Quando vale davvero la pena uscire da un investimento?

“Compra quando il sangue scorre per le strade”, dice un vecchio adagio che circola negli ambienti della finanza. Eppure, quando qualcosa va storto, l’istinto ci porta nella direzione opposta: uscire dall’investimento per sedare la paura di perdite peggiori. Un errore, dicono i manuali di economia. Ma quando vale davvero la pena uscire da un investimento, e come comportarsi in momenti di crisi?

Tempo di lettura: 5 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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“Compra quando il sangue scorre per le strade”, dice un vecchio adagio che circola negli ambienti della finanza. Eppure, quando qualcosa va storto, l’istinto ci porta nella direzione opposta: uscire dall’investimento per sedare la paura di perdite peggiori. Un errore, dicono i manuali di economia. La finanza comportamentale ha dimostrato che questa tendenza è dovuta per lo più a due fattori: l’avversione alle perdite, che ci porta a soffrire per un passivo molto di più di quanto esultiamo per un guadagno, e una percezione errata dei fenomeni, che ci induce, in condizioni di stress, a imitare i comportamenti più diffusi. Dunque, se tutti vendono, vogliamo vendere anche noi. Ma quando vale davvero la pena uscire da un investimento, e come comportarsi in momenti di crisi? Ecco cosa ci ha detto un esperto.

I momenti in cui non farlo

Quando il mercato grida “al fuoco”, è allora che conviene stare fermi, consiglia Giovanni Tarditi, che i mercati li “vive” da trent’anni, prima da trader e ora da gestore di un fondo: «Nessuno ha una sfera di cristallo che può dirci quando è il momento giusto di uscire, ma c’è una sorta di legge sempre valida: se sui giornali cominci a leggere titoli come “La borsa brucia 20 miliardi di euro”, non è il momento di fare scelte dettate dalla paura. I trader professionali sono addestrati a gestire situazioni del genere e sanno che quando c’è il panico non è mai il momento di vendere. Equivarrebbe a uscire quando le quotazioni sono al minimo, e massimizzare le perdite. Prendiamo il caso della Silicon Valley Bank, fallita a marzo creando non pochi problemi anche a un colosso come Credit Suisse, e provocando uno scossone al mercato. In situazioni come queste, di solito, “il gregge” scappa, ma i professionisti fanno il contrario. Il consiglio, per chi non è esperto, è quantomeno di aspettare, perché le burrasche passano».

A questo proposito, leggi i consigli della Consob sugli errori comportamentali da evitare e su come reagire in tempi di crisi.

Le due condizioni per non vendere

  1. Un portafogli diversificato
    Il discorso vale naturalmente se hai in “pancia” un portafoglio di titoli diversificato. «Naturale che se hai azioni di una sola azienda, e cominciano ad arrivare notizie che lasciano intendere che la situazione sta scivolando, devi farti qualche domanda. Se però il tuo è un piano di investimenti bilanciato, come la maggior parte di quelli dei piccoli risparmiatori, meglio avere pazienza. Eventi talmente catastrofici da far crollare tutti i titoli di un portafoglio nello stesso periodo sono davvero rarissimi», aggiunge Tarditi.
  2. Un orizzonte temporale lungo
    «Per restare tranquilli anche in presenza di una turbolenza, devo avere la serenità di poter lasciare i miei soldi ancora per molto tempo. In altre parole, devo avere un orizzonte temporale lungo», spiega Tarditi.

Cosa significa avere un portafogli diversificato?

«Avere nel paniere quote di azioni e obbligazioni o Titoli di Stato, in un rapporto dove le obbligazioni siano almeno al 40% rispetto alle azioni», spiega Tarditi. «È un’allocazione che ti permette da una parte di beneficiare dell’andamento positivo dei mercati azionari, che garantiscono guadagni maggiori, e nei periodi negativi avere un reddito fisso che ti protegge, che arriva appunto dalle cedole delle obbligazioni. Diversificare i settori di investimento, inoltre, ci aiuta a tutelarci ancora di più», dice l’esperto. Ci sono momenti in cui diversi fattori si incrociano, e le perdite diventano inevitabili. Nel 2022 per esempio, abbiamo assistito a una combinazione rara: se da una parte guerra e crisi energetica hanno provocato scossoni sui titoli azionari, l’inflazione e i continui i rialzi del costo del denaro hanno parallelamente fatto cadere anche i rendimenti dei titoli di Stato. Ma è qui che entra in gioco il fattore tempo. «Nel 2023 il mercato ha già in parte recuperato le perdite del 2022 e questo ci suggerisce quanto sia importante  aspettare che la situazione si avvii verso la normalità, prima di prendere decisioni azzardate».

E se il mio investimento di lungo periodo sta scadendo?

Cosa succede se il mio era un investimento a lungo raggio, ma la data della scadenza si avvicina? «Molto dipende dal tipo di rischiosità dell’investimento, ma per evitare il problema bisogna giocare d’anticipo», suggerisce l’esperto. «Se il tuo portafoglio è aggressivo e sai che la scadenza si sta avvicinando, devi attuare un po’ di tempo prima una strategia di derisking». Significa vincere la tentazione di voler guadagnare fino all’ultimo giorno, e iniziare a vendere un po’ prima, virando verso prodotti più sicuri, anche se le cose stanno andando benissimo. In altre parole, vendere azioni rischiose e spostarsi verso altre più sicure, o obbligazioni a breve termine, che sono tradizionalmente le meno remunerative ma che danno maggiore tranquillità. Oppure uscire da un fondo azionario per entrare in uno obbligazionario.

Il check semestrale

Per evitare rischi, dovremmo anche imparare a leggere i fenomeni e a osservare i trend, così da avere qualche chance in più di “prevenire” i danni causati dalle fasi negative. Tarditi fa un esempio: «Se ho un portafoglio di azioni concentrato nel settore big tech, e so che hanno fatto benissimo durante la pandemia, devo considerare che il trend positivo non continuerà all’infinito. Dunque, devo iniziare a valutare la possibilità di vendere in parte e comprare altri prodotti in un altro settore».

«La regola d’oro di un trader è fare un check del proprio portafoglio ogni giorno, aprire cioè i giornali e chiedersi ogni mattina se comprerebbe ancora i titoli che ha in tasca. E in base alla risposta stabilire la propria strategia», dice Tarditi.  Se analisi del genere non sono alla nostra portata, possiamo però confrontarci con qualcuno più esperto di noi. «Fissare un appuntamento semestrale o almeno annuale con il consulente e fare un punto della situazione, dopo esserci assicurati di avere scelto un professionista credibile e preparato. Ogni sei mesi andrebbe fatto un assessment del portafoglio, valutando il dafarsi sulla base dello scenario e di cosa potrebbe accadere. Quanto più il paniere è concentrato su un singolo nome o settore, tanto bisogna stare attenti», è il consiglio.

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