Quella vergogna di chiedere soldi in prestito
Ciccio Rigoli cresce in Calabria in una casa dove non manca nulla, ma non c’è nulla più del necessario. Verso i 35 anni, lascia il suo lavoro a tempo indeterminato e investe tutto ciò che ha (Tfr incluso) in una visione: uno spazio di coworking chiamato Slam, dedicato all’editoria e allo spettacolo. Ma proprio quando le cose iniziano a funzionare, la pandemia mette in crisi il modello del coworking e l’intero business dello spettacolo. Ciccio si ritrova con un sogno in mano e un anno di affitti non pagati.
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“Dico sempre, scherzando, che non ho niente e che il mio superpotere è la povertà. Quando non hai niente, non ti possono togliere niente. Ho fatto mia la teoria del Fight Club: quando possiedi troppe cose, sono le cose che iniziano a possedere te. Diciamolo, io in questa quasi-povertà un po’ ci sguazzo”.
Ciccio Rigoli, il protagonista della nostra storia, ha anche un altro superpotere oltre a quello della povertà: non ha paura di chiedere aiuto, aiuto economico intendo. «Solo quando è necessario. Anche perché, se si chiede quando non è necessario, le persone non ti danno niente. Se invece lanci una sottoscrizione perché hai delle difficoltà, oppure perché vuoi fare uno spettacolo a teatro, le persone ti aiutano a concretizzare il tuo sogno, perché è un sogno che restituisce qualcosa».
Ma per capire come Ciccio abbia scoperto e messo alla prova questi due superpoteri dobbiamo fare un salto indietro nel tempo e nello spazio.
Dalla Calabria a Perugia, seguendo il sogno dell’editoria
Primi anni Ottanta. Ciccio Rigoli nasce a Civello, paese di 200 abitanti, in Calabria, nella piana di Gioia Tauro, figlio di mezzo in una famiglia di cinque persone.
«Sono fondamentalmente un figlio del Ministero della pubblica istruzione. Ho una mamma che ha sempre fatto l’insegnante elementare e un papà che quando ero molto piccolo riparava televisioni, ma non gli piaceva moltissimo, e poi ha trovato il lavoro della sua vita facendo il bidello o, come dice lui, il personale non docente».
Hai presente quelle case in cui non manca niente, ma al tempo stesso non c’è niente più del necessario? Ecco, così era a casa di Ciccio.
“Non abbiamo mai avuto la necessità di avere molto di più di quello che avevamo. C’era la casa, c’era la campagna e gli stipendi che entravano regolarmente”.
I genitori di Ciccio compiono quel miracolo quotidiano, spesso precluso alle nuove generazioni, di risparmiare. Lo fanno grazie a un misto di entrate fisse ed economia di sussistenza: olio, vino, frutta, non si devono mai comprare. E così non solo vivono dignitosamente, ma riescono anche a mandare i figli a studiare fuorisede. Ciccio a 19 anni si trasferisce a Perugia, dove dormendo allo studentato, mangiando in mensa e guadagnando qualcosa con il cabaret, si laurea in Scienze della Comunicazione.
«Mi sono trasferito a Milano per fare il cabarettista. Però io e il mio socio dei tempi abbiamo capito subito che non era così immediato. Eravamo molto bravi a Perugia, ma probabilmente perché eravamo gli unici cabarettisti a Perugia. C’è chi ci ha detto che rischiavamo di avere la sindrome di Goteborg: perché la squadra di calcio del Göteborg vince tutti gli anni il campionato… in Svezia. Poi va nelle coppe europee e la “legnano” al primo turno».
Arrivati a Milano, lui e il suo amico si presentano pieni di speranza all’ufficio di collocamento. Sono laureati e non hanno alcuna intenzione di accettare un lavoro al call center: «In quel momento squilla il telefono. Era la Adecco che mi proponeva un posto al call center e ho detto sì senza pensarci un attimo».
Dopo un anno di call center, Ciccio fa un master in editoria che si paga da solo con un prestito d’onore. «La cosa divertente è che sono andato nella filiale della mia banca a chiederlo e nessuno sapeva di cosa si trattasse. Era un loro prodotto. Ma praticamente ho dovuto spiegargli io come farlo. La soddisfazione è che l’ho ripagato completamente con il mio lavoro in editoria».
Gli anni da imprenditore a Milano
Ciccio Rigoli lavora in editoria con contratto a tempo indeterminato fino al 2016. Anno in cui molla tutto per fondare qualcosa di suo. Uno spazio di coworking chiamato Slam, dedicato all’editoria e allo spettacolo.
«Che bella idea che ho avuto. L’ho dedicato a due dei settori più poveri in assoluto, l’editoria e lo spettacolo. In realtà, paradossalmente, è andata bene. I primi anni abbiamo fatto la fase di start up, nel 2018 e nel 2019 siamo riusciti a sostenerci, i primi due mesi del 2020 stavamo andando proprio alla grande…».
Ciccio si butta nell’impresa senza un vero e proprio paracadute.
“Ecco, se fossi stato più oculato non avrei investito tutto il mio Tfr in Slam. Tutto! Il Tfr è arrivato sul mio conto e l’ho subito girato come caparra dello spazio. Praticamente non avevo più niente, galleggiavo. Ho fatto l’imprenditore che crede nel suo sogno e mette da parte se stesso. E quindi per tre anni non ho ricevuto lo stipendio. Francamente non so come ho fatto a sopravvivere, senza incassi, senza nulla. Però ce l’ho fatta. Son qua adesso”.
A venirgli in soccorso è quel superpotere della povertà di cui ci ha parlato all’inizio.
«Una cosa che fa sempre molto arrabbiare mia mamma è quando le dico: “Mamma, la fortuna nostra è che siamo sempre stati poveri”. E lei dice: “Non siamo poveri”. “Sì, non siamo poveri, ma la ricchezza è tutt’altra cosa, cara madre”. Perché, soprattutto da adulto, mi è capitato di conoscere persone che avevano avuto un’infanzia molto ricca e poi, per qualche motivo, avevano vissuto tracolli finanziari. E lì è abbastanza difficile ripartire da zero. Invece io, partendo da una classe molto media, ed essendo nato e cresciuto in Calabria, quindi al di fuori dei grandi circuiti, non ho mai conosciuto la ricchezza. Compro poche cose che costano poco. E non avendo grandissimi acquisti da fare, riesco a vivere adeguatamente. Però non ho mai sognato di diventare ricco. Cioè quel pensiero lì non ce l’ho mai avuto e non credo che ce l’avrò perché vengo da una situazione di base in cui la ricchezza non era un obiettivo».
Negli anni della startup, mentre galleggia in questo peculiare equilibrio tra assenza di bisogni materiali e appagamento emotivo da parte della professione, Ciccio vive anche il divorzio da sua moglie con cui ha un figlio.
«La cosa più terribile, nel momento in cui ti separi, credo sia la burocrazia dei sentimenti. Mi sono sentito dire delle cose agghiaccianti durante le udienze. C’è una frase dell’avvocato della mia ex moglie che mi è sempre rimasta molto impressa: “Quindi per lei suo figlio non vale neanche 500 euro”. E io credo sia una cosa terribile da dire a un padre in un momento drammatico. Se non sbaglio, il divorzio è una delle maggiori cause di indebitamento. Ed è una cosa molto brutta, molto poco umana. Perché nel momento in cui vivi un dolore così grande non dovrebbe esserci l’aggiunta di questo, soprattutto se non possiedi nulla».
Il fallimento e la richiesta di aiuto
Il famigerato marzo 2020 sorprende Ciccio Rigoli nella prima fase di respiro dal lancio della startup. Le cose stanno iniziando finalmente a funzionare. Ma il modello di coworking viene improvvisamente spazzato via dalla pandemia. Anche quando a maggio può finalmente riaprire le porte dello spazio, il conto economico fa acqua da tutte le parti.
«Non ci stavamo neanche a martellate perché potevano entrarci meno persone. E nel caso di una persona positiva, io avrei dovuto chiudere la baracca per due settimane… non potevamo fare più i corsi».
Il coworking ha un suo progetto laterale, Slam Factory, che organizza i Poetry Slam (competizioni in cui i poeti si sfidano a suon di versi) più celebri d’Italia. Ma il settore dello spettacolo è completamente fermo.
«E quindi io mi sono ritrovato con questo grande sogno in mano, completamente a zero. Avevo quasi un anno di affitti non pagati ed ero molto indietro con gli assegni di mantenimento per mio figlio».
E qui entra in gioco il secondo superpotere di Ciccio Rigoli.
«Ho scritto tutto su Facebook. Tre anni fa “si portava” ancora molto Facebook. Non volevo lamentarmi ma solo dire la verità: sono completamente a zero. E tante persone, molte delle quali inon conoscevo direttamente, mi hanno detto: “Come possiamo aiutarti? Fai una sottoscrizione. Te li prestiamo!”. Mi aspettavo che qualcuno rispondesse e mi desse una mano, ma con dieci o cinquanta euro, cifre abbastanza basse. Invece mi sono arrivate quote alte da persone con cui, tra l’altro, in alcuni casi non avevo un rapporto di amicizia da anni. Mi è arrivata una quantità, non dico spropositata, ma siamo arrivati a 10mila euro, divisi in tantissime piccole quote. Io sarei stato contento per molto meno».
“Ho capito che a volte bisogna andare oltre questo tabù del parlare di soldi e avere il coraggio di dire “ho bisogno”. Io cerco in qualche modo di ripagare questa grande fortuna che ho avuto da un lato restituendo quei soldi (ancora ci sono persone con le quali mi scuso, ma sicuramente li restituirò, datemi un attimo) e dall’altro aiutando chi magari si trova in una situazione peggiore della mia. C’è stato un mio amico a cui hanno rubato la batteria e il computer dalla macchina ed è partita una sottoscrizione per farglieli ricomprare perché alla fine dei conti è il suo mestiere, il suo lavoro”.
Il valore della fiducia
Il gesto appare tanto più coraggioso quanto più guardiamo alle nostre vite e ci accorgiamo di vergognarci per molto meno.
«Una mia amica mi diceva che ha dovuto sollecitare il pagamento di alcune fatture risalenti a cinque, sei mesi fa. Ha dovuto superare la vergogna di andare a chiedere dei soldi che le spettavano. E contemporaneamente si è trovata gente che diceva: “Da una professionista come te questo attaccamento ai soldi non me l’aspettavo”».
Nel caso di Ciccio, invece, si trattava di chiedere letteralmente aiuto. «La vergogna era proprio andare a chiedere soldi, ammettere di essere tanto in difficoltà».
In una società che ci colpevolizza se perdiamo soldi, che ci giudica negativamente se ci indebitiamo… la reazione che hanno le persone attorno a Ciccio sorprende.
«Ogni tanto mi chiedo come sia possibile. Mi è rimasta molto impressa una frase di una mia amica che mi aveva dato una cifra abbastanza consistente e io le ho detto: “Ma sei matta? Sono troppi soldi!” E lei mi ha detto: “Intanto, tranquillo, perché fortunatamente per me non è un problema e d’altra parte, se tu fossi stato uno stronzo, nessuno ti avrebbe aiutato. Le persone ti aiutano, perché tu, in qualche modo, prima hai dato qualcosa a loro. Credo che dipenda molto da come ti poni e in generale da quello che hai costruito prima. E da cosa vai a chiedere. Io sono anche un fautore del crowdfunding, ne ho fatti due o tre in vita mia, uno per aprire Slam, che è andato molto bene, uno per portare uno spettacolo a teatro e un altro per stampare il mio libro. E perché sono andati bene? Perché prima mi sono dato abbastanza da fare affinché le persone si fidassero. In quel momento, poi, durante la pandemia, c’è stato anche un grande afflato popolare di aiuto e di condivisione. Le persone hanno detto “Ok, questa persona qui, Ciccio Rigoli, sta fallendo per delle questioni contingenti”. Credo che sia lì un po la differenza».
Capita raramente di sentir parlare di fallimento con tanta scioltezza.
“Non non ho molta paura del fallimento. Se stai a pensare sempre a come le cose possono andare male, non dico che le cose vanno male, non è una roba da pensiero positivo, però non ti muovi e non ci provi neanche. C’è una citazione di Julio Velasco che mi piace molto. Dice: ‘Nessuno ci toglierà i balli che abbiamo ballato’. Slam è fallita. Però quegli anni non me li leverà mai nessuno. Le persone che sono passate da lì, le persone che ho conosciuto, gli eventi che abbiamo fatto. E quella roba lì va molto oltre la questione dei soldi che ho perso e che continuo a restituire. Mi interessano molto di più i balli che ho ballato rispetto ai debiti che ho contratto e che prima o poi ripagherò”.
La curiosità a questo punto mi assale. Come fai a sapere a chi devi restituire cosa, gli chiedo.
«Ho un bellissimo foglio Excel in cui ci sono tutti i versamenti, quando è stato fatto e quanto mi hanno dato. Ed è una cosa che mi stimola a dire: “Ok, vediamo di fare un po’ di soldi per restituirli”. Come dice sempre mio padre, con una frase che mi piace molto, “Le cose si aggiustano, le persone no”».
Una nuova relazione con i soldi
Questa vicenda ha cambiato profondamente il rapporto di Ciccio con i soldi.
«Mentre prima, quando mi arrivavano dei soldi, festeggiavo dicendo “Che bello, mi sono arrivati dei soldi”, oggi penso: “Quanti altri soldi mancano per non avere problemi in caso per tre mesi non dovessi lavorare. Quante tasse devo pagare l’anno prossimo?” Comincio a essere più oculato, non tanto nelle spese, perché non ho mai speso troppo, quanto negli incassi, nel sapere che a un certo punto mi arrivano dei soldi, quanto mi serve per vivere, quanto posso sospendere. Ho un rapporto più adulto con i soldi. Come ho detto alla mia terapeuta, sto diventando davvero un ometto».
Oggi Ciccio ha una nuova ritualità legata al denaro che mai avrebbe immaginato prima.
«Ogni due o tre giorni, prima di cominciare a lavorare, ho il mio bullet journal su cui scrivo le cose che devo fare e sull’altra pagina faccio, rigorosamente a mano, i conti di quanti soldi ho in quel momento. Da una parte i conti, dall’altra i risparmi, perché ho delle piccole cifre che si accantonano automaticamente ogni settimana. E per la prima volta dopo sei anni andiamo a pari con i debiti con la mia padrona di casa».
Nel racconto di Ciccio non compare mai il rimpianto per qualcosa che non ha potuto avere o comprare, per un’esperienza che non ha potuto fare. Né tantomeno l’afflato per un sogno da realizzare, un traguardo da raggiungere.
«Non mi è mai capitato di non poter fare qualcosa per mancanza di soldi, ma probabilmente perché non ho mai avuto dei pensieri grandissimi e giganteschi. Non ho mai pensato di acquistare una casa, non ho mai avuto un’automobile di proprietà. Uno dei pochi lussi che mi concedo sono i bassi perché li suono il basso, ma non ho mai sognato di averne uno da tre o cinquemila euro, probabilmente perché ne sarei spaventato».
D’altra parte, ogni volta che Ciccio Rigoli ha avuto un sogno un po’ più grande, ha fatto in modo che diventasse un sogno collettivo e fosse la collettività a realizzarlo assieme a lui.
“In realtà io penso che i soldi ci siano, ce ne siano in abbondanza ovunque. Anzi, da una parte c’è chi ha i soldi e dall’altra chi ha le idee e i modi di spenderli e di investirli. Quando io ho fatto lo spettacolo con il crowdfunding, ho affittato un teatro a Milano e qualche anno dopo quel teatro mi ha richiamato per fare uno spettacolo prodotto da loro. E quindi è stato un investimento su quello che avrei fatto dopo. Preferisco creare delle cose, invece che accumulare denaro”.
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