Perché pensiamo che i ricchi siano tassati troppo poco?

Secondo l’indagine di Demopolis, la sensazione è che il Paese stia vivendo una fase di grande disuguaglianza, con una netta divisione tra chi beneficia della crescita economica e chi ne è escluso. La diffusione del lavoro povero, il costo della vita sempre più alto e i profitti record delle grandi aziende contribuiscono a rafforzare questa percezione, generando malcontento e tensioni sociali. Ma qual è la soluzione? E, soprattutto, chi è che produce la vera ricchezza?

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Foto di Jay Clark

Di questi tempi, la sensazione che qualcosa nel patto sociale che tiene insieme il Paese si sia incrinato è palpabile. Il “lavoro povero”, da termine sconosciuto ai più, è diventato una realtà quotidiana per molti giovani e per le loro famiglie, costrette a supportarli economicamente nonostante abbiano un impiego. Al contempo, le principali banche italiane segnano profitti record e distribuiscono generosi utili agli azionisti. In mezzo ai due estremi, c’è chi si barcamena tra il costo della vita che si alza, le rate del mutuo (anche loro più salate) e progetti economici per il futuro che si fanno sempre meno ambiziosi. La conferma che una percezione di crescente divario tra ricchi e poveri sia parte del sentire comune è recentemente arrivata da un’indagine condotta da Demopolis e promossa da Oxfam. Negli ultimi cinque anni, per 7 italiani su 10 le diseguaglianze economiche (e non solo) sono aumentate, mentre per il 34% sono rimaste invariate.  

Tassare i redditi più alti

Eppure, si spera, ad appianare le differenze dovrebbe contribuire il nostro sistema tributario, per il quale, come recita l’articolo 53 della Costituzione, «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Chi più ha, insomma, più paga. Un ragionamento che convince sempre meno italiani. Secondo la stessa indagine, il 41% degli intervistati ritiene che questo criterio sia rispettato soltanto in parte, mentre per il 37% non lo è affatto. La soluzione? Tassare i ricchi. Specialmente quelli che devono la loro condizione economica favorevole a redditi finanziari e a grandi patrimoni. Ne è convinto il 63% dei rispondenti al sondaggio di Demopolis. 

Lo studio

Si potrebbe pensare che questi dati siano il semplice riflesso emotivo di un disagio diffuso ma che ha poca attinenza con la realtà. Tuttavia, una ricerca pubblicata dagli studiosi della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università Bicocca di Milano sul Journal of the European Economic Association ha spiegato come il sistema fiscale italiano sia «solo blandamente progressivo per il 95% dei percettori di reddito, con un’imposizione fiscale che va dal 40% al 50%, e addirittura regressivo per il 5% dei contribuenti più ricchi». Da dove deriva questo trattamento così iniquo? Oltre alla effettiva regressività dell’Iva (chi è più povero destina gran parte del suo reddito per le spese essenziali), i ricercatori tirano in ballo le diverse fonti di reddito. Chi lavora, specialmente se è un dipendente, deve fare i conti con una pressione fiscale decisamente più elevata rispetto a chi gode di rendite finanziarie o da immobili. Quanto è più elevata? Se le aliquote IRPEF oscillano tra il 23% per i redditi più modesti al 43% per quelli più consistenti, i redditi da capitale vengono tassati al 26%, o addirittura al 12,5% se si è investito in strumenti come i Titoli di Stato. 

Chi produce la ricchezza?

Tradizionalmente, la minore pressione fiscale sui redditi da capitale è giustificata dall’idea che a trascinare la crescita economica siano i più ricchi. Questo in base al principio che chi detiene un capitale e lo investe finisce per portare benefici all’intera società. Ma la domanda se effettivamente questa condizione si verifichi, almeno nel nostro paese, è lecita. E a porsela è stata anche Mariana Mazzucato nel suo libro “Il valore di tutto – Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale”, nel quale l’economista mette in risalto il fraintendimento alla base di questa concezione: «il modo in cui la parola “valore” è usata in economia ha reso più facile a un’attività di estrazione di valore mascherarsi come attività di creazione di valore. Così, le rendite (reddito non guadagnato) sono confuse con i profitti (reddito guadagnato)». Di conseguenza, invece di produrre una società più ricca e giusta, «la disuguaglianza aumenta e gli investimenti nell’economia reale diminuiscono».

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