Quanto costa mangiare sostenibile?

C’è un sondaggio condotto dal Wwf in 11 Paesi dell’Unione europea, da cui emerge che per 6 cittadini su 10 il prezzo alto del cibo è il principale ostacolo al consumo di alimenti sani e sostenibili. Ma è davvero così? Ciò che fa meno male all’ambiente è più caro? Vediamo cosa dicono i dati.

Tempo di lettura: 7 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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C’è un sondaggio di qualche mese fa, condotto dal Wwf in 11 Paesi dell’Unione europea, da cui emerge che per 6 cittadini su 10 il prezzo alto del cibo è il principale ostacolo al consumo di alimenti sani e sostenibili. Per più di tre quarti degli intervistati il cibo sostenibile dovrebbe costare meno o almeno non di più del cibo che non rispetta l’ambiente. La percezione, dunque, è che gli alimenti che hanno un basso impatto sul pianeta costino di più. Ed è un problema non di poco conto, se si pensa che per mangiare e bere – i conti li ha fatti l’Unione nazionale consumatori – nel 2023 una coppia con due figli ha speso 777 in più rispetto all’anno prima. A un occhio più superficiale la realtà sembra confermare il sentire comune: il costo di una coppia di hamburger di tacchino può scendere fino a 1,80 al supermercato, quello degli omologhi vegetali, nello stesso canale, non va sotto i 3-3,50 euro. Per non parlare di tutta una serie di alimenti, sfusi o confezionati, che si mettono il vestito “green”. Ma è sufficiente per affermare che ciò che fa meno male all’ambiente è più caro? Vediamo cosa dicono i dati.

Cosa signifca mangiare green: qual è il cibo più  sostenibile

Detto in due parole, mangiare sostenibile significa mettere in tavola solo alimenti la cui produzione ha un impatto più basso sull’ambiente. Per farsi un’idea basta dare un’occhiata al report della fondazione Openpolis, che nel 2021 ha messo in ordine i principali prodotti alimentari  in base al loro impatto ambientale. In fondo alla lista dei “nemici” dell’ambiente ci sono frutta secca, patate, banane, piselli e mais. In cima spicca invece la carne di manzo, seguita da quella di agnello e di montone, poi da formaggi e latticini. Nella sola Italia, recita il report, l’85% delle emissioni nel settore alimentare riguarda cibi di origine animale.

Cosa si intende per cibo sostenibile

Siamo portati a pensare che il trasporto dei prodotti e i loro imballaggi siano i principali responsabili dell’impatto sull’ambiente, ma come si legge nel report, l’impronta ecologica di una banana importata in Europa dall’Ecuador è decisamente inferiore rispetto a quella di un formaggio prodotto in una fattoria locale. «Rispetto alla totalità del processo produttivo, il packaging dei prodotti influisce in maniera relativamente bassa sull’ambiente, nonostante sia importante preferire prodotti con meno imballaggi possibili», conferma Domiziana Illengo, campaigner area Alimentazione vegana di Lav, Lega Italiana Vivisezione. «I trasporti hanno un impatto più alto. Tuttavia, preferire cibi completamente vegetali, anche di importazione, risulta più sostenibile che consumare prodotti di origine animale, anche qualora fossero locali. Le emissioni legate alla produzione di cibo per l’animale, all’esistenza dell’animale stesso e alla produzione della carne, sono talmente più alte da compensare e superare di media quelle legate al trasporto. Abbiamo visto che per la produzione di 100 gr di carne bovina si emettono 0,008 kg di Pm 10, la stessa quantità di piselli il dato si riduce a 0,0002, 40 volte meno! Mangiare vegetale resta in ogni caso la scelta più rispettosa per il pianeta, inoltre parallelamente al fattore ecologico, scegliere un’alimentazione plant-based è la scelta etica verso la quale dirigersi».

Quanto costa il cibo sostenibile

Nell’introduzione abbiamo paragonato il prezzo di un burger vegetale a un burger di carne. «Ma la spesa di ciascuno non dipende dal singolo prodotto, bensì da come scegli di comporre la tua alimentazione. Come chi ha una dieta onnivora, può scegliere di mangiare prodotti con costi molto differenti tra loro», dice l’esponente della Lav. «Anche le alternative alla carne hanno tante fasce di prezzo. Se prendiamo i soli burger vi sono ad esempio quelli di fascia più alta, che mirano ad imitare gusto e consistenza della carne, come anche le carni plant-based stampate in 3D. Ma è possibile acquistare alternative vegetali a prezzi minori, senza che la qualità necessariamente venga intaccata. Ci sono anche tutti quegli alimenti che sono già presenti nell’alimentazione onnivora, come verdura, frutta secca legumi, il cui costo è ben più contenuto. Non è necessario basare l’alimentazione vegetale sulle alternative costose. Tutto questo per dire che chiunque di noi può decidere di mangiare in un determinato modo a prescindere dalla propria capacità di spesa». Qualche esempio: per una coppia di burger vegetali da 125 grammi ciascuno si possono spendere circa 3,50 euro, mentre un burger di finta carne va dai 5 fino ai 10, mentre i legumi sono tra i cibi meno cari in assoluto, con un prezzo che parte anche da 5 euro al Kg. Anche per il tofu, derivato della soia, si spendono poco più di 2 euro per una ricetta per due persone con le verdure.

Lo studio di Oxford: il green costa il 25-30% in meno

Che la cucina senza carni sia anche più economica, a patto di non scegliere alimenti troppo elaborati, lo conferma uno studio pubblicato su Lacent Planetary Health nel 2021, che ha analizzato in 150 Paesi i prezzi ufficiali di 463 alimenti rappresentativi, costruendo, a partire da questi, diverse tipologia di dieta. Lo studio ha elaborato, tra gli altri, 4 modelli dietetici nutrizionalmente equilibrati e sostenibili, prevalentemente a base vegetale: flexitarian, pescatarian (con maggiore domanda di prodotti ittici da acquacoltura sostenibile), vegetariane e vegane. I modelli meno costosi in assoluto sono risultati essere il vegetariano e vegano ad alto contenuto di cereali. «I ricercatori hanno stimato che a livello europeo, un’alimentazione vegetale costa il 20-25% in meno rispetto alla dieta onnivora, mentre la scelta alimentare più costosa è quella che si basa essenzialmente sul consumo di pesce», dice Domiziana Illengo.

Da 37 a 29 euro: quanto costa a settimana mangiare sostenibile

Dall’analisi è emerso anche che, se per la “classica” dieta onnivora l’esborso medio nei Paesi industrializzati è l’equivalente di 45 euro alla settimana a persona, per l’alimentazione flexitariana si scende a 37 euro, 30 per quella vegetariana e 29 per quella vegana. «Questo studio è molto importante non tanto per la comparazione tra stile onnivoro e sostenibile, ma perché dimostra numeri alla mano, che l’alimentazione plant-based può essere per tutti, non solo per chi sceglie crostini all’avocado».

7 ero in meno a settimana con la dieta Mediterranea

Un altro studio, condotto dall’Università di Bologna nell’anno della pandemia, che invece si concentra sulla dieta Mediterranea, arriva a una conclusione analoga: la sostenibilità a tavola fa bene anche al portafoglio. Gli studiosi hanno analizzato le abitudini alimentari degli italiani studiando i carrelli della spesa di 7 menù settimanali differenti. La dieta mediterranea è stata individuata come la scelta più sostenibile in un sistema onnivoro, ma anche il più economico: la spesa per persona è stata di 46,27 euro a settimana, contro 53,55 euro.

Il costo nascosto della carne

«C’è infine un ultimo elemento, che chiunque si domandi quanto costa mangiare sostenibile dovrebbe considerare, e cioè il costo legato al consumo di cibi poco sostenibili, e che sia la società sia i singoli individui finiscono per pagare, non accorgendosene», conclude la Illengo. Su questo la Lav ha pubblicato nel 2021 uno studio in cui ha messo a confronto i costi causati dalla produzione e il consumo di alcuni tipi di carne, salumi e legumi. «Volevamo indagare quei costi che non troviamo sul prezzo esposto ma che incidono sui bilanci pubblici e privati nel lungo periodo, dividendoli in due macroaree: costi ambientali e costi sanitari». I risultati? Ogni anno l’Italia paga 37 miliardi di euro in termini di conseguenze per il riscaldamento climatico, inquinamento e impoverimento del suolo da una parte, e di sanità pubblica dall’altro. Quest’ultimo capitolo pesa per 12,7 miliardi di euro. «È uno studio importante, che mostra come una scelta etica sia anche quella migliore da un punto di vista ambientale, sanitario ed economico».

2 euro di cure per ogni etto di salame

A sorprendere sono soprattutto i dati che mettono in relazione i costi sanitari legati ai cibi. «La ricerca non fa altro che tradurre in costi, dati che già sono stati messi in evidenza dall’Oms, e cioè quelli della relazione tra il consumo di certi alimenti e l’aumento delle probabilità di contrarre malattie cardiovascolari e tumorali», spiega l’esperta. Considerando 4 patologie: diabete, carcinoma al colon e al retto, ictus e malattie cardiovascolari,  il costo per la collettività in termini di impatti sanitari risulta pari a 35 centesimi di euro per 100 g di carne rossa e più di 2,08 euro per la carne lavorata. Al contrario i legumi non presentano costi sanitari, perché un consumo di 50 o 100 grammi al giorno non aumenta il rischio di contrarre queste malattie. Anzi, per un etto di legumi consumati ogni giorno, il rischio di contrarre malattie cardiovascolari si riduce di più del 10%.

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