Perché l’ascensore sociale non si è fermato al mio piano? - Rame

Perché l’ascensore sociale non si è fermato al mio piano?

Il sogno di Maria era di lavorare nell’ambito della Pianificazione del Territorio. Ma nonostante la dedizione e gli anni di studio, è stata costretta a reinventarsi come insegnante. Oggi vive un’esistenza serena ma continua a sentire l’assillo di una domanda: perché l’ascensore sociale non si è fermato al suo piano?

Tempo di lettura: 9 minuti

Ascolta il podcast della puntata:

“Se la strada che percorri non ti mostra nessun orizzonte, allora cambia strada. E così è stato per me. Però è un peccato che uno i sogni non riesca a realizzarli. Ma va bene lo stesso.”

Il sogno di Maria era di lavorare nell’ambito della Pianificazione del Territorio. Ma nonostante la dedizione e gli anni di studio, è stata costretta a reinventarsi come insegnante. Oggi vive un’esistenza serena ma continua a sentire l’assillo di una domanda: perché l’ascensore sociale non si è fermato al suo piano?

Il risparmio come strumento

Maria Nanna ha 37 anni ed è originaria di Casamassima, in provincia di Bari. Suo padre è un geometra, che esercita la libera professione. Mentre sua madre un’impiegata delle Poste.

«Quando siamo nati ci hanno aperto subito un Libretto postale, e tutti i regali in denaro che ricevevamo, ce li caricavano lì, perché nella vita bisogna sempre avere da parte un gruzzoletto per le emergenze. Loro vivevano sempre con lo spauracchio del risparmio e io lo percepivo un po’ con un senso di ansia. Però la definisco un’ansia buona, non pressante, di quelle che ti mettono in guardia. Non vivevamo in modo povero per risparmiare, perché per loro il risparmio era un mezzo».

Un mezzo per comprarsi la prima auto, come farà Maria appena 18enne, o per togliersi piccoli e grandi sfizi.

«Per esempio, quando mia madre si comprava qualcosa, nessuno le chiedeva mai: “quanto hai speso?” o “perché hai speso tutti quei soldi?”; quindi sì al risparmio, però con leggerezza. Non si è mai detto: “no, non possiamo fare questa attività perché costa troppo”. Quindi sarà anche il fatto di considerare i soldi come un mezzo che ha fatto scaturire in me questa consapevolezza finanziaria».

Finito il liceo, Maria si iscrive alla facoltà di Agraria, a Bari. I genitori le pagano le rette, i mezzi pubblici, i libri…

«Poi per il resto io lavoravo, facevo dei lavori soprattutto stagionali. Essendo il mio paese in una terra a vocazione tipicamente agricola è normale da noi sentire che in paese stanno cercando operai agricoli. Qui funziona molto la raccolta delle ciliegie o dell’uva, e sono lavori che ti permettono di lavorare in estate o in primavera e di guadagnare. Al di là del lavoro, per me era bello sentirsi considerati anche economicamente».

Questa considerazione, per Maria, prende presto la forma della libertà.

«Se volevo comprarmi il profumo, o uscire a mangiare una pizza, non volevo dare spiegazioni a nessuno. Volevo essere io a decidere come spendere i miei soldi».

Ma presto, alla soddisfazione puramente strumentale dell’aver soldi in tasca, si unisce una soddisfazione più profonda che deriva dal lavoro in sé. Dall’autonomia e dal senso di responsabilità che le permette di avere.

«Questo lavoro stagionale come bracciante agricolo ti responsabilizza perché loro ti spiegano cosa devi fare e come devono essere le ciliegie che raccogli, e quindi tu lo devi eseguire senza stare a chiedere ogni cinque minuti se quello che stai facendo è corretto. Perciò è un lavoro di autogestione».

Lo studio come ascensore sociale

Finita la triennale e poi la magistrale, Maria è Dottoressa in Scienze Forestali. Ha fatto un erasmus, scritto una tesi in lingue inglese, da cui vengono prodotte due pubblicazioni, ma all’università non c’è posto per lei. Nè per un dottorato né per un assegno di ricerca. Per 9 mesi non riesce ad inserirsi nel mercato del lavoro. Dà ripetizioni dopo la scuola, ma è costretta a stringere la cinghia sulle sue spese.

«Abbassai molto il mio stile di vita, uscivo di meno e non compravo più le cose che mi piacevano. Le rinunce mi facevano stare male, non era per me chiudere il portafoglio per avere una vita sacrificata. E poi, aldilà della gestione economica, mi chiedevo: “cosa faccio io adesso?”. Non volevo vivere dando ripetizioni, mi sentivo proprio inutile, non avevo un valore».

Nel frattempo però, non demorde. E continua a studiare.

“Ho seguito anche diversi corsi di formazione, convegni, perché bisognava sempre avere qualcosa in più. La laurea non bastava quindi dovevi fare il corso di formazione, organizzato dell’ente riconosciuto, il master e via dicendo.”

«Io li ho fatti ma non hanno sortito nessun effetto, se non una volta: dopo un convegno vidi chi erano i relatori e iniziai a mandare curriculum e mi assunse un libero professionista di Bologna».

Maria è giovane e ha fiducia nel futuro. Va a Bologna a lavorare per un studio agronomico privato, il contratto glielo rinnovano di tre mesi in tre mesi. Ma a una ennesima proroga, lei non accetta.

«Non mi stava bene lavorare a quelle condizioni. Il salario era basso e il lavoro non era alla mia altezza. Mi avevano assunta con un titolo e son finita a fare un lavoro d’ufficio. Mi sentivo sminuita a farlo».

L’ottimismo che la guida da mesi inizia a spegnersi. Maria vive a casa dei genitori, manda curriculum ovunque e si iscrive a tutte le agenzie interinali, ma per un anno quasi, non riesce a trovare nulla.

«Ho anche una buona conoscenza dell’inglese parlato e sarei stata disposta anche a spostarmi all’estero. E dico, cavolo, ma non mi è bastato neanche questo, la famosa elasticità”. Ora sono un po’ disillusa, penso che non basti soltanto la buona volontà e la cultura. Non so perché sia successo questo, mi sarebbe piaciuto saperlo ma nessuno dice cosa c’è che non va. Io vorrei sapere qual è la barriera di ingresso, voglio che me lo si dica, non ne rimango delusa però voglio prendere atto della caratteristica per cui sono stata scartata».

Una strada inaspettata

Maria è spinta dalla sua cultura e dalla narrazione dominante a cercare in sé l’origine del problema e a non riconoscere di essere finita dentro un meccanismo che tocca la sua intera generazione. Così l’unica soluzione possibile, le si para davanti sotto forma di banner pubblicitario che comunica la mancanza di insegnanti nelle regioni del nord Italia. Si ricercano supplenti anche fuori dalle graduatorie, così decide di provare e viene subito chiamata.

«Io non dimenticherò mai il giorno in cui fui chiamata. Era un sabato mattina e ricevetti una telefonata da una scuola Superiore di Cuneo. Pensavo scherzassero, potevo iniziare subito. Io feci il biglietto aereo e partii di lunedì, tempo di fare la valigia e mettere insieme un po’ di documenti».

Maria ha 28 anni e dalla sera alla mattina diviene una di quei tanti prof del Sud che vanno a coprire le cattedre del Nord.

«Tutti mi dicevano: “Sei pazza a farlo per solo 6 ore si supplenza”, “Quanto ti pagheranno?”, “Ma che vai a fare?”. Lo stipendio era di circa 500€ e io partii un po’ per la famosa gavetta che bisogna sempre fare. E poi mi dissi: ma perché no? Se devo rimanere qua disoccupata, ne vale anche solo per l’esperienza».

E così Maria fa questa scelta antieconomica. Tutti i soldi che guadagna se ne vanno in spese e affitto. Ma si dà la possibilità di esplorare una strada che non aveva mai preso in considerazione e di decidere se possa essere o meno la sua strada.

A chi mi dice che non sa se ne vale la pena iniziare, rispondo che ho fatto 1100 chilometri per 6 ore a settimana. Quel treno è passato, ci sono salita e ora, come mi dicono tutti, ho il posto fisso.

Finita la supplenza, infatti, si apre la graduatoria e per i successivi 5 anni, Maria si stabilisce a Cuneo dove insegna discipline tecniche in Istituti Agrari. Nonostante i soldi siano molto pochi, lei si concede il privilegio della scoperta.

«Io la domenica prendevo il treno e andavo andavo a Torino a visitare la città, oppure il Castello. Non si può vivere per lavorare perché i soldi vanno a vengono, perciò non volevo privarmi di scoprire luoghi nuovi per risparmiare i soldi del treno o per entrare ai musei».

Nel 2021, viene pubblicato il concorso, che Maria vince. E dopo un anno chiede il trasferimento in Puglia. Oggi eccola qui. Guadagna 1500 euro al mese circa e ha un’ottima gestione del denaro.

«Ho sempre il mio libretto di risparmio, e ho aperto una polizza di pensione integrativa. Ogni settimana poi, accantono una cifra. Lo faccio da un po’ di anni, da quando ho iniziato ad assestare le mie spese, perché all’inizio tra affitto e anticipo non ci riuscivo».

Dentro questa vita iniziata per caso, diversa da quella che aveva progettato per sé, si sente a suo agio. Se non fosse per certi giudizi della gente…

«C’è sempre questa voce per cui i docenti lavorano 18 ore a settimana, che tra parentesi, non è così. Ho avuto anche tanti amici che mi hanno detto: “Tutti quei soldi per così poche ore di lavoro. Niente male”, oppure, “Tu ti sei comprata quelle scarpe perché te le puoi permettere”. Penso che la gente faccia un po’ così con chiunque. Ecco perché non si parla di soldi, perché nessuno vuole sentirsi dire qualcosa del genere, come se si dovesse sempre dar conto a qualcuno dei propri soldi».

Maria, intanto, memore di ciò che ha imparato fin dall’infanzia, misura la sua soddisfazione in base alle opportunità che può permettersi di cogliere.

“Io penso che i soldi siano un ponte per la felicità, perché se in un anno hai fatto tre viaggi, sei automaticamente felice perché te lo puoi permettere”.

Condividi