Quando vendo l’usato, devo dichiarare i proventi?

Non è chiaro ma la direttiva DAC-7 impone alle piattaforme digitali di comunicare i dati di chi effettua più di 30 operazioni in un anno o per un ammontare sopra i 2.000 euro. Ecco i possibili scenari.

Tempo di lettura: 4 minuti

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Foto di Travis Yewell

Che cosa prevede la DAC-7?

La direttiva europea DAC-7 impone alle piattaforme digitali, a partire dal 1 gennaio 2023, di comunicare i dati dei soggetti che effettuano più di 30 operazioni in un anno o per un ammontare superiore a 2.000 euro.

Vinted, nota piattaforma nel mondo della compravendita del fashion usato, è la prima che ha dato informazioni abbastanza precise sulla sua pagina, prevedendo che nel caso non venisse compilato il questionario richiesto, potrebbe trattenere il saldo delle vendite effettuate fino a quando la comunicazione non viene compilata, piuttosto che bloccare l’utilizzo dei servizi all’utente “inadempiente”.

Come cambiano le regole del gioco?

La domanda che in tanti si stanno ponendo (io per prima) è: che tipo di conseguenze questa comunicazione potrà avere nelle tasche degli utilizzatori. In buona sostanza, è necessario dichiarare i proventi realizzati mediante la vendita di beni usati?

In questo articolo cercherò di dare una risposta per niente scontata a questa domanda, partendo dall’assunto che le mie sono interpretazioni di carattere generale e ogni situazione ha bisogno di una valutazione ad hoc.

Quando è necessario aprire la Partita Iva?

Partiamo dal presupposto che non è di certo necessario aprire la Partita Iva perché insieme alle pulizie di primavera abbiamo deciso di liberarci di abiti, borse e scarpe svuotando il nostro armadio e racimolando qualche centinaio di euro. Tuttavia è necessario cominciare a fare dei distinguo perché indubbiamente questa comunicazione (i primi dati che saranno trasmessi sono quelli del 2023) cambia le regole del gioco delle vendite online.

Affinché si configurino le condizioni per l’apertura della Partita Iva è sempre necessario vi sia l’esercizio in forma abituale e professionale di un’attività economica, e questo non cambia in vista della DAC-7. Va da se che se hai deciso di iniziare un’attività economica nel mondo del vintage il fatto di utilizzare come canale di vendita una piattaforma digitale non cambia la regola e quindi sarà necessario aprire la Partita Iva e il provento della vendita andrà fatturato ovvero inserito tra i corrispettivi . Quindi regola n. 1: se stai esercitando un’attività in forma abituale ed organizzata (o hai intenzione di farlo) e quindi, ti sei organizzata con un tuo sito e-commerce, fai pubblicità, hai un negozio, o anche un’agenzia di affari (le cosiddette vendite conto terzi di beni usati per le quali viene trattenuta una percentuale per il lavoro di intermediazione) il fatto di vendere tramite piattaforme come Vinted o Subito, comunque non cambia la natura del provento che deve essere trattato al pari di quanto succede nel momento in cui effettui una vendita in negozio.

E se sono un hobbista?

Veniamo poi al caso di chi svolge l’attività di hobbista, magari occasionalmente partecipa a mercatini rionali (ne avevo parlato qui) e utilizza anche il canale delle piattaforme digitali per ampliare il “suo” mercato. In questo caso l’attività, nei casi in cui possa essere considerata occasionale, è comunque assoggettata a tassazione e i proventi realizzati andranno dichiarati quali redditi diversi ai sensi dell’art. 67 del TUIR. Non è necessario aprire la Partita Iva, ma il reddito realizzato tramite la vendita di beni usati mediante le piattaforme digitali andrà dichiarato.

Il discrimine tra attività commerciale e no

E veniamo ai casi un po’ più complessi: abbiamo già detto che svuotare il proprio armadio non comporta l’apertura della Partita Iva. Tuttavia è necessario fare attenzione al caso in cui questa attività benché saltuaria sia considerata “commerciale” e quindi passabile della generazione di un reddito diverso (ex art. 67 del TUIR) che andrà dichiarato. La C.T. Prov. Pisa n. 33 del 13 gennaio 2004, nell’analizzare la vendita occasionale di gioielli di famiglia considerata esentasse, ha stabilito che “singole e sporadiche operazioni di acquisto e di vendita effettuate senza alcuna organizzazione non possano configurare un’attività commerciale, in quanto occorre una serie di atti combinati, ancorché di natura elementare affinché questo avvenga”. Quindi partendo da questo assunto anche più di 30 operazioni in un anno o importi superiori a 2000 euro non dovrebbero (scusa ma il condizionale in questo articolo è d’obbligo) comportare alcuna tassazione. Va da se che, se al contrario, sulla piattaforma digitale oltre ai nostri abiti vendiamo anche quelli di amici e parenti trattenendo una provvigione, se pubblicizziamo sui nostri social queste vendite, insomma se ci comportiamo in un modo, che caso per caso, andrà valutato possa comportare l’esercizio di un’attività commerciale, i relativi proventi andranno tassati. E a seconda del livello di organizzazione dell’attività esercitata, sarà eventualmente necessaria l’apertura della Partita Iva.

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