Silvia, che deve imparare a sbagliare

Silvia ha 37 anni ed è una persona brillante ed acuta. Questi suoi tratti caratteriali si scontrano con l’ansia che prova nei confronti di qualsiasi decisione e con l’angosciante paura di sbagliare. Per tutta la sua vita i suoi genitori le hanno ripetuto quanto fosse brava, e per questo non ha potuto sperimentare di non esserlo.

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Elena Carbone
Elena Carbone

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Psicologa e psicoterapeuta esperta in traumi. Con l’account Instagram La psicologa volante fa divulgazione sul rapporto tra psiche e soldi.

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Silvia prende contatti con me a dicembre per iniziare un percorso, ma per vari motivi disdice gli appuntamenti e ci ritroviamo a conoscerci per la prima volta dal vivo a febbraio.

Silvia ha 37 anni, minuta, graziosa, sembra una ragazzina, un sorriso aperto che non corrisponde alla tristezza dei profondi occhi neri. Ha una figlia, un marito imprenditore e un lavoro come dipendente in una multinazionale.

La mamma di Silvia abita vicino e l’aiuta nella gestione della bambina e della casa.

«Dottoressa sono venuta qui perché non so mai cosa fare, sono indecisa su tutto. Per esempio non sto bene al lavoro, vado in ansia, faccio i confronti con i colleghi, vorrei licenziarmi, ma non so se sto scappando da difficoltà che devo superare o se sto seguendo quello che vorrei fare veramente…»

«Ci sono altri ambiti che le interessano o in cui si vorrebbe cimentare?»

«Sto pensando di stare a casa, di gestire mia figlia che vedo sempre meno, ma guardi mi vergogno anche a dirlo a lei… sono laureata con lode, sognavo una carriera gratificante e mi ritrovo a voler fare la casalinga… senza nulla togliere alle casalinghe non so se sia la strada giusta da intraprendere».

Colloquio dopo colloquio inizio a conoscere Silvia: c’è sempre un contrasto in lei che mi lascia un po’ inquieta: la sua acutezza mentale, la sua ironia birichina e la sua comunicazione determinata fanno a pugni con l’ansia che mi riferisce essere una costante delle sue giornate, con la tensione che prova nei confronti di qualsiasi decisione e con l’angosciante paura di sbagliare.

Una vita passata sul piedistallo 

Silvia fa fatica a vedere oggettivamente il funzionamento della sua famiglia d’origine. Per lei i suoi genitori sono ancora su quel piedistallo su cui tutti i bambini mettono i propri, ma che poi rovesciano nell’età adolescenziale per distaccarsene e individualizzarsi. Fase indispensabile della crescita che permette ai giovani di ricercare la propria identità definendo i propri valori e i propri obiettivi. Sembra che Silvia abbia balzato a piè pari quella fase.

«Come posso pensare che tutti i miei problemi di oggi derivino dal mio passato se sono stata solo coccolata e presa da esempio da tutti? Mi dicevano in continuazione quanto fossi brava ed effettivamente lo ero, non ci sono mai stati contrasti perché non ce n’era bisogno. Io e i mei genitori abbiamo sempre voluto le stesse cose».

Le chiedo cosa pensa di sé rispetto alla difficoltà di scegliere che sperimenta oggi e non sono sorpresa quando mi risponde:

«Mi dico che non sono abbastanza brava».

”Non sono abbastanza brava” ripeto “chissà quando ha iniziato a dirsi che non è abbastanza brava dato che le hanno sempre ripetuto il contrario…».

Silvia mi lancia un’occhiata furba e penso che avrebbe potuto farmi anche la linguaccia, se si fosse lasciata andare un po’ di più.

«Ho capito dove vuole andare a parare… dicendomi continuamente che ero brava mi hanno ingabbiato in un’etichetta a cui ho dovuto corrispondere. Non ho potuto sperimentare di non essere brava e oggi quando devo scegliere sono terrorizzata dall’idea di non esserlo».

Non posso che ricambiare la sua riflessione tanto sofferta con un sorriso accogliente.

Continuo a fare domande ed emergono ricordi.

«Mia madre era in fissa con la gonna a pantaloni che io odiavo, ma lei era così felice quando mi mettevo quello che voleva lei che l’ho anche messa per andare in discoteca! Non ci avevo più pensato… tutte le mie amiche in minigonna ed io con la gonna a pantaloni dal taglio sartoriale… ma non mi sentivo a disagio, la vergogna la provo ora a ricordare».

«Pensi che ho avuto il coraggio di mettermi una maglietta scollata solo dopo essermi sposata! Prima sentivo lo sguardo di mia mamma addosso, anche se in realtà non mi ha mai detto di non farlo».

«Devo dire che mi immagino sempre lo sguardo di mia madre quando compro qualcosa… dice che è per questo che sono indecisa? In effetti entro nei negozi convinta di prendere quella cosa, ma poi mi faccio prendere dal panico quando inizio a pensare all’espressione di disapprovazione di mia madre quando le mostrerò ciò che ho comprato e non so più cosa fare».

La cura: imparare a sbagliare

Silvia è stata ingaggiata in una relazione fusionale con la madre in cui non c’era definizione dei confini, in cui si dava valore solo ai bisogni della madre e in cui lei ha imparato a sopravvivere organizzandosi difensivamente su qualcosa che non sanciva il suo sentire finché non l’ha messo via definitivamente. Ogni bambino modifica istintivamente le proprie necessità e le proprie risorse comportamentali in funzione delle richieste e delle preferenze dei genitori, imparando presto cosa ci si aspetta da lui. Le aspettative inconsapevoli (c’è da dirlo) dei genitori lasciano al bambino due possibili scelte. La prima è rimanere al sicuro e ottenere l’approvazione delle figure di attaccamento diventando aderenti alle aspettative, la seconda è rischiare di essere disapprovati, criticati o rifiutati. Ovviamente per un bambino essere al sicuro è l’elemento più importante per la sua sopravvivenza ed essere all’altezza delle aspettative dei genitori sarà sempre la migliore scelta. Silvia, infatti, ha sviluppato una parte adesiva per “stare al sicuro”: ottime performance e negazione del bisogno di sperimentare, negazione del bisogno di validare i suoi desideri, negazione del bisogno di individualità.

Il lavoro con Silvia inizia validando il suo sentire sempre, anche quando è in contrasto con quello altrui o con quello che secondo lei dovrebbe provare. Accolgo il suo contrasto interiore in modo tale che possa farlo anche lei e iniziamo un lavoro sulla definizione dei confini e sull’individualizzazione.

Silvia impara a tollerare e poi ad accettare di sbagliare e fa i primi passi da sola cercando di svincolarsi dal controllo materno che, di contro, le rinfaccia di non riconoscerla più. In effetti la sua bimba sta crescendo e non è più come lei la vuole.

Io e Silvia sappiamo che abbiamo ancora del lavoro da fare, ma il fatto che ora sia consapevole dell’origine della sua insicurezza ci porta coese a continuare lo splendido lavoro insieme.

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