Quando un hobby si trasforma in un business

Tutti noi abbiamo delle passioni. C’è chi riesce a farle diventare una fonte di guadagno. Ma quando il cosiddetto hobbista deve aprire la partita IVA?

Tempo di lettura: 4 minuti

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Foto di Lorenzo Gerosa

La domanda

Caro Rame,

vorrei capire se da lavoratrice dipendente del settore privato e hobbysta, mi converrebbe aprire una partita IVA.

Una breve premessa: lavoro part-time perché ho un bimbo piccolo e non riuscivo a conciliare il tutto, quindi, a fronte di ciò, mi sono vista ridurre drasticamente lo stipendio raggiunto dopo anni di “gavetta”, e la circostanza mi ha fatto scattare qualcosa per cui ho deciso di riprendere in mano il amato mio hobby di creare bijoux e ho aperto un profilo Instagram.

Al momento i profitti sono tali da permettermi di restare hobbysta, ma mi piacerebbe valutare di investire in questa attività che amo e mi da soddisfazioni (contrariamente al lavoro da dipendente ormai), quindi la mia domanda è: quali sono i pro e i contro dell’aprire una partita IVA, considerando che manterrei anche il mio lavoro da dipendente? (chissà poi mai dire mai…).

Grazie in anticipo per il tempo e i consigli che vorrete darmi.

Grazie a tutta la squadra di Rame che è la mia prima vera fonte di “educazione finanziaria” e spero che un giorno sarò in grado di trasmettere quanto imparato al mio bimbo.

Elisa

Cara Elisa,

tutti noi abbiamo delle passioni. C’è chi riesce anche a farle diventare una fonte di guadagno, magari piccole attività da condurre in parallelo al proprio lavoro abituale, oppure veri e propri business ai quali dedicare tutto il proprio tempo.

Ma quando il cosiddetto hobbista deve aprire la partita IVA?

L’hobbista non è disciplinato in modo puntuale nel sistema fiscale. L’art. 28 del D.Lgs 114 del 1998 lo cita rimandando alle diverse discipline regionali, ma in estrema sintesi potrebbe essere definito come un operatore non professionale che vende in modo occasionale prodotti di modico valore, dove per modico valore si intende l’importo di 250 euro per ciascun prodotto (in alcune regioni il limite scende a 100 euro). Le occasioni di vendita sono effettuate solitamente all’interno dei mercatini, ed è necessario rivolgersi all’ente organizzatore o al Comune in cui ha sede il mercatino per conoscere la documentazione che è necessario presentare: solitamente viene anche richiesto l’ottenimento del “tesserino” che abilita alla partecipazione.

Quindi lo “spartiacque” non sempre facile da delineare tra l’apertura della partita IVA o meno risiede proprio nelle modalità con le quali si approccia questa attività: se viene esercitata in via non abituale, ovvero in modo non continuativo e quindi occasionale e non professionale, possiamo rimanere nell’ambito dell’hobbista senza partita IVA, il quale dovrà rilasciare una ricevuta a chi acquista un suo prodotto/creazione, alla quale andrà applicata la marca da bollo se supera i 77,47 euro. La somma di queste ricevute determina in alcuni casi un reddito che andrà dichiarato quale reddito diverso ex art. 67 del T.U.I.R.  all’interno della propria dichiarazione (dipende dall’importo raggiunto e se si hanno altri redditi, il mio consiglio è quello di rivolgerti al tuo commercialista per capire come comportarti).

Bene, tutto abbastanza chiaro per i mercatini di artigianato. Ma per le vendite online? Ecco qui la questione si fa più complicata. Se l’utilizzo dei social o dei marketplace è giustificato come una semplice vetrina senza i prezzi esposti, possiamo rimanere nell’ambito degli hobbisti senza partita IVA. Ma al contrario, se hai un sito internet, curi la produzione, la vendita e la spedizione in modo continuativo di questi oggetti, li promuovi costantemente sul tuo social network, l’attività è considerata abituale e professionale e quindi soggetta all’apertura di partita IVA. In questo caso, a determinate condizioni,  potrai sfruttare il regime forfettario – del quale avevo già parlato qualche tempo fa – per avere vantaggi sia da un punto di vista fiscale sia contributivo.

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