Quanto ci costa l’educazione che impartiamo ai maschi?

È la domanda che si è fatta un’economista, Ginevra Bersani Franceschetti, quando ha scoperto che circa il 90% dei reati (dalla violenza fisica all’evasione fiscale) è commessa da uomini. Con grande fatica ha raccolto i dati e ha scoperto che la nostra società paga 99 miliardi di euro all’anno, pari al 5% del Pil, per sopperire alle conseguenze della cultura della sopraffazione trasmessa agli uomini. Dovremmo tutti essere educati come se fossimo femmine?

Tempo di lettura: 5 minuti

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Sapevi che…

  • l’82% degli autori di reati per cui è stata aperta una procedura penale
  • il 92% degli imputati per omicidio
  • l’83% degli autori di incidenti stradali mortali
  • il 95% della popolazione mafiosa
  • il 92% degli evasori fiscali
  • l’89% degli usurai

…sono uomini?

Se questi dati ti stupiscono, il motivo è presto detto: non siamo abituati a leggere questo genere di statistiche in base al genere. Le sentiamo basate sull’origine sociale o nazionale dei colpevoli, sull’età, sul livello di istruzione, ma la griglia uomo/donna non è mai stata presa in considerazione. Almeno fino a oggi. L’economista Ginevra Bersani Franceschetti per la prima volta nel saggio Il costo della virilità ha messo in fila i numeri secondo questa prospettiva, illuminando quello che lei definisce «un punto cieco enorme non solo nell’analisi pubblica ma anche nel funzionamento delle politiche pubbliche».

Perché questi dati ci stupiscono così tanto?

Lo stupore che provocano questi dati è il frutto di un classico errore di percezione. Abbiamo un’idea distorta della quantità di donne che commettono reati, perché quando succede ricevono un’attenzione mediatica superiore. Il fatto è talmente “eccezionale” da fare più notizia. Non solo, ci dice Bersani: «C’è una curiosità morbosa verso la donna che commette violenza. Subito si tende a psicanalizzarla. Per ogni reato commesso da una donna, ce ne sono 100 commessi dagli uomini, eppure non leggiamo articoli che analizzano così a fondo la vita di questi criminali».

Ma la violenza è insita nella natura dei maschi?

La scienza ci dice che non c’è nessuna differenza biologica tra i sessi che possa giustificare una tale disparità nel comportamento sociale. Se gli uomini sono cittadini peggiori è solo ed esclusivamente perché vengono educati così. «Anzi, la prova che i valori della virilità sono trasmessi culturalmente è proprio il fatto che ci sono, sia pur minoritarie, donne violente e uomini pacifici», spiega Bersani. Pensiamo che la violenza sia insita nella natura umana perché continuiamo a considerare il maschio come il modello base dell’umanità. I comportamenti degli uomini sono la norma e quelli della donna l’eccezione. Peccato che le donne non siano una minoranza ma abbiano pari quantità degli uomini.

Dovremmo educare i bambini come facciamo con le bambine?

Negli ultimi anni, abbiamo messo sotto accusa il modo in cui vengono cresciute le bambine: la tipologia di giochi orientati all’accudimento, l’incitazione a sorridere, il culto della disciplina. Tutti aspetti che contribuirebbero a renderci sottomesse. Questo studio, però, sembra ribaltare la prospettiva. Bersani non è una pedagogista ma lascia parlare i dati. «La metà della popolazione, e cioè coloro che non sono educate secondo i valori virili, hanno statisticamente comportamenti più pacifici e altruistici, in linea con la comunità in cui viviamo», osserva. «Qui non si tratta di insegnare ai maschi a mettere lo smalto o a farsi i boccoli, ma di dare un’educazione più orientata all’empatia. L’educazione che diamo alle donne non è perfetta, ma statisticamente migliore. Anzi, lo dico meglio: mentre la cattiva educazione degli uomini fa male alla società, la cattiva educazione delle femmine fa male solo all’individuo».

Mentre parlavo con mia figlia adolescente di questo libro, lei mi ha spiazzato commentando che, se iniziamo a educare i maschi come le femmine, avremo una società di insicuri… Pongo la questione a Bersani e lei mi risponde: «Noi donne siamo insicure perché viviamo in una società dove l’altra metà dell’umanità, quella considerata dominante, si comporta in modo totalmente opposto», risponde Bersani. «Se fossimo solo noi donne, col nostro set di valori, probabilmente non avremmo questo senso di insicurezza».

Come avviene questa trasmissione della virilità?

La cultura virile viene trasmessa in modo completamente inconscio. «Già nei bebè che hanno meno di due settimane si vede un comportamento diverso», spiega Bersani. «Trasmettere la cultura dominante è un modo di proteggere i figli, un modo per metterli al sicuro». I primi anni di vita dei bambini sono i più determinanti dal punto di vista educativo. «Nasciamo con appena il 10% delle connessioni cerebrali formate, il resto si crea in funzione delle attività che facciamo, dei giochi a cui ci applichiamo, delle relazioni che instauriamo». Ma in cosa consiste esattamente questa educazione virile? Ne fa parte la pulsione verso la performance, soprattutto quella economica. «Non è un caso che gli uomini si suicidino tre volte più delle donne e la prima ragione è il fallimento economico o l’incapacità di portare il pane a casa». Tra i comportamenti considerati virili c’è anche il consumo di carne o lo scarso riciclo dei rifiuti. «Facci caso: mangiare carne rossa è considerato virile, mentre fare la spesa con la sportina di stoffa no. Andare in giro con il Suv 4×4 è virile, parcheggiare alle colonnine l’auto elettrica no». Non si può calcolare, ma l’impatto della virilità sulla pressione verso il pianeta è enorme.

Ma se sappiamo che la virilità costa allo stato il 5% del Pil, quanto costerebbe cambiare l’educazione?

«Lavorare sulla cultura è una delle politiche pubbliche più difficili che possano esistere, perché devi agire a più livelli contemporaneamente: famiglie, scuola, società», spiega Bersani. «Ma ci sono delle leve concrete e azionabili fin da subito, come per esempio i corsi di empatia nelle scuole. Sono molto diffusi nei Paesi del nord Europa ed è stato lanciato un pilota anche in Francia, nel settembre 2023. Si tratta di azioni che non hanno una storia così lunga da poterne misurare l’effetto, ma di certo sono una delle cose più immediate che si possono fare. Poi si potrebbero attivare delle leve più pop, attraverso la televisione, la radio e tutte le piattaforme che i giovani possono intercettare. I prodotti di intrattenimento hanno un potere enorme, ai fini della costruzione dell’immaginario, soprattutto durante l’adolescenza. Considera che io ho 27 anni, mio marito 37 e mia sorella 16. L’altra sera abbiamo guardato un film tutti assieme, e se per mio marito era assolutamente evidente la presenza di persone etnicamente diverse, mia sorella neppure se n’è accorta».

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