Perché i ricchi pretendono di essere poveri? 

La ricerca psicologica suggerisce che questo comportamento potrebbe derivare da un desiderio di inclusione sociale e dalla vergogna di apparire privilegiati in un contesto sociale caratterizzato da forti disuguaglianze. La soluzione? Iniziare a parlare di soldi per costruire una nuova narrazione.

Tempo di lettura: 6 minuti

Annie Francisca
Annie Francisca

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Autrice specializzata sui temi di sostenibilità, esteri e diseguaglianze sociali.

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Foto di Brooke Cagle

Qualche mese fa, sulle pagine di Rame, ci siamo chiesti se dividere il conto in parti uguali aumentasse le diseguaglianze e se il tabù per il quale non parliamo mai di soldi potesse essere, in qualche modo, la causa della fine di molte amicizie. Abbiamo ascoltato la storia di Laura, che a quasi 30 anni, si ritrova in una posizione di difetto rispetto al suo compagno, e che, guadagnando molto meno di lui, teme che questo possa portarli a un bivio, in quanto lei non è in grado di sostenere il suo stile di vita, ma allo stesso tempo, non vuole limitarlo. O Pietro, 31 anni, che nell’ultimo anno si è trovato sempre più frequentemente nella condizione di annullare i programmi o di escludersi da alcune situazioni semplicemente perché non può permetterselo. «C’è stato un momento in cui ho provato a stargli dietro, ma finivo sempre col conto in rosso». In queste situazioni è emerso di come le relazioni tra coloro che hanno denaro e coloro che invece ne hanno meno possono facilmente entrare in crisi, perché la pressione economica della diseguaglianza finanziaria sulle nostre relazioni è reale, anche se nessuno vuole dirlo ad alta voce. 

Ma proviamo invece adesso a ribaltare la situazione, e ad analizzare il rovescio della medaglia, e cioè, il perché, invece, molte persone con un’elevata disponibilità economica, tendono a non mostrare la propria ricchezza e decidono di adottare uno stile di vita molto più semplice rispetto a quello che potrebbero invece mantenere. Sembra un paradosso ma la prima ragione è la stessa che accomuna Laura, Pietro e Daniele, e cioè, il desiderio di non sentirsi escluso e di far parte di un determinato gruppo. 

La vergogna di mostrare il privilegio 

In un articolo su Vice Carly Lewis scrive che all’Università aveva una compagna di stanza che mangiava scatolette di fagioli tra una busta paga e l’altra, pur nonostante il suo conto in banca fosse tenuto riccamente in piedi dal padre. Lei voleva che la gente pensasse che fosse una studentessa povera, quasi come volesse ricalcare il cliché dello studente fuori sede che arriva a fatica a fine mese, nonostante molte delle persone che frequentava avessero realmente dei problemi economici e fossero sul serio costretti ad adottare uno stile di vita più umile. Ma perché lo faceva?

Facciamo un passo indietro. Nelle dinamiche sociali il bisogno di appartenenza è un bisogno fondamentale che da sempre gioca un ruolo essenziale nella nostra sopravvivenza. «L’essere umano, nelle prime fasi evolutive, ha imparato da subito a formare dei gruppi che potessero in qualche modo fornirgli sicurezza e garantirgli la sopravvivenza. – spiega Paola Iannello, psicologa e docente dellUniversità Cattolica di Milano, dove insegna Psicologia economica e Benessere – Ma non solo: quella di fare parte di un gruppo, offre una sorta di sicurezza anche dal punto di vista emotivo». L’appartenenza sociale, quindi è strettamente legata al nostro benessere psicologico, perciò «nel momento in cui c’è qualcosa che minaccia l’inclusione sociale, si innescano tutta una serie di meccanismi che ci inducono a conformarci per sentirsi accettati. Ed essere privilegiati potrebbe validare questa possibilità perché chi ha più risorse potrebbe temere di esser visto come superiore, distante, e quindi, come tale, essere escluso», continua Iannello.

Nascondere la propria ricchezza, soprattutto per i giovani, può essere collegato anche a una forma di senso di colpa legata a dinamiche di ingiustizia sociale. Questa sensazione deriva dalla consapevolezza che il privilegio economico posseduto non è stato guadagnato attraverso meriti o sforzi diretti, ma piuttosto ereditato. E in un contesto sempre più attento alle diseguaglianze, questa forma di malessere interiore porta i giovani a nascondere il proprio status economico per evitare i giudizi legati a quella che percepiscono come una distribuzione ingiusta delle opportunità. «D’altra parte però, se si accettasse la propria situazione, questi sentimenti potrebbero evolversi in un senso di responsabilità, che al posto di spingerti a vergognarti per ciò che hai, potrebbe indurti a comportamenti proattivi, come ad esempio, contribuire positivamente alla comunità», suggerisce la psicologa. 

Il timore del giudizio 

In una situazione in cui c’è un disequilibrio in termini di possibilità, anche di scelta, chi ha di più ha anche il timore del giudizio, oltre la paura di essere escluso. «Dal punto di vista psicologico la vergogna nasce quando si teme che gli altri possano vederci in maniera negativa, quindi se una persona mostra la propria situazione da privilegiato, teme che si faccia una sorta di equivalenza tra ciò che la persona ha e ciò che la persona è. E questo è un rischio che nessuno vuole correre», spiega Iannello. L’idea è che si confonda l’identità che attiene alla dimensione di “ciò che si è” con ciò che la persona possiede: «C’è la paura di essere riconosciuti non tanto per le proprie qualità intrinseche, quali il carattere o i propri valori, ma per il proprio status economico». Ed è proprio per questo che le persone potrebbero preferire socializzare con persone con redditi simili. Dal punto di vista logistico è più facile, perché è più semplice anche sentirsi accettati senza dover mascherare la propria situazione. «Ci piace stare in tribù di persone come noi», afferma Alex Holder, autore del libro Open up: Why talking about money will change you life. Ma quando ci si trova in una situazione, o in un gruppo, che non abbiamo scelto – come nel caso dell’Università – è molto facile cadere in questa trappola, perché quando si intravede la possibilità di essere giudicati, viene naturale cercare di celare quella che è la propria situazione. 

La soluzione: parlare di soldi 

Nella nostra società, e con Rame è una cosa su cui riflettiamo spesso, parlare di soldi rappresenta ancora un enorme tabù. Lo consideriamo un argomento imbarazzante, scomodo, di cui non si può parlare apertamente, specialmente quando si tratta di esibire il proprio benessere economico o di discutere di quelle che sono le proprie difficoltà finanziarie. «Questa “reticenza” a parlare di denaro non fa altro che perpetuare questo senso di insicurezza e vergogna legata al proprio status economico, sia che sia positivo, che di difficoltà. Perché se continuiamo a celare la nostra situazione economica per paura di alimentare le fratture all’interno dei gruppi sociali, tutto questo circolo non fa altro che autoalimentarsi», dice Iannello. Perciò, dal senso di colpa si arriva a una situazione di disagio che ci fa vergognare di quello che abbiamo o che non abbiamo, lo nascondiamo, non ne parliamo, e così via. «Se si riuscisse a ridefinire il rapporto col denaro e a riorganizzare la narrativa che gli ruota intorno riusciremmo a superare un po’ quel senso di colpa, di imbarazzo o di vergogna; perché affrontare apertamente il tema del denaro ci dà la possibilità di sviluppare una visione più equilibrata della ricchezza, ma non della ricchezza nel senso di accumulo di denaro fine a se stesso, bensì della ricchezza nel senso di possibilità, di opportunità». Questa visione, riuscirebbe anche a portarci nuove occasioni di apprendimento e condivisione. 

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