma può andare anche benissimo e ti ritrovi a guadagnare una cifra che con un lavoro più classico non guadagneresti mai”.

«Tanto vale allora che io faccia la freelance, magari ho più opportunità nell’investire su me stessa. Ovviamente è stato un salto terrorizzante».

A quel tempo, Greta aveva già fondato Mulieris assieme a Sara, sua compagna di università. Mulieris è una rivista cartacea che promuove artiste, e che presto diventerà una piattaforma di incontro di domanda e offerta, una sorta di agenzia virtuale attraverso cui i brand potranno ingaggiare le creative italiane, sul modello di Girl Gaze negli Stati Uniti.

Greta e Sara decidono di puntare tutto su questo progetto. Così si trasferiscono a Milano in un monolocale dove all’inizio dormono assieme in un letto matrimoniale perché non possono permettersi di più. Poco dopo, a loro si aggiunge Chiara, la terza socia.

«Io avevo già in mente come monetizzare. Per un semplice motivo: quando parti da una situazione personale del genere sei molto razionale e sai che tutto è bello nella vita, ma viviamo in una società dove senza i soldi non fai niente. Non puoi fare un progetto che non ha un ritorno. Sarebbe bello fare una cosa solo per passione, ma possono permetterselo solo i ricchi e non è il mio caso».

Greta fatica a definirsi imprenditrice anche se a tutti gli effetti è ciò che sta diventando. E fatica per un pregiudizio molto comune, specialmente tra le donne.

«Io ho una grande disfunzione verso la burocrazia, non ci capisco niente, le mie chiamate col commercialista sono la cosa più non-sense di questo pianeta. Io lo immagino che guarda le mie fatture e si chiede: “Come fa questa a guadagnare così e a non capire niente”. Io all’immagine dell’imprenditrice associo persone persone che fanno calcoli dal mattino alla sera…».

Eppure, a soli 25 anni, Greta è riuscita a farsi strada in un mondo difficile come la fotografia e a dare benzina a un progetto editoriale complesso. Forse, è l’immagine dell’imprenditrice che tutti abbiamo in testa a non essere più al passo con questa generazione.

Oggi Greta guadagna una cifra che non avrebbe mai immaginato: nei primi nove mesi del 2022 ha fatturato 85mila euro. Eppure, l’ansia riguardo ai soldi non la lascia tranquilla un attimo.

«Quando ho aperto la Partita Iva, come molti giovani, ho avuto un crollo emotivo: “Oddio verrò uccisa dalle tasse!”. Era un periodo in cui stavo cercando casa, per la prima volta potevo permettermi una casa da sola, ma quando l’ho presa, sono andata in crisi: temevo di non riuscire ad assolvere l’impegno».

Non è facile imparare a prendersi dei rischi quando sei cresciuto così. È come se nella testa di Greta non entrasse mai la possibilità di poter vivere diversamente.

“Io ho l’ansia di aprire il conto e di scoprire che non ci sono più i soldi. Ho l’ansia di smettere di lavorare da un momento all’altro. Avevo letto di questo scarcity mindset, che le persone cresciute in contesti poveri hanno: del levarsi sempre qualcosa, perché i soldi come li prendi li puoi perdere. C’è sempre questo terrore perché sai cosa vuol dire stare senza”.

A questo punto della storia, mi rimane un’ultima grande curiosità. Cosa direbbe la Greta di oggi alla 15enne di allora?

«Se potessi avere davanti la me stessa di allora, le direi: “Non ti preoccupare, dovrai fare un giro diverso ma arriverai esattamente dove vuoi arrivare, non c’è un solo modo per fare le cose”. Questo non giustifica il fatto che ci siano delle disparità economiche di partenza nella nostra società che devono essere colmate».

“E infatti uno dei miei obiettivi in futuro, se riusciamo a divenire imprenditrici, è aprire un ente benefico che si occupi di dare borse di studio a chi non può permettersi di studiare in facoltà creative, che a differenza di quelle classiche sono tutte privatizzate. Ed è più difficile accedere se non si parte da un background privilegiato. Questa è una cosa che dico da quando ho 15 anni. Spero di riuscire a mantenere la parola”.

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